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Lo snodo energetico israeliano

Lo scorso 5 marzo si è registrato l’ennesimo attentato contro l'Arab Gas Pipeline (AGP) – il 13esimo dal 5 febbraio 2011 – il gasdotto che, attraverso il Sinai, trasporta gas ad Israele e Giordania. L’ atto di sabotaggio ha prodotto un clima di incertezza e preoccupazione nelle politiche di approvvigionamento e sicurezza energetica di Israele. Dal canto suo, lo Stato ebraico per ridurre la propria dipendenza dal gas egiziano sta accelerando i suoi programmi legati alle politiche energetico-infrastrutturali. Infatti, lo scorso 5 febbraio, Israele ha approvato la costruzione di una linea ferroviaria che, unendo le due coste del Paese, costituirà un'alternativa terrestre ai traffici del Canale di Suez aprendo, dunque, un nuovo ponte commerciale tra i mercati asiatici e quelli europei. 

LA DIPENDENZA ENERGETICA DI ISRAELE – Fin dalla sua fondazione nel 1948, l’autosufficienza energetica è sempre stato ritenuto un tema di rilevanza strategica per lo Stato di Israele. Per ovviare a tale problema, Israele ha sempre importato petrolio e gas dai Paesi vicini ma, dal 2008, ha stretto una joint venture energetica con l'Egitto per il suo gasdotto nel Sinai. L'AGP costituisce per Israele una risorsa di approvvigionamento energetico fondamentale: la capitale economica Tel Aviv dipende da questo gasdotto per il 40% del suo consumo totale, rifornendosi ogni anno di 1,7 miliardi di metri cubi di gas naturale. L'AGP è tanto più fondamentale in quanto Israele non dispone di vere alternative e non intrattiene buone relazioni diplomatiche con gli altri produttori nel mondo arabo. La fornitura di gas allo Stato ebraico è oggetto di numerose proteste in Egitto da parte di islamisti, secolaristi e anti-governativi che hanno accusato l'allora Presidente Hosni Mubarak di aver venduto gas ad un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato.

RISCHIO SABOTAGGI – Tuttavia gli attentati al gasdotto egiziano hanno prodotto un'interruzione della fornitura regolare di gas sia ad Israele, sia alla Giordania. Secondo fonti governative israeliane, il costo dei sabotaggi è stato valutato in circa quattro miliardi di dollari. Tuttavia, pur avendo creato degli intoppi alle forniture di Tel Aviv, la situazione non sembrerebbe essere particolarmente critica a causa della scoperta di ricchi giacimenti di gas al largo delle coste israeliane. Il Levantine Basin, secondo le stime 2010 dello U.S. Geological Survey, vanta riserve pari a 3.453 miliardi di metri cubi di gas naturale, ma i due siti più grandi, “Tamar” e “Leviathan”, detengono riserve pari rispettivamente a 238 miliardi di metri cubi e a 450 miliardi di metri cubi. I due siti – che dovrebbero essere operativi da metà 2013 e fornire alla compagnia statale Israel Electric Corporation (IEC) circa 3 miliardi di metri cubi all’anno per almeno quindici anni – potrebbero dare la possibilità ad Israele di divenire un importante esportatore di gas a livello regionale

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LA FERROVIA NEL DESERTO – Considerato l'alto potenziale strategico e la decisione del governo di voler ridurre la propria dipendenza dal gas egiziano, Tel Aviv ha avviato un fitto programma di infrastrutture volto a favorire l'esportazione di gas nell'intera regione. Tra queste, l'infrastruttura più rilevante sembra essere la ferrovia “Red-Med”, che dovrebbe trasportare gas dal porto di Ashdod sul Mediterraneo verso quello di Eilat sul Mar Rosso, per poi esportarlo come gnl (gas naturale liquido) verso i mercati asiatici. La linea ferroviaria Eilat-Ashdod – che dovrebbe costare circa 2,3 miliardi di dollari e vedrà il coinvolgimento sia di investitori locali, sia di partner cinesi e indiani – sarà lunga 350 Km e diverrà pienamente operativa entro la fine del 2017. Come ha sottolineato il governo israeliano, la “Red-Med” sarà un'importante infrastruttura strategica complementare al congestionato Canale di Suez – da cui transita l'8% del traffico marittimo globale – che consentirà un trasporto alternativo di merci e idrocarburi dall'Europa all'Asia.

DIVERSIFICARE FONTI E VIE – Oltre alla “Red-Med”, il governo Netanyahu sta finanziando tutta una serie di infrastrutture strategiche volte a rendere il Paese “un rilevante vettore terrestre […] in grado di permettere un avanzamento delle aspirazioni energetiche, industriali ed economiche dello Stato ebraico”. A questo progetto si aggiungono, inoltre, i piani relativi alla realizzazione di nuove tratte stradali e ferroviarie, come la Ashkelon-Ofakim o la Ashdod-Tel Aviv-Haifa, prolungamenti del braccio principale Eilat-Ashdod. Altra opzione strategica sarà il collegamento della “Red-Med” alla linea esistente che va da Be'er Sheba a Dimona e comprenderà otto nuove stazioni lungo il percorso, tra cui quella che congiungerà il futuro aeroporto internazionale della Timna Valley con il Golfo di Aqaba e il porto di Eilat. La rilevanza dell'infrastruttura risiede, dunque, nella sua duplice capacità di aumentare i contatti di Israele con i mercati asiatici riducendo, al contempo, la sua dipendenza dalle economie di Europa e Stati Uniti – che costituiscono più del 70% delle destinazioni finali dell'export israeliano – e, al contempo, di rendere il Paese uno strategico hub energetico regionale. Nonostante gli investimenti e le strategie di diversificazione, le strategie energetiche di Israele nel breve periodo saranno comunque fortemente dipendenti sia dal gas egiziano, sia dalle sue pipeline, almeno fino a quando non entreranno in produzione i siti gasiferi nel Bacino del Levante e le relative infrastrutture di espansione dell'export israeliano.

Giuseppe Dentice [email protected]

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