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Il ‘cerchio’ perfetto

Road to London 2012 – Nel 1976 il clima a Montreal, sede designata per i giochi olimpici, è a dir poco surreale. In un villaggio olimpico asserragliato e chiuso in una bolla protettiva si riuniscono gli atleti delle varie rappresentative, mentre in città le strade e le piazze sono infiammate dalle proteste e dalle dimostrazioni sindacali per le condizioni di lavoro nei cantieri delle Olimpiadi. In questa atmosfera per nulla rassicurante, sono i duri a giocare, gli atleti abituati a vivere, allenarsi e gareggiare sotto una cupola di rigida disciplina. La stella di Montreal sarà dunque Nadia Comaneci, la ginnasta di Ceaucescu, il Dioniso della Romania sovietica

 

BELLA SENZ’ANIMA – «Un’ Olimpiade senz’anima». Così Monique Berlioux, direttrice generale del CIO, definisce a priori Montreal 1976 , XXI edizione dei Giochi Olimpici moderni. Mai definizione, come vedremo, fu cosi frettolosa. Dimenticare Settembre Nero, voltare pagina. L’Olimpiade di Montreal serve essenzialmente a questo. Sarebbe dovuta essere l’Olimpiade del riscatto, sarà invece ricordata come l’Olimpiade senza un cerchio. Il mondo non ha ancora dimenticato Settembre Nero e l’orribile scia di sangue che ha lasciato alle sue spalle. Fucili e reticolati proteggono il villaggio olimpico. Blindata, scortata, presidiata. L’Olimpiade, oltre a perdere un cerchio, indossa l’elmetto. Non potrebbe essere altrimenti. A morire, in quell’ormai lontana notte di Settembre del 1972, non furono solo atleti israeliani ed agenti, morì l’utopia decoubertiana di una rassegna depoliticizzata e pacifica. Non sono medaglie e trionfi a disegnare i confini ma guerre, rivoluzioni e trattati. Ottenuta l’assegnazione dei giochi del 1976 avendo la meglio su Mosca e Los Angeles, a soli quattordici mesi dall’accensione della fiaccola agitazioni sindacali e scioperi rischiano di compromettere l’intera rassegna. «La situazione di Montreal è drammatica» ammette il CIO, al quale lo scià di Persia Rezha Pahlavi, ignaro della rivoluzione guidata dall’ayatollah Ruhollâ Khomeinî che investirà il suo paese solo tre anni più tardi, propone di dirottare i giochi a Teheran. Montreal riuscirà però a tener duro.

 

LA DIPLOMAZIA DEL PING-PONG – A sole due settimane dall’inizio della rassegna, la politica internazionale compie l’ennesima intrusione negli stadi e nelle palestre: Taiwan, appoggiata dagli Stati Uniti, pretende di partecipare ai giochi con la denominazione «Republic of China»: “non cambieremo il nome della nostra squadra, porteremo la nostra bandiera e faremo suonare il nostro inno, altrimenti preferiamo ritirarci”, tuona il presidente del comitato olimpico di Taiwan Shen Chia Ming. La Cina popolare, che da tempo intrattiene relazioni diplomatiche e consolari con il Canada, non la prende benissimo: “gravi conseguenze” seguiranno se i formosiani non rinunceranno a denominazione, inno e bandiera. Sono questi anni fondamentali per la politica estera cinese e lo sport può essere un importante mezzo attraverso il quale comunicare. Sempre più protesa a trovare una collocazione internazionale autonoma da Mosca, sarà il ping- pong ad aiutare la Cina maoista a velocizzare il processo di avvicinamento con l’occidente intrapreso con l’ammissione, nel 1970, all’ONU. Seguiranno le visite, segrete ed ufficiali,dell’allora Segretario di Stato Kissinger e del Presidente Nixon ma è indubbio il ruolo giocato dallo sport nell’atteggiamento distensivo dei due paesi: «mai prima nella storia lo sport era stato impiegato come uno strumento chiave per la diplomazia internazionale», ammetterà Chou en Lai, allora primo ministro cinese, riguardo al ruolo giocato dai “diplomatici in calzoncini” invitati.

 

GUERRA FREDDA OLIMPICA – Ma se a sciogliere i rapporti tra gli Stati Uniti di Nixon e la Cina di Mao fu la cosiddetta “diplomazia del ping pong”,in occasione di Montreal 1976 lo sport fallisce nel tentativo di conciliare l’inconciliabile: preoccupato di perdere un importante partner il Canada, che tra l’altro non riconosce l’isola asiatica, di fatto estromette Taiwan. Sulla rassegna canadese aleggia lo spettro del boicottaggio americano ma l’ufficiale presa di posizione del Presidente Gerald Ford, subentrato a Richard Nixon- travolto dallo scandalo Watergate- assicura la partecipazione degli atleti in stelle e strisce. Come vedremo nel prossimo appuntamento, il “boicottaggio politico” statunitense è solo rimandato. A poche ore dalla cerimonia inaugurale, un’altra tegola si abbatte sul comitato olimpico. Si sta per consumare il primo vero boicottaggio di massa dell’olimpismo moderno. La Regina Elisabetta, presente alla cerimonia inaugurale fissata per sabato 17 luglio, avrà sicuramente notato l’esiguo numero di atleti che prende parte alla usuale parata dei partecipanti.

