Esclusivo – Direttamente dal Kurdistan iracheno, il racconto della difficile vita degli abitanti. I campi profughi sono sovraffollati e i problemi di convivenza tra etnie diverse nelle città degradate talvolta esacerbati. Ma c’è anche chi lavora per la pace. In 5 punti, il nostro reportage
Chi parla è Neval Nabeel, 22 anni, una bellissima ragazza che viveva con la sua famiglia a pochi chilometri da Mosul, sulla strada che porta ad Erbil. Ora vive con i suoi nove familiari in un mall, un centro commerciale, che accoglie 1655 persone o 410 famiglie, ad Erbil. Lavora con le ONG, insieme ad un altro ragazzo, per dare sollievo a queste famiglie, la gran parte delle quali sono composte da suoi concittadini.
“Qui la situazione è anche migliore delle altre – ci spiega Farhad Majono, siriano che lavora per UNICEF – perché sono all’interno di un centro commerciale. Ci sono disagi certo, ma non vivono dentro le tende e quando piove hanno un riparo“.
Farhad ha ragione. Visitiamo il campo profughi di Harshm e la situazione cambia. Non è un campo grandissimo, ci sono 1400 persone, ma i bambini sono numerosissimi, 800. “Per questo abbiamo deciso di stabilire qui il nostro centro – afferma Micol Alberizzi, responsabile del progetto per Terre des Hommes Italia – i bambini qui possono fare attività ricreative, studiare, esprimersi e soprattutto intrattenersi con gli altri coetanei del campo“.
Harshm esiste da settembre 2014 e fornisce grande supporto alla popolazione. Circa 400 bambini dai quattro anni in su, ogni settimana vengono qui a giocare con le insegnanti e con i volontari. I problemi riguardano soprattutto l’igiene, ma i pericoli sono dietro l’angolo. Ci sono ancora le tende, anche se il Governo di Taiwan sta provvedendo a donare a tutti i rifugiati presenti nel campo i container. La presenza dei fornelli a gas in queste ‘case’ ambulanti le rende ambienti molto pericolosi e recentemente un bambino è morto in questo campo a causa di un incendio.
3) I campi profughi: Rifugiati siriani, IDP e popolazione locale – Le ONG stanno facendo moltissimo per i rifugiati siriani e per gli IDP, o internally displaced persons, gli sfollati iracheni che sono dovuti scappare da Mosul, Tikrit e le città limitrofe per trovare rifugio in Kurdistan. Sono però anche osservatorio privilegiato di un altro problema che riguarda anche le persone che vivevano qui prima che la crisi scoppiasse: i curdi, abitanti di Erbil e di altre zone della regione che in questo momento ospitano i rifugiati. Sono forse i campi profughi che attirano l’attenzione mediatica, ma c’è un inizio di problematica evidente agli occhi degli operatori umanitari e che riguarda i centri urbani.
“E’ facile entrare in un campo profughi e rendersi conto delle difficoltà: vedere le tende, i problemi sanitari e di igiene, l’assenza di elettricità – spiega Laura, operatrice del progetto Building Child Protection in Iraq per TDH Italy – ben più difficile è comprendere le esigenze quando si entra in un quartiere cittadino o di un villaggio. Per questo abbiamo iniziato a lavorare per le comunità urbane, perché se prima Erbil era una città che pensava unicamente al suo sviluppo, con l’enorme afflusso di rifugiati sta attraversando momenti di difficoltà“.

“Noi curdi siamo un popolo dalla mentalità e dal cuore aperti, gentili con gli altri, generosi – sostiene Muther Barakayee, autista locale che ha vissuto per 18 anni a Portland, negli Usa – li accogliamo e li accoglieremo. Perché in questo momento non c’è Kurdistan che tenga, vede… non abbiamo neanche una nostra bandiera“.
Muther spiega che è importante il lavoro di istruzione che molte ONG fanno in loco, ad esempio insegnare il curdo agli iracheni. “Non penso che questa crisi finirà presto – precisa Muther – e occorre dare agli iracheni gli strumenti per potersi stabilire e lavorare in Kurdistan, tra questi in primis imparare la nostra lingua“.
5) Erbil e l’ISIS – Fino a settembre scorso c’era il timore che l’ISIS potesse avanzare fino ad Erbil. Ora forse questo timore è diminuito, ma non del tutto. La sensazione è che si viva sul chi va là. In certe zone del centro infatti, dopo gli attentati terroristici del 19 e del 20 novembre scorso, non si può andare ed è bene non circolare in determinate zone fuori città. Del resto siamo ad appena un’ora da Mosul, roccaforte di Daesh. Negli ultimi quattro giorni anche l’aeroporto è stato protagonista di stranezze. Quasi tutti i voli sono stati cancellati per ‘nebbia’, con gli aerei bloccati ad Istanbul, Amman ed altre città limitrofe. Ma qui le giornate erano serene e il cielo limpido.
“E’ stato a causa di un raid israeliano nel Golan”, ci ha detto oggi una fonte. L’altra ipotesi è che le forze internazionali abbiamo compiuto operazioni contro ISIS e che l’aeroporto sia stato chiuso perché una parte dello spazio aereo coincide con quello dove vengono condotti i raid.
Mariangela Pira
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