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Las Malvinas son argentinas?

Da ormai diverse settimane si è ripresentata l’annosa questione riguardante la sovranità sulle minuscole isole sudamericane. Da una parte l’Argentina, tornata a fare la voce grossa e a rivendicarne il possedimento, dall’altra il Regno Unito, che viceversa non ha alcuna intenzione di riaprire una vicenda che riteneva ormai chiusa per sempre. Tra mera propaganda e interessi geopolitici, proviamo ad anticipare i possibili sviluppi della vicenda

Da Buenos Aires

I FATTI – Probabilmente il trentesimo anniversario della guerra tra Argentina e Regno Unito era una ricorrenza troppo ghiotta per non far tornare in auge il conflitto latente ma sempre in essere intorno alle isole Malvinas/Falkland. Stavolta a dare il via alle polemiche è stata la decisione presa il 20 dicembre scorso dai paesi membri del Mercosur (Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay) di proibire l’ingresso nei propri porti alle imbarcazioni aventi la bandiera delle isole contese. La misura, presa in seguito alle forti pressioni del governo argentino (emblematiche in tal senso le parole del Presidente dell’Uruguay, José Mujica: “Non abbiamo nulla contro il Regno Unito, ma abbiamo molto in favore dell’Argentina”), non ha ovviamente lasciato indifferente Londra. Tanto che un portavoce del Foreign Office si è immediatamente detto “molto preoccupato per l’ultimo tentativo argentino di isolare la popolazione delle Falkland e danneggiarne le condizioni di vita, per il quale non può esservi alcuna giustificazione”. Per tutta risposta, il governo britannico ha deciso di inviare in Sudamerica il gioiello della Royal Navy: l’incrociatore HMS Dauntless – costato 1,5 miliardi di dollari – con un radar in grado di individuare minacce nel raggio di 400 km, e missili antiaerei in grado di colpire alla medesima distanza fino a otto obiettivi in appena dieci secondi. In aggiunta, è stato predisposto per i primi di febbraio l’arrivo alle Falkland del Principe William, spedito per un addestramento militare di sei settimane da svolgersi proprio sulle isole (con tanto di uniforme da conquistador indossata dall’erede al trono britannico). Il gioco delle parti non si è ovviamente arrestato qui, e la Presidenta Kirchner ha colto la palla al balzo per rilanciare la sfida, denunciando tramite una missione del Ministro degli Esteri Timerman presso le Nazioni Unite la crescente militarizzazione dell’intera area sudamericana messa in atto dalla Gran Bretagna, e chiedendo all’ONU di mediare affinché quest’ultima accetti di sedersi al tavolo delle trattative per ridiscutere del futuro dell’isola.

LA POSIZIONE ARGENTINA – Alla luce degli eventi elencati sopra, pare quantomai legittimo chiedersi cosa l’Argentina speri di guadagnare da questo scontro diplomatico: la Kirchner punta davvero ad ottenere la sovranità sulle Malvinas? Oppure si tratta di una manovra pensata per riportare l’Argentina agli onori delle cronache internazionali, e mostrare a tutto il mondo il peso diplomatico e l’autorità riconquistata da Buenos Aires dopo aver toccato il fondo con il default finanziario? Infine, potrebbe essere una semplice mossa per attirare consensi in patria, in vista di una possibile riforma costituzionale nel prossimo futuro? Ciascuna delle tre spiegazioni potrebbe essere quella buona. Quel che è certo è che la questione delle Malvinas viene da sempre vissuta da gran parte dell’opinione pubblica argentina come un vero e proprio affronto all’orgoglio di una nazione intera: sin dai primi anni di scuola viene insegnato ai bambini che le isole sono da considerarsi argentine a tutti gli effetti, e che solo la prepotenza colonizzatrice di un paese lontano impedisce che esse siano parte integrante del territorio nazionale. Ed è proprio di “colonialismo anacronistico” che si parla sovente a Buenos Aires, per bocca, prima di ogni altro, proprio della Kirchner. Che ricorrendo a una tale terminologia sta tentando, per usare le sue stesse parole, di trasformare “la causa delle Malvinas da un problema solamente argentino ad una questione globale”. Importante da sottolineare è il fatto che rispetto al passato l’Argentina non è più sola. I paesi dell’America Latina e dei Caraibi si sono espressi in blocco in favore di Buenos Aires, con la sola parziale eccezione del Cile (e in tal senso ha dato i suoi frutti la recente visita a Santiago da parte di Cameron). Inoltre, persino gli Stati Uniti hanno mostrato freddezza nei confronti dello storico alleato britannico, e lo stesso Obama ha dichiarato piuttosto laconicamente come questa sia una “questione bilaterale, da risolversi tra le parti”. Sulla bontà e sincerità delle intenzioni del governo argentino, tuttavia, in parecchi hanno più di un dubbio. È risaputo come la carta del nazionalismo e del patriottismo sia sempre efficace nell’attirare facili consensi e popolarità. E consenso è proprio ciò di cui in questo periodo la Kirchner ha un grande bisogno per tamponare il malcontento generatosi in seguito ai cospicui tagli alla spesa pubblica, che hanno fatto venir meno i generosi sussidi in diversi ambiti; allo stesso tempo, consenso è necessario per provvedere a modificare la Costituzione in quella parte che le proibirebbe di candidarsi per il terzo mandato consecutivo alla guida del paese. Proprio in tale chiave si può interpretare la decisione di rinominare il campionato di calcio argentino, più precisamente il torneo di Clausura, Crucero General Belgrano, dal nome di una nave da guerra argentina affondata da un sottomarino britannico 30 anni orsono. Mossa che ha mandato la FIFA su tutte le furie, ma che ha senz’altro consentito alla diatriba e alla stessa Kirchner di guadagnare un certo spazio sulle prime pagine dei quotidiani sportivi e non.

