Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2012 – Se dovessimo scrivere oggi la storia del 2011, la “Primavera Araba” e più in generale tutta la regione medio-orientale riempirebbero gran parte delle nostre righe. Inaspettata, controversa e tutto sommato rapida, la rivolta delle popolazioni arabe contro i governi non-democratici ha smosso le coscienze dei leader e dell’opinione pubblica mondiale. Riviviamo insieme tutti i momenti e gli avvenimenti che ci hanno tenuto col fiato sospeso nel 2011 nel ricordo si coloro che hanno dato la vita per la libertà del loro popolo
TUNISIA – Tutto ha inizio a a Sidi Bouzid, quando il venditore ambulante Mohamend Bouazizi si da fuoco davanti al Palazzo del Governatore locale in segno di protesta contro le requisizioni della polizia. La morte del padre spirituale della Primavera Araba diffonde la rabbia dei giovani e dei disoccupati tunisini che si radunano nella capitale dando inizio a proteste contro il potere assoluto del clan di Zine El-Abidine Ben Ali, ininterrottamente al potere da 23 anni. Le circa cento vittime degli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza e l’inaspettato grado di diffusione del moto di rivolta inducono l’erede di Habib Bourguiba a rifugiarsi in Arabia Saudita. Il Primo Ministro Mohammed Gannouchi assume la carica di Presidente ad interim fino alla sostituzione da parte del moderato Essebsi. Sono però i partiti islamico-moderati come al-Nahda a convogliare nell’arena democratica i sentimenti dei manifestanti, sarà proprio la formazione di Rashid al Gannushi, ex consulente di Tony Blair, a portare al governo il neo premier Hamadi Jemali.
LIBIA – In seguito alla repressione brutale di manifestazioni contro il regime di Tripoli nella città orientale di Bengasi, l’ex colonia italiana viene sconvolta da un grave conflitto civile che vede le truppe leali al colonnello Gheddafi opposte ai ribelli del CNT. Contrariamente a quanto previsto, il 19 marzo la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza ONU dà il via alle operazioni di una coalizione di stati tra cuiStati Uniti, Francia, Italia, Regno Unito e monarchie del golfo persico. Ma le avanzate dei ribelli mancano di coordinazione, di organizzazione e di armi e mezzi, mentre le truppe lealiste dimostrano efficienza tattico-strategica sotto la guida dei figli del raìs Saif e Mutassim. Misurata, assediata e sventrata dai bombardamenti è la città simbolo della ribellione, mentre Sirte e Tripoli rimangono fedeli al regime. L’offensiva coordinata dai bombardamenti strategici della NATO persiste nonostante le critiche e le previsioni di fallimento. Con la liberazione della capitale, la sorte del clan Gheddafi sembra segnata, ma i pochi fedeli rimasti combattono fino all’ultimo sangue fino a quando il 20 ottobre Muhammar Gheddafi cade sotto i colpi degli insorti mentre cerca di rifugiarsi in seguito ad un raid aereo. È il CNT a guidare la difficile transizione, tra tensioni interetniche e una ricostruzione immane da portare a termine, il futuro della nuova Libia è tutto da scrivere.
EGITTO – Le sommosse popolari in Tunisia si diffondono anche nell’Egitto di Hosni Mubarak, la sfinge che guida il paese in stato d’emergenza dal 1981, le scene si ripetono con manifestanti che si danno fuoco e i giovani che protestano contro la disoccupazione il regime militare. Piazza Tahrir a Il Cairo diventa il simbolo della lotta contro le Istituzioni in migliaia vi si radunano familiarizzando con la popolazione e persino l’esercito, spaccato tra fedelissimi del raìs e protettori della rivolta pacifica. L’11 febbraio, dopo ripetuti appelli di capi di stato occidentali e dell’ex capo dell’AIEA Mohammed el-Baradei, Mubarak lascia il potere ritirandosi a Sharm el Sheikh prima che il 13 aprile l’arresto e un conseguente attacco cardiaco ne minino definitivamente le condizioni di salute. Il paese rimane in balia della giunta militare capeggiata dal feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi che mette in atto le stesse misure liberticide contro le manifestazioni che continuano imperterrite nonostanteil bilancio di morti e feriti raggiunga cifre inaccettabili.
