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Droni in Pakistan: uno, nessuno, centomila?

Dieci anni fa il primo drone USA sorvolava i cieli del Pakistan con l’obiettivo di stanare i capi talebani dai loro rifugi nelle aree tribali ai confini con l’Afghanistan. Ma, fino a oggi, l’uso degli aerei senza pilota ha comportato un considerevole costo in termini di vite umane e risultati strategici e militari probabilmente inferiori alle aspettative

BATTESIMO DELL’ARIA – È una calda giornata di giugno 2004 quando, per la prima volta, fa la sua comparsa, nei limpidi cieli del Waziristan del Sud (Pakistan), un velivolo senza pilota. L’Unmanned Aerial Vehicle, meglio conosciuto come “drone”, armato di missile, è pronto a dare vita a un’operazione militare ai danni di un comandante qaidista. L’obiettivo da neutralizzare, o per meglio dire, da eliminare fisicamente, ha un nome: Nek Mohammad, noto capo talebano pakistano che vive e opera indisturbato nel villaggio di Kari Kot, situato tra i porosi e mai definiti confini con l’Afghanistan. Quel giorno di inizio estate non fa presagire ciò che in realtà è in procinto di accadere. Non ci sono scontri né combattimenti sul campo e tutto sembra tranquillo, se non fosse per un veicolo aereo leggero che solca il cielo sopra le aree tribali pasthun. All’improvviso il silenzio è rotto dal suono di un missile che colpisce e distrugge un’abitazione del villaggio. La missione fa centro e uccide Mohammad, due o tre dei suoi uomini (le fonti in proposito sono discordanti) e due fratelli, Irfan e Zalan Wazir, rispettivamente di 14 e 8 anni. (Fonti: Amnesty International e La guerra dei droni). In un primo momento il Governo di Islamabad decide di farsi carico delle responsabilità militari dell’attacco in Waziristan, ma dietro quell’apparentemente e semplice “operazione militare chirurgica”, in realtà totalmente “made in USA”, si nasconde uno scenario geopolitico molto complesso. La missione segna l’inizio di una guerra segreta della CIA in un Paese sovrano e teoricamente alleato nella lotta al terrorismo come il Pakistan, fatto di poche luci e moltissime ombre, dietro la quale si muovono interessi strategici della Casa Bianca, manovre politiche e militari dei servizi segreti pakistani e una mai apertamente dichiarata compiacenza del Governo di Islamabad.

Pastun. Nord Waziristan
Pashtun, Nord Waziristan

ORIZZONTI PERDUTI – Questa prima operazione di “attacco telecomandato a distanza” su territorio pakistano, che risale esattamente a 10 anni fa, cambierà per sempre il modus operandi delle nuove guerre contemporanee. Il teatro operativo di una guerra mai ufficialmente dichiarata è il Waziristan, regione di montagna del Nordovest del Pakistan, attraversata da boschi e territori tanto belli quanto impervi. Prima degli attentati dell’11 settembre 2001, il Waziristan, diviso in due parti (Waziristan del Nord e Waziristan del Sud), era una dei numerosi e poco conosciuti territori tribali confinanti con l’Afghanistan, popolati per lo più da clan e tribù locali quali i waziri, i dawar e i meshud. Ma già alla fine degli anni Novanta, proprio in quelle remote località di frontiera, il giovane Osama bin Laden riuniva a sé centinaia di militanti e guerriglieri islamici per costituire il Fronte internazionale islamico, pronto a sferrare una “guerra santa” contro Israele e l’Occidente senza esclusione di colpi. Tuttavia, è solo dopo il 2001 che questa regione diventa una delle zone più calde della lotta al terrorismo di matrice islamica. Le terre del Nordovest a maggioranza pasthun diventano i luoghi nei quali le milizie antigovernative e i combattenti, provenienti da molti Paesi islamici, attraversano a piacimento i labili confini tra Afghanistan e Pakistan grazie alla collaborazione della popolazione locale, che fornisce loro ospitalità e rifugi inaccessibili per le forze militari occidentali impegnate sul campo. L’episodio avvenuto a Kari Kot nel 2004 segna il vero punto di svolta, che non solo cambia la tattica militare occidentale per dare la caccia ai terroristi, ma soprattutto muta per sempre la vita degli abitanti della regione, costretti, da quel momento in poi, a confrontarsi con un nemico invisibile che si muove a attacca dal cielo senza il mimino preavviso.