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LA REPLICA DEL REGNO UNITO – Da parte sua, Londra ostenta sicurezza, conscia del fatto che il verificarsi di un conflitto armato sia altamente improbabile, e consapevole in ogni caso della propria indiscutibile superiorità militare. A tal proposito, il Segretario della Difesa britannico Philip Hammond ha dichiarato come l’Argentina non rappresenti una minaccia concreta per le isole, e non vi sia necessità di aumentare il dispiegamento di forze militari presenti nell’area. Tuttavia, un qual certo nervosismo dovuto al ripresentarsi di una questione che si pensava aver chiuso una volte per tutte 30 anni fa è senz’altro filtrato dalle stanze dei bottoni britannici. Alle argomentazioni argentine volte a rimarcare come la sovranità britannica sulle Malvinas implichi una presenza di tipo coloniale di una potenza straniera e una pesante militarizzazione dell’intera area, il Regno Unito ha ripetutamente replicato sventolando la bandiera del diritto all’autodeterminazione della popolazione risiedente nelle isole (circa 2.500 persone, i cosiddetti “Kelpers”). Ovviamente trattasi di discendenti dei coloni di Sua Maestà che tempo addietro si stabilirono nelle Falkland, e che godono dello status e si considerano cittadini britannici a tutti gli effetti. L’aspetto che maggiormente interessa il Regno Unito, tuttavia, è sicuramente un altro. A Londra fanno indiscutibilmente gola le riserve di petrolio conservate nei fondali del mare circostante le isole, che si stima possano contenere fino a 8 miliardi di barili di greggio: tradotto, significa 120 miliardi di euro di possibili guadagni nei prossimi decenni. Non solo: la posizione geografica delle Falkland consentirebbe al governo britannico di utilizzarle come “testa di ponte” per legittimare le proprie richieste di sovranità su porzioni importanti di Antartide, ricco a sua volta di risorse energetiche ancora largamente inesplorate. Decisamente, due buoni motivi per non mollare la presa su questi pochi scogli bagnati dall’Atlantico.

COME ANDRA’ A FINIRE? – Il governo argentino sta certamente svolgendo un lavoro egregio nel perorare la propria causa, trovando tra l’altro l’appoggio inaspettato di star del mondo dello spettacolo come Sean Penn e Roger Waters. Ciononostante sembra molto difficile che possano esservi sostanziali mutamenti di posizione: se l’Argentina aveva in passato una concreta possibilità di rientrare in possesso delle Malvinas, ebbene questa è probabilmente venuta meno con la sciagurata invasione di 30 anni fa. Tuttavia alla Casa Rosada appaiono convinti e determinati nell’andare fino in fondo alla contesa diplomatica. In particolare, saranno percorse fino in fondo le alternative offerte dall’ONU, consistenti nell’impegno preso da Ban Ki-moon di svolgere i buoni uffici nella trattativa, e nella discussione della vicenda che verrà effettuata il prossimo 14 giugno in seno al Comitato Speciale per la Decolonizzazione. Certamente non è molto, e siamo comunque ben distanti da una qualsiasi risoluzione dell’Assemblea Generale o da un ordine del giorno in Consiglio di Sicurezza. Stante la ferma posizione del governo britannico, secondo il quale non esiste nessuna questione su cui discutere, né tantomeno alcun motivo per sedersi intorno a un tavolo, sembra dunque difficile che si possa andare molto al di là delle schermaglie di queste settimane. Probabile anzi che la fine delle celebrazioni per il trentennale del conflitto porti anche via con sé gli ultimi strascichi di questa polemica. Pronta comunque a ripresentarsi non appena una delle due parti in causa lo riterrà utile per i propri scopi. Antonio Gerardi [email protected]

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