Unione europea, Turchia ed energia: tre temi che s’intrecciano nella politica estera italiana, a un anno dall’ascesa di Matteo Renzi a Palazzo Chigi.
UN ANNO DOPO − In questo anno e poco più di governo, la politica internazionale dell’esecutivo Renzi si è giocata soprattutto in un ambito strategico regionale, quello dell’Unione europea, nel tentativo in primis di restituire lustro al Tricolore nel groviglio delle Istituzioni di Bruxelles. Quando, poi, il Presidente del Consiglio si è spinto oltre i confini del Vecchio Continente, lo ha spesso fatto in veste di suo rappresentante, essendo l’Italia Presidente di turno del Consiglio europeo. Anche per questo, probabilmente, è stato difficile individuare una chiara politica estera italiana, soprattutto se si ripensa a quella dell’ultimo (troppo brevi e atipici quelli intercorsi nel frattempo) Governo “uscito dalle urne”, quello berlusconiano, la cui attività internazionale era connotata da chiare tendenze, tra tutte la forte amicizia con Russia, Turchia e Libia, se non altro per il personale rapporto dei rispettivi capi di Governo.
L’IMPORTANZA DELLA TURCHIA − Proprio l’Oriente, tuttavia, sembra offrire spazi per un’azione politica e diplomatica che riconsegni all’Italia un ruolo da protagonista nell’arena internazionale, in una congiuntura temporale in cui, peraltro, regna la confusione: l’11 e 12 dicembre scorsi, infatti, il Presidente del Consiglio si è recato in visita in Turchia, Paese strategicamente cruciale per la sua intrinseca natura eurasiatica.
Matteo Renzi con il presidente turco Erdogan
Analizzando i dati dell’interscambio commerciale tra Italia e Turchia, infatti, si capisce come sia uno degli sbocchi più floridi per i nostri mercati, tradizionalmente già molto legati con la vicina area balcanica: le circa 1.200 aziende italiane in Turchia generano un indotto di quasi 20 miliardi di dollari, facendo dell’Italia il quarto partner commerciale del Paese turco, con una quota del mercato locale stabile da anni sul 5%. Inoltre nel 2011, secondo la banca dati Ice-Reprint, c’erano 229 aziende turche partecipate il cui fatturato generato superava i sette miliardi di euro (il terzo dato, dopo quelli di Russia − 41 miliardi − e Polonia − 13). Rapporti commerciali che alle voci principali dell’export vedono macchinari e apparecchiature, prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio e prodotti chimici, con invece autoveicoli e rimorchi, abbigliamento e prodotti tessili tra i protagonisti dell’import italiano. Insomma, una relazione molto importante, ma scarsamente coltivata in questi anni in cui si sono alternati diversi inquilini a Palazzo Chigi: basti pensare che l’ultimo premier italiano a recarsi ufficialmente in Turchia fu, nell’agosto del 2009, proprio Silvio Berlusconi.
Se dunque questo rapporto economico privilegiato può essere, in chiave politica, funzionale alla Turchia per aprire ulteriormente la porta comunitaria socchiusa da Germania e Francia, alla luce oltretutto delle parole dette da Renzi in veste di (anche) loro rappresentante, l’Italia potrebbe ottenere una preziosa chiave per avviare una leadership mediterranea: l’energia. Con una fava, l’amicizia turca, l’Italia infatti prenderebbe due piccioni: lo status effettivo di ponte strategico-economico tra Europa centrale e Medio Oriente, e la diversificazione del suo approvvigionamento energetico, strutturale cruccio della sua politica estera.
QUESTIONE DI ENERGIA − Proprio la strategia geo-energetica italiana è legata a doppio filo con la Turchia: il 6 agosto 2009, infatti, Erdogan e Putin firmavano, alla presenza di Berlusconi, un accordo intergovernativo che permetteva al gasdotto South Stream (SS) di attraversare le acque territoriali turche del Mar Nero. La pipeline avrebbe dovuto raggiungere l’Europa tagliando fuori l’Ucraina grazie al doppio passaggio Mar Nero-Balcani e Bulgaria-Grecia-Puglia. Tuttavia, a causa delle conseguenze politiche della guerra in Ucraina, e al mancato permesso del Governo bulgaro per il passaggio del progetto nel proprio territorio, la Federazione russa si è tirata indietro, decisione comunicata ufficialmente lo scorso 1° dicembre 2014 in una conferenza congiunta con Erdogan. Gli ultimi due “colpi di coda” di questo progetto sono stati la conseguente decisione di Putin di concedere uno sconto del 6% alla Turchia sulle forniture energetiche dal 2015 e l’acquisizione di Gazprom delle restanti quote del progetto delle altre compagnie, tra cui ENI.
E l’Italia, restava dunque a guardare, sedotta e abbandonata? Per fortuna no, proprio grazie a quel rapporto economico di cui sopra: è stato infatti recentemente annunciato il progetto STAR, in collaborazione con Sace, comprendente una linea di credito da 400 milioni di euro per il finanziamento di 50 imprese italiane, tra cui Saipem, e una linea di garanzie da 2,1 miliardi di euro a disposizione delle imprese italiane che operano o intendono operare in Turchia. Progetto del valore complessivo di oltre 4 miliardi di dollari che, attraverso la realizzazione di una raffineria greenfield ad Aliaga, ridurrà la dipendenza dall’import di prodotti raffinati grazie a una produzione di 200mila barili al giorno.
Insomma, se tradizionalmente la politica è totalizzante al punto da farsi ingerente nelle altre sfere sociali, questa volta sembra essere l’economia a offrire uno spazio all’azione politica, e a dettare una linea fondamentale della politica estera italiana.
Giovanni Gazzoli
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Il Southern Gas Corridor, iniziativa della Commissione europea, è un progetto che ha lo scopo di rifornire il Vecchio Continente di gas, diversificando quella che attualmente è sostanzialmente l’unica fonte, ovvero quella russa tramite l’Ucraina. A causa dell’instabilità politica intercorsa tra l’Unione europea e questi due Paesi, peraltro non primo (e probabilmente non ultimo) episodio che ha avuto una ripercussione sul mercato del gas, si è avvertita infatti la necessità di diversificare i corridoi di approvvigionamento energetico europeo. Il corridoio meridionale ha proprio questo obiettivo, attingendo da Caucaso e Medio Oriente e passando dall’Europa meridionale, anzichè da quella orientale. L’iniziativa è stata proposta all’interno della Second Strategic Energy Review – An EU Energy Security and Solidarity Action Plan. Partner di questa iniziativa sono stati identificati, tra gli altri, Paesi come Turchia, Iraq, Egitto, chiaramente nelle possibilità offerta dalle condizioni politiche ed economiche.[/box]