CIA, ISI E DIPLOMAZIA: UN DIFFICILE CONNUBIO – Che il “fattore drone”, usato per arginare e combattere gli affiliati di al-Qaida sia diventato uno degli aspetti su cui si articola la politica estera di Obama è fuori di dubbio (In Drones We Trust). Ma conciliare la segretezza degli attacchi gestiti dalla CIA, le interferenze politiche e militari dell’ISI (i servizi segreti pakistani) e del Governo di Islamabad, provando a non compromettere i già difficili rapporti tra USA e Pakistan, è tutta un’altra storia. Gli incidenti diplomatici intercorsi tra i due Paesi, le continue battaglie umanitarie da parte delle organizzazioni non governative, le forti proteste di alcuni partiti politici pakistani come il PTI (Pakistan Tehreek-e-Insaf) di Imran Khan, che accusano apertamente i droni di stragi tra i civili, rischiano di trasformare l’utilizzo dei velivoli senza pilota in un pericoloso boomerang politico, oltre che militare. Infatti, nonostante i chiari vantaggi di una guerra elettronica che risulta essere meno costosa sia da un punto di vista economico che di risparmio di vite dei soldati statunitensi, l’opinione pubblica di numerosi Paesi e molti esperti politici e militari continuano a non essere convinti. Si calcola a oggi che gli attacchi dei droni in Pakistan siano stati circa 370, di cui 342 solo nel Waziristan (La guerra dei droni). Difficile poi avere una stima reale dei terroristi colpiti e dei morti civili. Le cifre ufficiali da parte della Casa Bianca non corrispondono affatto ai dati pubblicati dai report di organizzazioni non governative quali Human Rights Watch e Amnesty International, che accusano il Governo statunitense di occultare, di proposito, le stime relative ai “danni collaterali”. Non vanno poi sottovalutate le numerosissime proteste da parte della popolazione civile messe in atto in diverse zone delle Aree Tribali e soprattutto a Peshawar, capitale della provincia di Khyber Pakthunkhwa, che chiedono apertamente al Governo di Islamabad di porre fine, una volta per tutte, ai numerosi attacchi dei droni nei loro territori.

NÉ CON TE, NÉ SENZA DI TE – Il presidente Obama, in un discorso tenuto presso la Naval Defense University nel maggio del 2013, ha cercato una soluzione al problema dei droni tracciando una linea più chiara sull’utilizzo della forza letale per combattere il terrorismo. Rimangono però, a oggi, molte zone d’ombra, a cominciare dall’assenza di un meccanismo di controllo e di valutazione delle politiche riguardanti l’uso degli aerei senza pilota. Nell’ultimo anno effettivamente risulta diminuito il numero delle operazioni effettuate (almeno sul territorio pakistano), ma restano ancora aperte importanti questioni riguardanti la legalità dell’impiego dei droni rispetto alla dottrina del diritto internazionale, nonché i risvolti etici di una guerra condotta con un solo nemico in campo visibile, mentre l’altro è a migliaia di chilometri di distanza. La mancanza di un rapporto ufficiale da parte di Washington sul numero reale delle vittime civili e il modo in cui dovrebbero essere risarciti i loro familiari è tra le questioni più spinose e più dibattute. Le elezioni statunitensi di midterm, che si sono concluse pochi giorni fa, hanno mostrato chiaramente Barack Obama in un evidente e preoccupante calo di popolarità. Molte sono le critiche mosse all’attuale Presidente in relazione alle sue scelte di politica nazionale. Ma è fuori di dubbio che gli errori più gravi sono stati probabilmente quelli legati alle sua linea politica negli affari esteri. Non va poi sottovalutata l’eco delle proteste e della pubblica disapprovazione dell’uso dei droni da parte di molte personalità della cultura statunitense (Noam Chomsky e Oliver Stone ne sono un chiaro esempio). Da anni, infatti, intellettuali, scrittori e registi americani sostengono una dura battaglia contro il Governo di Washington su questo tema, che, nel tempo, ha saputo richiamare l’attenzione di buona parte dell’opinione pubblica americana, la quale aveva riposto in Obama la speranza della fine dell’era politica di Bush, costellata di conflitti e morti. La sfida del Presidente statunitense è ora riconquistare cuori e menti del popolo americano, non sottovalutando le responsabilità e le conseguenze negative di una guerra elettronica che rischia di minare la sua credibilità politica non solo all’estero, ma soprattutto nel suo stesso Paese.

Barbara Gallo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Il documento Will I be the next, scaricabile dal sito di Amnesty International, sulle conseguenze della guerra dei droni per la popolazione civile. [/box]

 

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Barbara Gallo
Barbara Gallo

Ha conseguito la Laurea in Sociologia con una Tesi sulle donne afghane. E ciò non ha fatto che aumentare la sua passione e il suo amore per quelle terre belle e selvagge e per quelle popolazioni fiere e coraggiose. Collabora con Archivio Disarmo perché sogna la pace e con la Fondazione Pangea perché sogna un futuro migliore per le donne. Attualmente vive e lavora come giornalista pubblicista a Roma.

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