Il Caffè Geopolitico ha avuto l’opportunità di intervistare l’astronauta italiano Luca Parmitano, con il quale abbiamo parlato del settore spaziale in Italia e in Europa, con uno sguardo ai riflessi sulle relazioni internazionali. Ovviamente, abbiamo anche parlato della sua esperienza nello spazio.
Si ringraziano l’Agenzia Spaziale Europea, l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Aeronautica Militare.
Parliamo del settore spaziale in Italia, che negli ultimi anni ha registrato diversi successi. Secondo te quali sono i fattori di questi successi e quali invece, se ce ne sono, le criticità o opportunità mancate?
Questa è una domanda che un po’ esula dal mio campo, perché io mi occupo più della parte operativa che della parte di gestione – o comunque di economia del settore. Dal punto di vista di operatore, di utilizzatore, i successi sono dovuti al nostro retaggio, ovvero: in Italia c’è da sempre una forte industria meccanica, che nasce dalle automobili – una produzione della quale siamo stati per parecchi anni leader – e si è poi evoluta nel campo dell’aerospazio. Di fatto, la nostra industria aeronautica ha un’eredità, formatasi nei primi anni del secolo scorso fino ad arrivare ai nostri giorni. In questo senso, lo spazio è l’evoluzione naturale della dimensione aeronautica ed è da lì che viene la nostra capacità, soprattutto nel campo delle costruzioni aerospaziali. Il fatto innegabile che le costruzioni aerospaziali italiane siano all’avanguardia è testimoniato dalla presenza a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS – International Space Station) di ben 5 elementi permanenti costruiti in Italia, più due astronavi per il rifornimento il cui modulo pressurizzato è costruito dalle nostre industrie e mi riferisco all’ATV (Automated Transfer Vehicle – Veicolo Automatico di Trasferimento) e al Cygnus. A cosa è dovuta? È dovuta alla serietà della nostra industria, alla capacità dei nostri designer e dei nostri ingegneri che sicuramente sono un fiore all’occhiello forse poco valorizzato da chi gestisce l’Italia – o che forse non viene ricordato abbastanza spesso. Ma chi lavora in questo campo ne è ben cosciente.
Di occasioni mancate è difficile parlare riguardo all’Italia: quando si parla di aerospazio bisogna spostarsi un po’ al di là dei confini nazionali e guardare la situazione nella sua interezza. L’Italia con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) è parte dell’Agenzia Spaziale Europea (European Space Agency – ESA) ed è lì che era nato, negli anni Novanta, il progetto di una navetta spaziale tutta europea che potesse avere anche un equipaggio. Secondo me – ma questo chiaramente non è colpa dell’Italia né di qualche Paese in particolare: è solamente un problema di priorità di missione e di gestione oculata delle risorse disponibili – avremmo avuto l’opportunità di sviluppare una navetta spaziale tutta europea che potesse portare anche carico umano. Questo non è stato fatto, neanche con l’evoluzione di un sistema di lancio che fosse abilitato a trasportare esseri umani, per cui al momento non abbiamo un accesso indipendente allo spazio per astronauti europei. In futuro questa sarà una nuova, entusiasmante sfida per l’Europa.
Come vedi la “commercializzazione” dello spazio avviata oggigiorno dagli Stati Uniti attraverso le navette cargo automatiche (Cygnus e Dragon) per la ISS e in futuro con i primi voli delle capsule con equipaggio della Boeing e della Space-X?
Ti rispondo con una frase: non vedo l’ora che vengano approntate e messe a lavoro! Non ci trovo niente di strano in quello che è successo: anche per quanto riguarda lo Space Shuttle, non è stata la NASA a costruirlo, ma era un progetto della Rockwell International poi acquistata dalla Boeing. La NASA di per sé non costruisce navette, non costruisce astronavi, ma prima di questo nuovo step era molto integrata nel processo di progettazione e approvazione. Adesso il grande passo avanti è stato fatto nel lasciare molta più indipendenza alle aziende che costruiscono le astronavi. Io credo che questo sia effettivamente un’evoluzione del pensiero per cui, una volta che vengono date le specifiche richieste per la navetta – per la sicurezza e per le capacità – le aziende sono in grado di poter costruire questi mezzi e io sarei ben contento di poterli provare; non avrei nessuna remora, sono sicuro che le macchine andranno benissimo. Sono veicoli estremamente complessi, con tutti i vizi che ne derivano, questo è chiaro e sicuramente non penso che queste astronavi non avranno in futuro dei problemi. Abbiamo visto che tutte le macchine possono avere dei problemi e questo è normale quando si costruiscono dei sistemi molto complessi. Quindi ripeto: non vedo l’ora che queste capsule entrino in servizio e non vedo l’ora di poterle provare.
