La spirale recessiva che imperversa in Europa ha saldato il sodalizio franco-italiano e intensificato il dialogo tra le rispettive Presidenze. Alla base di tale collaborazione, la presa di posizione contro le politiche di austerità e l’irrazionalità delle “scadenze” previste dal patto di stabilità e crescita. Tuttavia, non sembra in discussione la permanenza nell’euro. Quali scenari si prospettano?
FRANCIA, UN IMMOBILISMO DALLE RADICI STORICHE – Una larga parte dell’opinione pubblica europea ritiene la parabola francese definitivamente declinata, un “relitto” da consegnare alle pagine di storia e al ricordo nostalgico di sedicenti sostenitori della grandeur. Ci sono però anche molti in Europa che attendono con impazienza che Parigi suoni quella che Alphonse Lamartine, poeta e politico ottocentesco, definì, riferendosi alla Rivoluzione francese, «la campana del mondo». Eppure all’orizzonte vi è una Francia piccola, trincerata dietro la Linea Maginot, incapace d’incidenza positiva e di reazione, richiamata all’ordine budgetario con la sufficienza che si deve a un free rider della cultura europea, uno che ha preso e nulla ha dato. Quella francese è prima di tutto una crisi di coscienza: l’attuale leadership politica, la più debole e confusa dai tempi dei Governi della quarta Repubblica, sopravvive nel glorioso lascito di una politica francese storicamente votata alla perorazione fedele della causa comunitaria, per quanto concerne, almeno, le Presidenze che seguirono il decennio gollista (post 1969).
L’EUROPEISMO FRANCESE – Il rilancio del progetto europeo sotto la presidenza Pompidou nel 1969 ne è l’esempio principale: con l’avvicendamento del generale de Gaulle scomparve l’intransigenza francese verso l’approfondimento dei poteri della Comunità e venne avviato un dibattito sull’ipotesi di procedere verso l’unificazione politica. Nondimeno vi furono, lo stesso anno, le prime consultazioni ufficiali circa l’istituzione di un’unione economica e monetaria tra i Paesi membri. Tuttavia, ripercorrendo a ritroso il delicato processo di integrazione europea, troviamo a più riprese una Francia coriacea, ben lontana dagli ideali “europeisti”, ostile alle concessioni di sovranità . Basti pensare alla sorpresa che suscitò il fallimento della Comunità europea di difesa (CED) nel 1954, frutto dell’intuizione di Jean Monnet, patrocinata dal Governo Pleven (1950-1951), e miserabilmente sprofondata nell’oblio in seguito alla mancata ratifica da parte dell’Assemblea nazionale francese. Nata dalla presunzione che avrebbe contribuito alla protezione del continente europeo da un’imminente attacco sovietico, privato la Germania dell’indipendenza militare e impresso altresì una svolta federale al progetto europeo, la CED fu più che un semplice disegno d’integrazione militare trai i sei Paesi fondatori della Comunità europea del carbone e dell’acciaio: rappresentò il primo, grande fallimento del paradigma federalista, sul quale la Francia dei primi anni Cinquanta investì parte del proprio capitale politico e diplomatico.
A differenza dell’Italia, la quale, storicamente, ha condotto tutto sommato una politica europea coerente, votata all’accettazione supina del dettame atlantico, la Francia ha alternato fasi di profondo europeismo a momenti di cinico realismo statuale – una parte sostanziale di opinione pubblica ed élite politico-intellettuale non si rassegnò mai alla perdita della sovranità militare, dai più considerata, insieme alla moneta, essenza dello Stato nazionale: fu una delle ragioni, oltre a quelle già indicate, del fallimento della Comunità europea di difesa, – come dimostrano gli episodi precedentemente enunciati.
UNA DIFFICILE SINTESI – Data l’incapacità storica della Francia di sintetizzare questi due aspetti e ricavarne infine una precisa idea d’Europa, sia essa rivolta all’istituzione di un super-Stato federale piuttosto che al totale ripristino della sovranità nazionale, non sorprende come, da un lato l’immobilismo verso le irrazionali politiche economiche dell’UE, dall’altro il silenzio nei confronti dell’insostenibilità dell’euro abbiano contraddistinto fin dalle prime battute la politica europea della presidenza Hollande. A tal riguardo, può la Francia difendere strenuamente la propria permanenza nell’eurozona e allo stesso tempo non concepire una deriva federale del continente? Sì, ma si tratta di una difesa non priva di costi, economici e sociali anzitutto.
Una netta presa di posizione francese contro l’attuale impostazione dominante in Europa, quella del «carro davanti ai buoi», espressione che fu dell’economista Dominick Salvatore, con la quale si designa il raggiungimento dell’Unione politica attraverso l’integrazione economico-monetaria, potrebbe metterla in seria discussione. La Francia dovrebbe essere chiara sulla direzione che vuole prendere: proseguire l’integrazione su basi diverse o recuperare sovranità nazionale? Certo è che l’Europa così com’è difficilmente potrà andare avanti ancora per molto.
Daniele Morritti
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Un chicco in piĂą
Volete conoscere la nuova Commissione europea? Fatevi un giro qui.
Per un maggiore approfondimento dei fatti che portarono al fallimento della ComunitĂ europea di difesa, si veda:
- Storia e politica dell’Unione Europea. 1926-2005, di G. Mammarella e P. Cacace, Laterza, 2005
- L’Europa difficile, di B. Olivi, Il Mulino, 2000[/box]