Con una mossa a sorpresa, il premier israeliano Benjamin Netanyahu forma un governo di unità nazionale con il suo ex-compagno di partito Shaul Mofaz, ora alla testa di Kadima spiazzando sia i partiti religiosi e più nazionalisti sia chi comunque sperava in elezioni anticipate. E’ una risposta ad alcuni dei temi più spinosi dell’agenda israeliana e non si tratta solo di Iran
VETI – Non è solo una particolarità italiana: anche in Israele a volte il governo viene bloccato da veti contrapposti. Era questa la situazione recente, dove la maggioranza guidata dal premier Netanyahu e dal suo partito Likud doveva infatti fare i conti con i partiti religiosi e Con una mossa a sorpresa, il premier israeliano Benjamin Netanyahu forma un governo di unità nazionale con il suo ex-compagno di partito Shaul Mofaz, ora alla testa di Kadima spiazzando sia i partiti religiosi e più nazionalisti sia chi comunque sperava in elezioni anticipate. E’ una risposta ad alcuni dei temi più spinosi dell’agenda israeliana e non si tratta solo di Irannazionalisti di destra (Shas, United Torah Judaism, Habayit Hayehudi e soprattutto Israel Beitenu di Avigdor Lieberman) che lo sostenevano, uniti nel difendere uno status quo che penalizzava Gerusalemme sia sul fronte economico interno sia su quello diplomatico internazionale. Vista la situazione, la notizia che il paese sarebbe tornato presto alle urne con elezioni anticipate non aveva sorpreso nessuno.
VECCHI COMPAGNI – Netanyahu ha invece spiazzato tutti con una mossa che allontana le elezioni e apre nuovi spazi di manovra per il governo, che sarà ora formato dai due principali partiti del paese. L’accordo raggiunto potrà sembrare strano, ma non lo è affatto. Chi osserva la politica israeliana da anni ricorderà infatti che Shaul Mofaz era egli stesso originariamente un membro del Likud ma aveva poi seguito Sharon nella fondazione del partito Kadima. Ministro dei trasporti durante il governo Olmert, aveva poi perso solo di misura da Tzipi Livni nelle primarie del partito del 2008. Kadima si era poi confermato il primo partito del paese, ma era rimasto isolato e non aveva potuto formare un governo, lasciando il campo a Netanyahu. Ora invece la vittoria di Mofaz ha permesso un’intesa tra i due vecchi compagni di partito. Certo non si può parlare di amicizia: i due si sono insultati fino a pochi giorni fa. Ma forse l’occasione si è rivelata troppo utile per rifiutarla.
QUALI CONDIZIONI? – Nessuna possibilitĂ di “fusione” in vista: i due partiti rimangono con identitĂ separate. Ma i punti di contatto ci sono. Netanyahu rimane fedele a un suo vecchio cavallo di battaglia: l’eliminazione progressiva dei privilegi degli Haredim (gli studenti di teologia che non pagano tasse e non prestano servizio militare) perchĂ© considerati un peso per l’economia nazionale che li sovvenziona senza averne ritorni. In particolare “Bibi” vuole iniziare con l’eliminazione della Legge Tal, che permette appunto agli Haredim di non servire nell’esercito. Attualmente solo chi ne fa espressamente richiesta diventa soldato. Impossibile ovviamente far passare una simile misura quando si è strettamente dipendenti dai partiti religiosi – che di quella legge sono garantisti; ma tutto cambia se la maggioranza si poggia ora anche su Kadima, che ha le stesse opinioni del Likud al riguardo. Altre misure da sempre ipotizzate ma mai realizzate per gli stessi motivi si rendono ora possibili: la riduzione dei privilegi alle yeshiva (le scuole religiose), lo sgombero di alcuni insediamenti illegali ordinato dell’Alta Corte Israeliana (i partiti piĂą nazionalisti avevano invece richiesto che fossero resi legali per legge). In cambio Kadima avrebbe chiesto una ripresa dei negoziati con i Palestinesi, cosa che necessariamente dovrĂ passare come minimo da un congelamento degli insediamenti di coloni: impossibile farlo prima, quando erano al governo proprio i partiti che rappresentano questi ultimi.
ISRAELE E IL MONDO – Proprio quest’ultima mossa potrebbe permettere a Israele di recuperare un po’ di terreno sulla scena internazionale, dove lo stallo sui negoziati aveva portato il paese a una situazione di maggiore isolamento. Difficile dire se si arriverĂ a qualcosa di concreto – l’AutoritĂ Nazionale Palestinese rimane molto scettica e diffidente nei confronti di un premier che ha mostrato ben poca disponibilitĂ al dialogo negli ultimi anni – ma può essere la mossa giusta per riavvicinarsi alle richieste USA.
QUALCHE INCONGRUENZA – Qualcosa però non torna del tutto. Il nuovo governo si basa sì su Likud e Kadima, ma il Ministro degli Esteri è ancora Lieberman (foto a destra) e due partiti religiosi (Shas, United Torah Judaism) ne fanno ancora parte. Si avrà davvero un cambiamento o verrà tutto ancora bloccato? I margini per una svolta ora sicuramente ci sono, ma qualche analista preferisce anche puntare lo sguardo all’Iran.
IRAN SI’, IRAN NO – In effetti la questione iraniana sta prendendo una brutta piega per Israele: gli USA si dicono pronti alla difesa di Israele, ma non altrettanto ad attaccare l’Iran. Anzi, recenti indiscrezioni parevano indicare un possibile avvicinamento nel dialogo tra Washington e Teheran, su posizioni però lontane da quelle di Gerusalemme. Questo, a sua volta, potrebbe far propendere Israele per attaccare da soli e un governo di unitĂ nazionale potrebbe risultare l’unico capace di mantenere unito il paese in una tale eventualitĂ . Inoltre la riapertura del dossier palestinese potrebbe, nelle speranze israeliane, far tornare gli USA sui propri passi.
Lorenzo Nannetti