Allarghiamo lo sguardo alla geopolitica. Nonostante le attuali tensioni diplomatiche, i Paesi occidentali e la Russia continuano a collaborare in diversi settori tra i quali lo spazio e la ISS è il programma principe di questa cooperazione. Secondo te, lo spazio può influire positivamente sulle relazioni “terrestri”?
Io spero che sia un esempio. Un esempio per tutti. Spero che sia un esempio lampante del fatto che quando un programma riesce a coinvolgere in maniera istituzionale, in maniera entusiasmante, in maniera focalizzata la gente, i politici, gli industriali, gli operatori, riesce ad avere un successo che va al di là delle barriere, al di là dei confini, al di là delle diversità linguistico-culturali. Il programma spaziale ha il vantaggio da questo punto di vista di donare un’ispirazione che è universale da sempre e di donare una missione che è unica, ossia la consapevolezza di lavorare per il futuro, di lavorare per tutta l’umanità, di lavorare per assicurare un futuro diverso e migliore in tutti i campi, dalla scienza, alla medicina, alla conoscenza, alla tecnologia, all’industria. Questa consapevolezza è quella che unisce. Nei momenti in cui si lavora con questa coscienza, sicuramente gli equipaggi a bordo hanno un’unione che va al di là del semplice rapporto di lavoro, ma diventa un rapporto umano. Per quanto riguarda le agenzie spaziali, chiaramente, l’arte del compromesso assume una sua forma sublime, che è quella della consapevolezza che si dipende l’uno dall’altro e che nessuno può fare a meno dell’altro – e questa consapevolezza dell’importanza di una globalità d’intento è quella che secondo me dovrebbe spronare chi ci governa a comprendere quali sono le nostre possibilità e a valorizzarle mettendo da parte le divisioni.
Torniamo in Italia e parliamo della tua “casa madre” ovvero l’Aeronautica Militare. L’Aeronautica ha un grande retaggio per quanto riguarda il settore spaziale in Italia, come prosegue questo retaggio oggi, al di là di te e del capitano Cristoforetti che ne siete l’espressione “umana”?
Noi ne siamo l’espressione “umana”, questo non c’è dubbio, ma non dimentichiamo il colonnello Maurizio Cheli e il colonnello Roberto Vittori, persone che ci hanno aperto la strada per fare questo lavoro. Noi siamo, da un punto di vista delle risorse, una parte piccolissima di quanto impegno c’è nel mondo dell’aerospazio da parte dell’Aeronautica. L’Aeronautica è la Forza Armata che per eccellenza si rivolge allo spazio. Il nostro retaggio, come hai detto tu giustamente, è decennale. Proprio qualche settimana fa abbiamo festeggiato il cinquantenario del lancio del nostro primo satellite, il San Marco-1, realizzato da un team guidato dal generale Luigi Broglio. Come continua questo retaggio oggi? Sicuramente, da un punto di vista della Difesa, i nostri satelliti sono lo strumento che per eccellenza ci permette di seguire in tempo reale la situazione attraverso le comunicazioni, il controllo della meteorologia, attraverso anche il controllo in tempo reale delle immagini acquisite tramite appositi sensori. Sono sicuramente un sistema straordinario per il mantenimento della sicurezza e del controllo del territorio. Il retaggio non si ferma qui: l’industria aerospaziale è assolutamente integrata con quella della Difesa aerospaziale e quindi la cooperazione effettiva e fattiva che esiste tra Agenzia Spaziale Italiana e Aeronautica Militare è un supporto anche all’economia, poiché le due realtà si muovono in maniera parallela. Inoltre, negli ultimi anni, c’è stato un ulteriore grosso interesse verso lo spazio da parte dell’Aeronautica, testimoniato anche dalla recente costituzione di un Gruppo Ingegneria per l’Aerospazio presso l’aeroporto militare di Pratica di Mare che è quello preposto alla comprensione e all’ottimizzazione delle risorse aerospaziali all’interno della Forza Armata.
