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Una poltrona per tre

Le elezioni presidenziali egiziane si avvicinano, con il primo turno il 23-24 maggio. Tra i dodici candidati, tre soltanto sembrano avere speranza di successo, e solo due di loro passeranno al secondo turno. In Occidente non si gioisce al leggere i nomi, tutti legati a gruppi e posizioni islamiche non sempre moderate, ma per l’Egitto votare è già di per sé un successo. Con i militari ancora al potere, riuscirà il nuovo presidente a diventare il campione del cambiamento?

VOGLIA DI VOTO – L’Economist riporta un interessante aneddoto riguardo al faccia a faccia televisivo dell’11 maggio scorso avvenuto tra due dei principali contendenti. In città, al Cairo, alcuni cittadini intervistati hanno dichiarato che le ragioni proposte dai due non erano la cosa di cui parlare: era più entusiasmante il fatto che, dopo decenni di dittatura, due candidati potessero discutere in TV su posizioni opposte e in libertà, prima di libere elezioni. Sta tutta qui l’eccezionalità dell’evento che il popolo egiziano sta per vivere: dopo la caduta di Mubarak, finalmente la possibilità di scegliere direttamente il capo dello stato. 

TRA SFIDANTI AI BLOCCHI E “SQUALIFICATI” – Tre sono i candidati più plausibili: Amr Moussa, ex-capo della Lega Araba, Abdel Moneim Aboul Fotouh, ex-membro della Fratellanza Mussulmana che si è “convertito” a una visione dell’Islam più riformista, e Muhammad Morsy, il candidato “di riserva” della Fratellanza stessa, dopo che il candidato principale, Khairat al-Shater, era stato escluso da una commissione elettorale nominata dall’esercito. Fuori gioco anche Omar Suleiman, ex-capo dei servizi di intelligence di Mubarak, considerato proprio l’uomo dei militari – e, mormorano i Fratelli, eliminato dalla corsa proprio per far sembrare l’esclusione di Shater imparziale. Nessuno dei candidati appare particolarmente allettante, né per l’Occidente né per la popolazione egiziana: Moussa appare il più liberale e meno legato agli aspetti religiosi, ma è giudicato troppo vicino al vecchio regime e per cercare i voti islamici ha cambiato posizioni più volte. Aboul Fotouh punta a un Islam riformista e molti islamici secolari lo appoggiano, ma al tempo stesso è appoggiato anche dai Salafiti e altri gruppi ultraconservatori: non è pertanto ancora chiaro pertanto quali saranno le sue posizioni. Morsy è invece la voce della Fratellanza, ma è giudicato poco carismatico rispetto al candidato escluso e probabilmente se eletto rischierà di essere solo un portavoce di posizioni di altri.

SORPRESE? – Attenzione però a dare a quest’ultimo la palma di vincitore anzitempo solo grazie al successo della Fratellanza nelle recenti elezioni parlamentari: proprio la difficoltà dei Fratelli a creare un’assemblea costituente, il dialogo continuo – e spesso visto come compromettente – con l’esercito e l’atteggiamento spesso un po’ prepotente di alcuni suoi esponenti dopo le elezioni ne ha minato la facciata di “integrità” che il gruppo si era costruito durante la dittatura. Se a questo si aggiunge come molte promesse pre-elettorali (“non concorreremo per più di un terzo dei seggi” e “non candideremo nessuno alla presidenza”) siano poi state ignorate (circa metà dei seggi, due candidati), si osserva come varie parti della società civile stiano rivedendo la propria valutazione dei Fratelli. Alcuni sondaggi – pur parziali e sicuramente non sempre affidabili – mostrano come il vantaggio delle elezioni si sia ora ridotto considerevolmente.

A OGNUNO IL SUO – Per ora basta però passare il turno, dopo il quale due soli candidati si sfideranno al ballottaggio il 16 e 17 giugno. E tutto per ora rimane aperto. Se Morsy rischia di scontare gli inaspettati problemi di popolarità della Fratellanza, anche Aboul Fotouh ha visto la sua popolarità calare proprio dopo il confronto televisivo con Moussa, che lo ha incalzato sulle incongruenze del suo programma e dei suoi sostenitori, così distanti tra loro. In molti temono che l’ex-Fratello Musulmano serva agli estremisti islamici semplicemente come “cavallo di troia” elettoralmente accettabile per prendere il potere. Lo stesso Moussa del resto soffre il fatto che dei nove candidati minori, molti hanno posizioni liberali che possono togliergli voti, rischiando di portarlo al terzo posto (e fuori dalla corsa). Tra i principali avversari in tal senso vi è Ahmed Shafiq, ex-premier dell’era Mubarak, troppo debole politicamente per vincere (ricorda troppo il vecchio regime) ma non per sottrarre consensi ai non-islamisti.

L’OMBRA LUNGA DEI MILITARI – Tutta questa sfida però nasconde un altro problema per l’Egitto: elezioni o no, quali poteri avrà il nuovo presidente? Le redini del paese sono ancora in mano all’esercito e come detto non esiste ancora un’assemblea costituente che possa creare una costituzione che stabilisca ruoli, compiti e prerogative; inoltre l’economia continua ad arrancare mentre gli investitori esteri rimangono in gran parte a osservare chi avrà la meglio. Il nuovo presidente avrà quindi un duro compito davanti a sé; ma chiunque vinca, se non ci saranno gravi incidenti o brogli, dovrà fare i conti con un popolo che sta sperimentando con sempre più gusto il sapore della democrazia. E che potrebbe non volerne più fare a meno.

Lorenzo Nannetti redazione@ilcaffègeopolitico.net

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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