 

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L’AFRICA NERA DICE NO! – È la richiesta avanzata dalla Tanzania di escludere dai giochi la Nuova Zelanda, rea di mantenere strette e frequenti relazioni sportive col Sud Africa, come noto esclusa dal CIO per la perpetuazione del regime di apartheid perseguito dagli afrikaaner del partito nazionalista, a provocare la reazione del continente nero. Mentre i dirigenti olimpici sottovalutano l’iniziativa tanzaniana respingendo la richiesta, il Consiglio superiore dello sport africano chiede la solidarietà di tutte le nazioni del continente. No, i fenomenali mezzofondisti keniani non prenderanno parte ai giochi al pari dei maratoneti etiopi e di John Akii-Bua, ostacolista ugandese detentrice del record del mondo e della medaglia d’oro olimpica. Saranno ventisei le nazioni africane che ritireranno le proprie rappresentative, imitate da Guyana e dall’Iraq. Eccezion fatta per Costa d’Avorio e Senegal, l’intera Africa dice no all’Olimpiade canadese. La rassegna olimpica non parte sotto i migliori auspici tanto che qualcuno parla prematuramente di “Olimpiade senz’anima”. Probabilmente sarebbe stato così se sulla pedana della palestra olimpica di Montreal non si fosse palesata una ginnasta proveniente dall’est.

 

LA “DEA DELLA PERFEZIONE” – I «giochi olimpici sono stati creati per l’esaltazione e la glorificazione di ogni singolo atleta», era solito ripetere Pierre de Coubertin. A Montreal saranno i 39 chili di una minuta ginnasta rumena, Nadia Comaneci, ad essere glorificati. Nata nel 1961, assorbe tutta la forza e la tenacia di un popolo che ha da tempo bandito le teste coronate e che a più riprese rifiuta di soggiacere alle scelte economiche e militari di Mosca, difendendo la propria sovranità e la propria autonomia. È già campionessa europea, ma è alla XXI edizione dei giochi che avviene la definitiva consacrazione. Medaglia d’oro nel concorso generale individuale, nelle parallele asimmetriche e nella trave, medaglia d’argento nella prova a squadre e medaglia di bronzo nel corpo libero. Come se non bastassero le medaglie a certificare l’immensità della ginnasta, Nadia ottiene quello che nessuno ha ottenuto mai nella storia della ginnastica: tre « dieci». Sono quei 39 chili a dimostrare al mondo che, se la perfezione non esiste, qualcosa le va molto vicino.

 

LA PERFEZIONE E’ NULLA SENZA LA LIBERTA’ – Mentre le bambine di tutto il mondo giocano a “ Nadia” ( quando si suol dire che il danzatore diventa la danza) lo scricciolo romeno si vede privata di qualsivoglia libertà. La Romania di Ceausescu non è posto per lei, Chi per natura volteggia nella leggenda non può vivere sotto il giogo della dittatura : «la Romania è un paese formidabile abitato da gente stupenda, però il sistema ti diceva sempre quello che dovevi fare. E quello che può apparire da fuori non è esattamente come sembra. Possedevo molto è vero, ma mi mancava la cosa più importante: la libertà». Riuscirà a lasciare il suo paese solo nel 1989, anticipando di 3 settimane la deposizione del dittatore. Lasciando una Bucarest in fiamme, si rifugia all’ambasciata statunitense a Vienna, dichiarandosi prigioniera politica. Non troppo difficile immaginare la sua prima destinazione oltre cortina: Montreal. Lì ancora la ricordano come the perfect ten”. Possedevo molto è vero, ma mi mancava la cosa più importante: la libertà. Dopo quella di Jesse Owens ( Berlino 1936) e delle Pantere Nere Tommie Smith e John Carlos ecco che le Olimpiadi ci consegnano un’altra storia fatta di sport e libertà. Le “Olimpiadi senz’anima” godranno, grazie all’atleta rumena,di vita eterna. Nadia però, insieme ai sopracitati campioni, non ha solo mostrato al mondo la perfezione, ma ha impartito a tutti noi una lezione: ci sono diversi modi per perseguire la libertà. C’è chi corre, chi salta in alto e chi volteggia. E poi c’è lei. Che dire: Perfetta.

 

Simone Grassi

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Simone Grassi
Simone Grassi

Fiero membro della cosiddetta generazione Erasmus, ho studiato in  Italia e in Francia. Laureato magistrale in Relazioni Internazionali (Università degli Studi di Milano),  frequento  ora un Master di ricerca in Economia Politica all’Università di Bristol. Convinto europeista, sono stato stagista alla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Oltre all’economia e alla politica internazionale, mi affascina il mondo della cooperazione allo sviluppo, un mondo che ho maggiormente scoperto durante un tirocinio in UNICEF.

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