Torniamo nello spazio, e parliamo della Soyuz: cosa ne pensi di questo veicolo spaziale dalla lunga “carriera”?
Esiste un detto molto semplice: “squadra che vince non si cambia“. Penso sia valido in tutti i campi. La Soyuz è una macchina per certi versi straordinaria, nella sua semplicità ha una bellezza, che è la bellezza della tecnologia che funziona. La cosa che mi piace moltissimo della Soyuz, del progetto Soyuz e della sua gestione da parte dei russi, è che ogni macchina è un’evoluzione della precedente, c’è un continuo cambiare elemento per elemento del veicolo al punto che una Soyuz di oggi sarebbe irriconoscibile da chi l’ha utilizzata vent’anni fa nonostante l’aspetto esteriore sia praticamente identico. Quello che conta, ovvero il “cuore” e il “cervello” della macchina, è completamente rinnovato. Io ho avuto l’opportunità di pilotarla come copilota e avere un posto privilegiato a bordo della capsula e me ne sono innamorato, per la semplicità dei sistemi di gestione della macchina e della sua capacità di portare in orbita astronauti e cargo in maniera così pratica ed efficace e con una ridondanza elegantissima di sistemi che permettono all’equipaggio di riportarsi a terra in maniera sicura, praticamente in qualsiasi condizione.
Ultima domanda, un po’ personale: quando hai fatto la tua prima attività extraveicolare, quali sono state le tue sensazioni nel momento in cui sei uscito dal portello esterno della Stazione?
Bellissima domanda, ma difficilissima risposta. C’è un problema che io ho espresso molte volte in questo modo: la lingua dell’uomo si è evoluta in base a quello che l’uomo vede e che lo circonda, perché in questo senso la lingua serve a dare una voce agli oggetti che ci circondano e alla natura che ci circonda, ma non si è ancora evoluta abbastanza per dare una voce alle sensazioni che non sono state mai immaginate, quindi non esiste ancora un linguaggio che esprima bene quello che si prova nel momento in cui si entra in orbita o, come nel mio caso, si “entra” nello spazio circondato solamente da una tuta spaziale. Io mi ricordo quei momenti con una lucidità e una chiarezza incredibili, come se tutto fosse successo proprio ieri ed è un mix di emozioni che vanno dal nervosismo dato dalla voglia di far bene alla gioia di vedere un sogno realizzarsi, all’amore incredibile che si prova per il proprio pianeta nel momento in cui lo si vede così “nudo” navigare nello spazio e anche un po’ all’orgoglio di rappresentare in quel momento tutti quelli che mi hanno aiutato nel mio percorso per diventare astronauta o per arrivare a indossare quella tuta e a essere il primo italiano a effettuare un’attività extraveicolare. Tutte queste emozioni viaggiavano dentro di me contemporaneamente ed è impossibile sceglierne una che sia preponderante rispetto alle altre. Sicuramente mi ricordo che ero estremamente focalizzato in quello che dovevo fare perché sapevo l’importanza del lavoro e sapevo che dietro di me c’era un intero team, una squadra di persone che mi ha addestrato, mi ha preparato e che in quel momento mi seguiva da terra. Per tutte queste persone io dovevo fare al meglio delle mie capacità.
Emiliano Battisti
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Un chicco in più
Luca Parmitano è maggiore dell’Aeronautica Militare. Pilota sperimentale dal 2007, ha accumulato più di 2000 ore di volo, qualificandosi per il pilotaggio di più di 20 tipologie di aerei ed elicotteri militari. Nel 2007 è stato decorato con la Medaglia d’Argento al Valore Aeronautico.
L’Agenzia Spaziale Europea l’ha selezionato come astronauta nel 2009. Il 28 Maggio 2013 è decollato su un veicolo spaziale russo Soyuz dal cosmodromo di Baikonur (Kazakhstan) per la sua prima missione di lunga durata sulla Stazione Spaziale Internazionale, assieme alla statunitense Karen Nyberg e al russo Fëdor Nikolaevič Jurčichin. Luca ha trascorso 166 giorni nello spazio come Flight Engineer delle Expedition 36 e 37, compiendo due attività extraveicolari per un totale di circa 7 ore e 39 minuti.
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