Caffè lungo – A due anni dall’ascesa di Javier Milei, l’Argentina è sospesa tra stabilità economica e rabbia sociale. La rivoluzione in atto può spezzare il ciclo di crisi o diventarne l’ennesimo capitolo.
TAGLI, CONSENSO E CONTRADDIZIONI
Il responso delle recenti elezioni di medio termine ha lanciato un segnale forte e inequivocabile. Gli argentini hanno abbracciato un’idea: quella di proseguire con il cambiamento radicale iniziato due anni fa, un progetto che — pur tra dubbi e incertezze — sembra voler guardare al lungo periodo. Ma tra le righe del voto si legge anche un messaggio più profondo: per il momento, gli elettori hanno voltato le spalle al peronismo. Eppure, dal punto di vista socioeconomico, la situazione in Argentina resta tutt’altro che rosea. Perché, allora, così tanti argentini continuano a sostenere Milei? E quali risultati concreti ha ottenuto finora il suo Governo?
Fedele alle promesse elettorali, Milei ha messo mano ai conti pubblici con una politica di tagli senza precedenti: ha ridotto la spesa per istruzione, ricerca e sanità, eliminato interi ministeri, congelato le pensioni e licenziato decine di migliaia di dipendenti statali.
Ha inoltre tagliato i sussidi a energia, gas e trasporti, facendo impennare il costo della vita.
In sintesi, ha drasticamente snellito lo Stato, ottenendo da un lato un notevole risanamento dei conti e, dall’altro, una profonda rabbia sociale. I risultati economici, però, sono evidenti: per la prima volta in oltre un decennio l’Argentina ha registrato un avanzo di bilancio, e l’inflazione mensile è scesa dal 25% al 2%. Milei ha un obiettivo chiaro: restituire credibilità al Paese e alla sua moneta, inseguendo un ideale di libertà economica capace di ridare slancio alle potenzialità argentine. Eppure, i numeri raccontano anche un’altra realtà. I prezzi a Buenos Aires non hanno nulla da invidiare a quelli europei, ma il salario medio si aggira intorno ai 700 euro al mese.
La povertà dilaga in molte zone della capitale e dell’interno del Paese, e, nonostante ciò, Milei è riuscito a consolidare il proprio consenso. Com’è possibile? Per comprendere la situazione, bisogna riavvolgere il nastro e tornare all’inizio della sua storia.
Fig. 1 – Manifestazione a Buenos Aires per chiedere il finanziamento dell’università e della ricerca pubblica, 26 giugno 2025
DALLA CRISI AL DISINCANTO
“No hay plata” — non ci sono soldi. Con questa frase, Javier Milei si era presentato al Paese subito dopo l’insediamento, puntando il dito contro le politiche della sinistra socialista che lo aveva preceduto e, più in generale, contro un intero sistema fondato su sussidi e assistenzialismo statale.
L’uomo, che in campagna elettorale agitava una motosega al grido di “¡Tiembla la casta!” (“Trema la casta!”), non solo è riuscito a spaccare il Paese e a conquistare la presidenza, ma ha anche imposto nel dibattito pubblico le proprie idee anarco-capitaliste, presentandole come l’unica via per rifondare l’Argentina. Per quasi vent’anni, il Paese era stato guidato da Governi di ispirazione peronista e orientamento sociale — prima con Néstor Kirchner, poi con Cristina Fernández e infine con Alberto Fernández. Queste Amministrazioni, eredi della profonda crisi del 2001, avevano puntato su politiche di espansione della spesa pubblica per ridurre povertà e disoccupazione, sostenendo salari e consumi attraverso sussidi e programmi statali. Nel breve periodo, ciò aveva contribuito a una ripresa economica e a una maggiore inclusione sociale, ma nel lungo ha alimentato una dipendenza dallo Stato e un sistema clientelare in cui il consenso elettorale si consolidava attraverso la distribuzione di benefici. È su questo terreno che si innesta la “battaglia culturale” di Milei: spezzare la mentalità dell’assistenzialismo e sostituirla con una visione fondata sul merito individuale e sul libero mercato. Il problema strutturale, però, era (ed è) più profondo. L’economia argentina, tradizionalmente basata sul modello primario-esportatore — agricoltura e materie prime, — ha funzionato solo finché i prezzi internazionali sono rimasti alti. Quando il valore delle esportazioni è calato, le entrate fiscali si sono ridotte, il deficit è esploso e l’inflazione ha divorato i salari reali.
A completare il quadro, la corruzione endemica e l’inefficienza istituzionale hanno minato la fiducia dei cittadini, aprendo la strada all’ascesa di un “outsider” come Milei, capace di incanalare la rabbia sociale in un discorso radicale contro “la casta” e lo Stato stesso. In questo contesto di crisi e disillusione, le elezioni del 2023 non hanno rappresentato solo un cambio di Governo, ma l’inizio di una nuova fase politica, segnata dall’incertezza e dal tentativo — controverso e radicale — di rifondare l’Argentina dalle sue macerie economiche.
Fig. 2 – Javier Milei al America Business Forum di Miami, 6 novembre 2025
L’ETERNA PROMESSA DELL’ARGENTINA
Milei ha vinto le elezioni presidenziali per la sua franchezza e la sua trasparenza verso il popolo? Non solo. È stato in grado anche di veicolare un messaggio più profondo: la fiducia nella capacità degli argentini di rialzarsi con le proprie forze. Un messaggio che tocca le corde più autentiche dell’identità nazionale — quella di un popolo di migranti che, “con una mano pa’ adelante e una pa’ atrás”, ha costruito il Paese dal nulla. In Argentina non è raro avere due o tre lavori: è un modo di vivere, una forma di resilienza.
Oggi l’Argentina si trova al crocevia di dinamiche geopolitiche cruciali. Il rapporto con Stati Uniti e Cina — tra esportazioni di soia, gas e litio — definirà il suo ruolo nei prossimi anni. Ma per Milei resta un monito: esperimenti liberali quali quelli della giunta militare o di Menem portarono sì ad una stabilità temporanea, ma al prezzo di una profonda deindustrializzazione e di crisi devastanti, come nel 2001.
Come ricordano Acemoglu e Robinson in Perché le nazioni falliscono, il premio Nobel Simon Kuznets distingueva “quattro tipi di Paesi: sviluppati, sottosviluppati, Giappone e Argentina”. L’Argentina dimostra che le risorse naturali non bastano; il Giappone, che contano le Istituzioni. Il compito di Milei è proprio questo: spezzare il ciclo di crisi e mostrare che l’apertura al mercato globale non deve per forza significare nuovo caos.
Il suo Governo rimane, per molti, una promessa di rinascita: un ritorno al lavoro, alla disciplina economica e alla lotta contro la corruzione — nella speranza che questa volta, davvero, l’idea diventi realtà.
Mattia Alfano
“Javier Milei” by Gage Skidmore is licensed under CC BY-SA


