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Con l’American Rescue Plan lo stato federale ritorna interventista

In 3 sorsi – Con L’American Rescue Plan Biden punta a revitalizzare l’economia con una mano, mentre con l’altra getta le basi per una sostanziale riorganizzazione nella distribuzione della ricchezza. Nessuno riesce a prevedere se il piano porterà a una notevole crescita del PIL o a un’inflazione distruttiva.

1. DUEMILA MILIARDI PER L’ECONOMIA: COME CI SIAMO ARRIVATI?

L’11 marzo, a cinquanta giorni dal suo insediamento, Biden ha raggiunto il primo traguardo importante: l’approvazione dell’American Rescue Plan al termine di un estenuante iter congressuale. Lo stimulus (di cui trovate i dettagli qui), tra i cavalli di battaglia del Presidente nel rally elettorale, predispone 1.900 miliardi di dollari per campagna vaccinale e sostegni diretti a famiglie e imprese, prorogando e ampliando alcune misure contenute nei due precedenti piani dell’Amministrazione Trump. Tuttavia, pur collezionando un successo importante, il Presidente ha dovuto rinunciare alla proposta di un graduale innalzamento del salario minimo. Questo aspetto, insieme alla discussione sulle soglie di reddito massime per ottenere i sussidi, ha evidenziato tutte le spaccature di un Partito Democratico che va dai progressisti ai moderati come Joe Manchin, West Virginia, e Kyrsten Sinema, eletta in Arizona. Questi ultimi hanno votato contro la versione del piano contenente il salario minimo, guidando un gruppo di altri sei senatori democratici. In ogni caso l’aumento del salario minimo è risultato incompatibile con la Reconciliation, procedura che consente il passaggio di alcune leggi con 51 voti, in modo da superare l’ostruzionismo dell’opposizione. La necessità di tenere insieme il gruppo ha prevalso sull’intenzione di Biden di rendere bipartisan il dibattito politico, perciò i repubblicani sono stati aggirati in ogni fase di discussione.

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Fig. 1 – Il Presidente in carica Joe Biden

2. LA GRANDE SCOMMESSA DI JOE BIDEN

L’imponente piano è valutato positivamente dal 69% degli statunitensi, nonché dal 54% dell’elettorato repubblicano. Un sostegno popolare che potrebbe essere utile alle Midterm Elections, ma non è solo questo il punto: l’American Rescue Plan ha portato diversi analisti economico-politici a fare previsioni ottimistiche. L’OCSE, ad esempio, rivaluta le aspettative di crescita del PIL USA al 6,5% nel 2021, più che raddoppiando il 3,2% previsto a dicembre, e Goldman Sachs si è addirittura sbilanciata su un +8%. Di più: l’iniezione di liquidità sarebbe così incisiva da stimolare anche altre economie mondiali, come Messico, Cina, Canada ed Eurozona. Gli Stati Uniti di Biden, grazie a una congiuntura economica favorevole, rafforzata dalla spinta sui vaccini e dall’imponente stimolo appena approvato, sembrano essere in grado di eguagliare la crescita cinese dopo decenni di subalternità. Inoltre, come sottolinea Oxford Economics, qualora l’American Rescue Plan avesse gli effetti sperati, gli USA si rivelerebbero il principale motore della ripresa mondiale, ruolo simile a quello che giocò la Cina dopo la crisi del 2008. Ma una tale iniezione di potere d’acquisto lascia intendere che l’inflazione possa essere dietro l’angolo. Lo pensa Larry Summers, ex consigliere economico di Obama, secondo cui vi sarebbe la concreta possibilità di affrontare l’inflazione più grave degli ultimi quarant’anni. Similmente Jason Furman sostiene che i fondi previsti vadano dosati in relazione alla necessità contingente: in momenti in cui l’economia già cresce, come quello attuale, è quindi meglio limitarne l’uso. A detta di Olivier Blanchard lo stimulus provocherebbe un incremento della domanda tale da richiedere un output commerciale del 14% superiore a quello degli Stati Uniti, comportando una drastica svalutazione della moneta. Ad attirare perplessità sono anche i 350 miliardi destinati agli Stati e alle municipalità, che mancherebbero di un adeguato metodo di distribuzione e coordinamento, essendo ancora da spendere i consistenti i fondi elargiti nell’anno precedente.

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Fig. 2 – Il Dipartimento del Tesoro ha comunicato che l’erogazione dei sussidi è già iniziata

3. UNA MANOVRA CONTRO LA POVERTÀ

Perché tanto rumore per una manovra che, in fondo, stanzia meno dollari delle due precedenti? Il fatto è che l’American Rescue Plan, rispetto ai due piani di Trump, destina una fetta maggiore in aiuti diretti ai cittadini, che, con questo terzo intervento, avranno accumulato 2.100 miliardi di dollari da inizio pandemia. Ciò che ha indispettito anche chi non si definisce hawk (cioè tendente a misure economiche restrittive) è che il progetto di Biden, nato per combattere la recessione, veda la luce proprio in un momento in cui l’economia si sta riprendendo da sola. Il Presidente sembra aver approfittato di questo nuovo scenario per dare una nuova ragion d’essere alla manovra, ormai non più atta a contenere la crisi, ma a combattere la povertà. Si stima che il piano sarà in grado di ridurre la povertà americana di un terzo e quella infantile della metà. Anche la classe media beneficerebbe del pacchetto di aiuti: sussidi diretti, assegni di disoccupazione, aiuti proporzionati al numero di figli saranno garantiti integralmente a chiunque non superi la soglia di 75mila dollari di reddito annuo, e in forma ridotta per coloro tra i 75mila e gli 80mila. È la più grande manovra redistributiva mai vista e la quantità di denaro stanziata dall’inizio della pandemia (più di 5mila miliardi in totale) ha già stravolto il ruolo che lo Stato avrà nelle crisi future.

Samuele Fratini

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Perchè è importante

  • I rimbalzi tra Camera e Senato si concludono con il disegno di legge approvato tra le fila democratiche, mentre i repubblicani lo rigettano in blocco.
  • I fondi messi a disposizione sono tanti e per tanti gruppi di persone. Molti i pronostici fra chi ne esalta gli effetti benefici sull’economia americana e mondiale e chi invece tuona all’inflazione.
  • Biden cambia obiettivo in corsa e infrange alcuni tabù nella patria del laissez-faire.

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Samuele Fratini
Samuele Fratini

Studente magistrale in Public Opinion and Digital Communication all’Università di Milano. Appassionato di politica in ogni sua forma, dalle strategie di partito ai rapporti di potere internazionali. Da sempre legato alla società e alla storia americana, nutro un interesse particolare per la Platformization dei processi politici e sociali.

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