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Filippine, rischi e prospettive di un’economia in ascesa

Jim Yong Kim, presidente della World Bank, si è detto convinto che le Filippine saranno il prossimo miracolo economico del continente asiatico. A dispetto di una crescita del 6% prevista per quest’anno, il governo di Manila dovrĂ  far fronte a due importanti fattori che rischiano di minare le basi del suo sviluppo: l’aumento delle diseguaglianze e le devastanti calamitĂ  naturali. Ecco un breve approfondimento sullo stato di salute del Paese insulare

UNA NUOVA TIGRE NEL SUD-EST ASIATICO – A partire dal 2001, la Repubblica delle Filippine si è resa protagonista di un percorso di crescita a ritmi sostenuti che le ha consentito di sfoderare un quadro macroeconomico da far gola a qualsiasi Paese europeo. Conti pubblici in ordine; un basso livello del debito pubblico; un tasso di inflazione (2,5% nei primi mesi del 2015) non troppo lontano dal target del 3% fissato dal Bangko Sentral; una moneta – il peso – relativamente stabile; ingenti riserve di valuta estera (circa 80 miliardi di dollari). Le ragioni di tale successo hanno diversa natura, tuttavia esse possono essere compendiate nel coraggioso programma di riforme avviato dall’amministrazione di Gloria Macapagal-Arroyo (2001-2010) e – successivamente – portato avanti dall’attuale Governo di Benigno Aquino III, in carica dal 2010. Il modello di sviluppo del grande Stato insulare del Mar Cinese Meridionale è cambiato nel corso del tempo, essendo ora specializzato nel c.d. Information Technology-Business Process Outsourcing (IT-BPO), ossia dalla presenza nel Paese dei contact center services di aziende multinazionali, soprattutto statunitensi. Tale scelta si fonda non solo su basi prettamente economiche, bensì anche sulla dimestichezza che la nuova generazione di filippini si trova ad avere con le espressioni idiomatiche dell’American English. Non a caso, la capacitĂ  di parlare in inglese con accento neutro – soprattutto rispetto agli operatori indiani con le medesime mansioni – unito ai vantaggi fiscali promessi dal governo nazionale hanno fatto propendere le multinazionali ad esternalizzare nelle Filippine gran parte delle proprie operazioni di customer care. L’operatore di call center è un lavoro che gode di un’ottima reputazione tra i giovani di Manila, Davao e di altre grandi cittĂ  del Paese ed è considerato il tipico impiego della classe media.

Oltre all’IT-BPO, il Governo ha posto in essere una strategia di lungo periodo volta ad incrementare i flussi di turisti provenienti dall’estero. Grandi investimenti sono stati finora disposti per costruire resort e casinò (come la City of Dreams della capitale), facendo delle Filippine la nuova “terra promessa” asiatica del gioco d’azzardo. In generale, quindi, il settore dei servizi – in modo particolare, l’IT services – conta per il 57,1% del Pil nazionale, contro il 31,1% del settore industriale e l’11,8% di quello agricolo. Esso ha generato nel 2013 entrate per 11/13 miliardi di dollari, corrispondenti al 5% del Pil nazionale. Nel maggio scorso l’agenzia finanziaria Standard&Poor’s ha alzato il long-term credit rating del Paese a BBB, valore piĂą alto di quello assegnato all’India. Tale valutazione è stata giustificata tenendo conto della stabilitĂ  politica raggiunta nell’ultimo decennio e dall’effettivo miglioramento delle prospettive di crescita. Inoltre, secondo gli analisti, le rimesse degli oltre 10 milioni di lavoratori filippini residenti all’estero (25 miliardi di dollari nel 2013, circa un decimo del Pil nazionale) sono da considerarsi un toccasana per l’intera economia in quanto stimolano i consumi interni. La miglior cura per mantenere elevato il proprio tasso di crescita negli anni a venire.

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Fig. 2 – Un’operatrice di un call center di Manila

LE DISTORSIONI DELL’ECONOMIA FILIPPINA – A questo punto è necessario individuare chi ha tratto maggiori benefici da quindici anni di forte espansione economica. Principalmente, i conglomerati industriali guidati dalle piĂą influenti famiglie del Paese. Ad un esame piĂą accurato, non si può dire che quella delle Filippine sia stata una crescita economica inclusiva poichĂ© il gap delle diseguaglianze si è progressivamente dilatato, tant’è che secondo i dati forniti dall’Asian Development Bank la societĂ  filippina si configura come tra le piĂą ineguali di tutto il continente asiatico. A supporto di questa tesi, intervengono le statistiche: soltanto il 40% della popolazione controlla il 76% dell’economia nazionale. PiĂą di un quarto della popolazione – su un totale di 107,6 milioni di abitanti – vive tuttora in condizioni di povertĂ  assoluta. Lo Human Development Index della World Bank (WB) – un indicatore generato prendendo in esame l’aspettativa di vita, l’accesso all’istruzione e lo standard di vita – non ha mai smesso di aumentare dal 1980, assestandosi nel 2013 allo 0.660. Il numero dei disoccupati ha toccato quota 10 milioni, corrispondente al 7% della forza lavoro. Per fare un raffronto, la media del tassi di disoccupazione nei Paesi ASEAN non supera il 4%. Infine, con una crescita demografica annua del 2%, i redditi delle famiglie filippine sono cresciuti – in termini reali – di appena il 20% nel periodo 1981-2009. Ciò porta a dire che gli ambiziosi obiettivi fissati dal Governo nel Piano di sviluppo 2010-16 sembrano ancora lontani dall’essere raggiunti.

