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Sottomissione di Houellebecq: islamofobia o disincanto saccente?

Sottomissione di Michel Houellebecq è un libro discusso, che suscita reazioni contrapposte, soprattutto perché tocca una delle paure dell’Europa contemporanea, ossia l’invasione musulmana e l’ascesa di un Islam politico capace di imporre la propria visione. Il romanzo di Houellebecq è davvero un inno all’islamofobia?

UN SUCCESSO EDITORIALE − Edito in Italia da Bompiani lo scorso 15 gennaio, Soumission ha venduto in una settimana 120mila copie, alle quali è immediatamente seguita una ristampa di altre 100mila copie.
Il romanzo è stato legato da subito e per sempre all’attentato a Charlie Hebdo.
Perché si tratta dello stesso Paese, della stessa città. Perché, con il tempismo fatale di cui spesso l’essere umano è ignaro veicolo, l’ultima copertina del giornale satirico francese era dedicata proprio allo scrittore.
Perché Michel Houellebecq, pseudonimo col quale è universalmente noto Michel Thomas, ha perso un amico nell’attentato, l’economista antiliberale Bernard Maris, il quale gli aveva anche dedicato il saggio Houellebecq économiste.
Ma soprattutto perché, se da un lato è piombata nel cuore dell’Europa una manifestazione dell’islamismo radicale violento, dall’altro lo scrittore scrive proprio di Islam, di Islam in Europa e di Islam al potere in Europa.

UN PRESIDENTE MUSULMANO − Houellebecq immagina che alle Presidenziali del 2022 sia il candidato musulmano a vincere. Gli sviluppi politici dell’apatica Francia sono narrati attraverso i pensieri di un altrettanto apatico e disincantato professore alla Sorbona, single quarantaquattrenne con Huysmans quale unica passione e tematica di ricerca.
Sarà proprio il protagonista l’ultimo a convertirsi all’Islam, per poi probabilmente sposare una o più delle molte giovani studentesse velate, pratica lentamente divenuta sistematica tra i suoi colleghi convertiti.

«La religione più stupida è l’Islam. La lettura del Corano lascia prostrati. La Bibbia, almeno, è bella perché gli ebrei hanno un enorme talento letterario».

Questa e altre frasi hanno sancito la fama di Michel Houellebecq, attirando sullo scrittore accuse di islamofobia da ogni fronte, esattamente come oggi sta facendo Sottomissione.
Eppure il libro non risulta indigeribile per il sentimento islamofobo che lo anima, ma per il saccente, esasperato, pigro disincanto del protagonista, dei suoi flussi di coscienza, dei rapporti d’amicizia e d’amore che è, in modo evidentemente compiaciuto, inabile a creare.

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GIORNO PER GIORNO − Islamofobia significa paura dell’Islam, dei musulmani. Houellebecq non li teme, li guarda invece dall’alto come tutto ciò che lo circonda, come la classe politica francese, primo fra tutti il premier centrista François Bayrou, «insostituibile perché perfettamente scemo».
L’Islam politico che si legge in questo libro, inteso come dotato di accesso a Istituzioni e gangli di potere e come calato nella polis, cresce e prende piede in un climax ascendente graduale, lento.
Non si parla di un’invasione numerica o di un’imposizione repentina e totale di codici culturali nuovi.
La tensione si percepisce in un crescendo, dagli spari iniziali, non a caso uditi in lontananza, allo scenario da guerra civile che spingerà in seguito il protagonista ad allontanarsi per qualche tempo dalla capitale alla volta della provincia di Quercy. Non ci sono niqab o burqa bensì ampie bluse che rendono indistinte le forme del corpo femminile e lo privano di attrattiva.
A prescindere dall’eclatante improbabilità di un simile scenario per il 2022 e oltre, il libro ha dunque il pregio letterario, nell’ottica di chi vuol cedere all’allarmismo e alla diffidenza, di ben delineare una gradualità, un climax che, come tutti i cambiamenti che avvengono giorno per giorno, non dà quasi nell’occhio, non è di facile consapevolizzazione. E proprio per questo può inquietare.