SIRIA – Il fervore dei moti di rivolta nei paesi arabi contagia anche la Siria, anch’essa in stato d’emergenza dal 1963 e sotto il giogo della famiglia degli Assad e del Partito Baa’th. Le manifestazioni chiedono un’apertura alle libertà e l’avvio di una nuova era democratica per il paese, il Presidente si offre d’impersonare tale cambiamento offrendo un nuovo governo e la riforma della costituzione alle folle nelle piazze. Dal 15 marzo il vento cambia, le riforme si rivelano l’ennesima farsa della dittatura granitica e le forze di sicurezza danno inizio ad un vero e proprio massacro in varie zone del paese. Homs, Dar’a, Hama, Latakia e la stessa Damasco vengono assediate da mezzi pesanti, cecchini e truppe lealiste, principalmente di etnia alawita (la stessa degli Assad). Intanto la rivolta si traforma in un vero e proprio conflitto civile con l’etnicizzazione degli scontri tra sunniti e sciiti e con la formazione dell’FSA, l’esercito libero siriano composto dai disertori dell’esercito di Damasco, sotto la guida del Colonnello Riad al-Asaad. I legami con Hezbollah e l’Iran degli Ayatollah, la protezione del veto russo-cinese al Consiglio di Sicurezza ONU e l’organizzazione delle forze di sicurezza, garantiscono a Bashar al-Assad la mano libera nella repressione sanguinosa delle proteste pacifiche che causano almeno 5000 vittime tra cui anche donne e bambini.
IRAN – Nell’anno di massima tensione per i governi del Medio-Oriente, il regime degli ayatollah non sembra essere impensierito dai raduni di piazza e dalle seguenti “giornate della collera”. Dopo i massacri di piazza delle proteste post-elettorali del 2009 Teheran è riuscita nel condannare le opposizioni alla clandestinità e al silenzio quasi totale. Il pericolo viene in realtà dall’esterno per l’unica nazione non araba della regione e dall’opposizione dell’occidente, di Israele e delle monarchie del golfo al programma di proliferazione nucleare avviato con successo. Il 12 settembre il reattore della centrale di Bushehr viene collegato alla rete elettrica nucleare intanto le centrifughe di arricchimento dell’uranio di Natanz lavorano a pieno ritmo per garantire l’autonomia del regime dall’approvvigionamento di materiale fissile. Il Mossad e Tel Aviv sono accusati dei numerosi attentati a basi militari, al programma missilistico e a figure di spicco del programma nucleare, mentre la tensione nello stretto di Hormuz raggiunge picchi insostenibili tra minacce di chiusura e manovre militari. Le voci di un attacco preventivo da parte di Israele si moltiplicano, ma il rischio di una guerra navale per garantire il transito del 20% del greggio mondiale verso l’Oceano Indiano rischia di diventare il leitmotiv del 2012.
IRAQ – Il 2011 sarà sicuramente ricordato come l’anno del ritiro delle truppe americane dall’Iraq dopo l’intervento unilaterale e ingiustificato del 2003. Il 18 dicembre l’ultimo contingente lascia il paese alla volta del confinante Kuwait mettendo la parola fine all’operazione Iraqi Freedom che è costata la vita a 4500 soldati americani e circa 150mila iracheni. Otto anni di presenza militare e di contro-insorgenza hanno privato il paese della vecchia elite baathista costringendo il nuovo governo ad una ricostruzione totale delle Istituzioni dello stato. Il nuovo regime guidato dal Primo Ministro Nuri al Maliki si trova ad affrontare un livello di conflittualità senza precedenti tra sciiti e sunniti, con una serie impressionante di attentati e faide infinite. Le infiltrazioni estere, il grado di coordinamento dei movimenti della jihad lasciano un’ombra scura sul futuro dell’antica Babilonia mentre una profonda crisi politica rispecchia la divisione tra le due principali branche dell’islam osservante. Il governo subisce vari rimpasti, dimissioni e cambi di personalità ma non cede sull’obiettivo fondamentale per la rinascita democratica: la produzione di greggio. Il 2011 vede il ritorno dopo vent’anni all’estrazione di 3 milioni di barili al giorno, mentre si prospetta l’estrazione da giacimenti mai toccati fino ad ora, grazie alla supervisione delle compagnie statunitensi e britanniche.