Al di lĂ  dei numeri, il sistema economico del Paese è affetto da una serie di distorsioni strutturali che rischiano di mettere a repentaglio gli sforzi intrapresi nel decennio scorso. Un primo problema è la mancanza di un’effettiva regolamentazione nei settori chiave dell’economia, quali l’agricoltura, il trasporto marittimo e l’energia. Oltre a ciò, vi è l’assenza di un sistema reticolare di trasporti ed infrastrutture efficiente, l’alto costo delle utilities (soprattutto dell’elettricitĂ ) e la piaga della corruzione. Nella fattispecie, secondo i dati forniti nel 2014 da Transparency International, il Paese-arcipelago occupa l’85° posto su 175 per livello di corruzione percepita, uno dei peggiori risultati tra i Paesi del Sud-est asiatico, dove peraltro la corruzione si è dimostrata essere una pratica endemica. Un quadro del genere non favorisce certamente l’attrazione degli investimenti esteri, attualmente bassi rispetto agli standard regionali. Non deve dunque sorprendere che il Paese occupi il 108° posto su 189 nella classifica Doing Business stilata dalla WB nel 2014. Complementare a quanto giĂ  riportato, vi è un ulteriore aspetto che contribuisce allo stesso modo a gettare un’ombra di incertezza sulle prospettive di crescita: i disastri naturali. I tifoni che hanno colpito le Filippine negli ultimi tre anni – Bopha (2012), Haiyan (2013), Hagupit (2014) – hanno vanificato gli interventi di politica economica messi a punto dalle ultime due amministrazioni nei confronti soprattutto delle comunitĂ  rurali, le piĂą colpite dalle devastazioni

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Fig. 3 – Il presidente Benigno Aquino III (al centro) a Tacloban all’indomani del tifone Haiyan (novembre 2013)

UNA CRESCITA ILLUSORIA? – In conclusione, ci troviamo di fronte ad una “crescita illusoria”, sulla scia di quella sperimentata durante gli anni della dittatura di Ferdinand Marcos? Secondo Rajiv Biswas, capo economista di IHS per la regione Asia-Pacifico, la crescita potenziale delle Filippine nel periodo 2016-30 sarebbe compresa tra il 4,5 ed il 5% per anno. Il Pil pro-capite dovrebbe passare da 2.800 dollari nel 2014 a circa 5.800 dollari nel 2024: ciò potrebbe segnare il passaggio del Paese da un’economia dipendente dall’ITC e dalle rimesse ad una basata sui consumi, con una conseguente espansione della classe media. BenchĂ© lontano dal target fissato nel Piano di sviluppo (7-8%), il Governo potrebbe dare slancio alla crescita approfittando dell’attuale congiuntura economica contraddistinta dal calo del prezzo del petrolio. Tuttavia, per affrancare una grossa fetta di popolazione dalla povertĂ  e riportare così in equilibrio il proprio modello di sviluppo, le prossime mosse dell’amministrazione Aquino dovrebbero focalizzarsi sui seguenti aspetti: 1) riforma del sistema produttivo per aumentare crescita e competitivitĂ , ponendo l’enfasi sul settore manifatturiero; 2) ingente programma di spesa in infrastrutture, educazione e salute; 3) lotta alla corruzione; 4) eliminazione delle barriere burocratiche agli investimenti privati e miglioramento del sistema di law enforcement; 5) sviluppo del microcredito a sostegno delle piccole e medie imprese; 6) salvaguardia dell’ambiente e adozione di misure di prevenzione per mitigare gli effetti dei disastri naturali. Dovesse riuscirci entro la fine del suo mandato (2016), il Presidente non impiegherebbe molto a far dimenticare ai propri connazionali ogni delusione.

Raimondo Neironi

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] Un chicco in piĂą

Dopo oltre trecento anni di dominazione spagnola, le Filippine passarono nel 1898 sotto il controllo diretto degli Stati Uniti. Ottenuta l’indipendenza nel 1946, l’influenza politica e culturale americana è ancora oggi ben visibile se si considera che la lingua piĂą utilizzata nelle conversazioni quotidiane è il Taglish, un mix di Tagalog e inglese, entrambe elette al rango di lingue ufficiali della Repubblica.[/box]

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Raimondo Neironi
Raimondo Neironi

Dottorato di ricerca in Storia internazionale presso l’UniversitĂ  Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per il “Caffè”, mi occupo di tre temi: politica, economia e ambiente; e due aree del mondo: Sud-est asiatico e Australia.

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