«La musica arabo-andalusa, lancinante e lugubre, diffusa dagli altoparlanti, non contribuiva a migliorare l’atmosfera, ma il problema non era quello, e all’improvviso, dopo tre quarti d’ora che girellavo tra gli invitati, dopo una decina di meze e quattro bicchieri di vino rosso, capii cos’è che non andava: c’erano solo uomini. Non era stata invitata neanche una donna».

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PRETENZIOSITÀ, NON ISLAMOFOBIA − Eppure come si è detto non è esattamente un libro islamofobo. È invece un’opera disillusa e ostile al mondo del futuro più prossimo, ai governanti e al panorama accademico, nella quale si biasima più l’accidia del Vecchio continente che l’intraprendenza dei musulmani in ascesa. Accanto alla disastrosa classe politica francese, formata da volti che cercano di riciclarsi, alleanze di comodo e opportunismo, la figura più arguta è infatti quella di Rediger, uno dei pochi personaggi a essersi convertito con una scelta convinta.
Né è vero dunque che il libro possa fare il gioco del Front National, una delle ultime cose che vorrebbe lo scrittore.
I socialisti di Holland e Valls e il centrodestra di Jean-François Copé si alleano per far fronte al rischio-Le Pen e decidono di votare il candidato musulmano Mohammad Ben Abbas, figlio di un piccolo commerciante arabo ed entrato in politica esclusivamente per meriti, che nutre il progetto di spostare più a sud l’asse portante europeo.
[box type=”shadow” align=”alignright” class=”” width=””][/box]Il libro in ultima analisi lascia insoddisfatti per la pretenziosità più che per l’islamofobia, per il nulla descritto col nulla.
Nulla è anche la caratterizzazione delle figure femminili, fatta una minima eccezione per Miriam, la studentessa ebrea che emigrerà in Israele con cui il protagonista François ha una relazione appena meno esclusivamente sessuale rispetto a quella con le altre comparse femminili. Le donne sono latitanti, presenti come corpi e prede sessuali e oscurate dalla voluta, ma francamente snob, nullità del protagonista che non sa valorizzarle.
Per tutti quelli che amano ricordare come il vocabolo arabo Islam voglia dire proprio “sottomissione” e di conseguenza definiscono i musulmani come “sottomessi” che concepiscono l’esistenza sulla base di questa sola categoria spirituale, è bene infine forse ricordate due cose.
La prima è che per l’Islam classico l’unica sottomissione concepibile è quella a Dio, come in qualsiasi altra religione rivelata.
La seconda è che il vocabolo arabo per “musulmano”, muslim appunto, è un participio attivo e non passivo.
Tale apparente sottigliezza linguistica denuncia in realtà come nell’atto di fede vi sia sempre implicata la volontà del singolo, la niya individuale, non una costrizione data e inesorabile.

Sara Brzuszkiewicz

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Sara Brzuszkiewicz
Sara Brzuszkiewicz

Sono nata nel 1988 e ho cominciato a conoscere il mondo molto presto grazie a due folli amanti dei viaggi, i miei genitori. Laureata in Mediazione Linguistica e Culturale nel 2010 ed in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale nel 2012, sono junior researcher su Nord Africa e Medio Oriente alla Fondazione Eni Enrico Mattei e dottoranda in Istituzioni e Politiche all’Università Cattolica di Milano. Nutro una smisurata passione per la lingua araba, una delle più ricche al mondo, e per la cultura arabo-musulmana in tutte le sue forme: dalla storia alla cucina, dalla geopolitica alla letteratura, dall’attualità alla danza orientale. Appena ho potuto, per migliorare il mio arabo o per piacere personale, ho viaggiato tra Egitto, Marocco, Siria, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Oman. Cittadina del mondo troppo sensibile, mi lego per sempre ad ogni luogo vissuto, che poi è immancabilmente difficile lasciare.

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