Il 29 aprile scorso, in Indonesia, otto persone giudicate colpevoli per traffico di droga sono state giustiziate. Fra i condannati a morte due australiani, Myuran Sukumaran e Andrew Chan. L’Australia ha interrotto i contatti ministeriali.
L’ESECUZIONE – Circa mezz’ora dopo la mezzanotte, due australiani, quattro nigeriani, un brasiliano e un indonesiano sono stati giustiziati da un plotone di esecuzione. Mary Jane Fiesta Veloso, filippina, ha visto all’ultimo minuto attuata una sospensione in attesa che si faccia ulteriore chiarezza sul caso. Estremamente duri i commenti del Primo ministro Tony Abbott, che ha definito le esecuzioni crudeli e inutili e deciso di ritirare da Jakarta – in risposta alle condanne e per un periodo di tempo indefinito – l’ambasciatore Paul Grigson. L’Australia, l’Unione Europea e la Francia avevano già esortato il Presidente indonesiano Joko Widodo a non procedere con le esecuzioni, non essendo ancora troppo tardi per cambiare idea. Tuttavia l’Indonesia, che adotta fra le sanzioni più severe al mondo per i trafficanti di droga, ha ignorato tutti gli appelli di clemenza avanzati dai leader internazionali e dai parenti dei condannati. Julie Bishop, Ministro degli Affari Esteri australiano, ha espresso, nei giorni antecedenti alla condanna, la propria preoccupazione per l’insuccesso dei colloqui finalizzati a salvare i due connazionali. La controparte indonesiana aveva già fatto spegnere qualsiasi barlume di speranza rendendo altresì sterile l’idea di recarsi personalmente a Jakarta per un ultimo disperato tentativo. Le fucilazioni hanno prodotto un attrito diplomatico sul piano delle relazioni bilaterali. Il procuratore generale Muhammad Prasetyo ha voluto ricordare che i reati di droga, contro cui il Paese ha dichiarato guerra, rappresentano un problema all’ordine del giorno, e dunque da non sottovalutare. «Un’esecuzione non è una cosa piacevole, un lavoro divertente – ha dichiarato il procuratore – e non vi è alcuna ostilità di fondo contro i Paesi di provenienza dei condannati». Prasetyo si è inoltre pronunciato sulla decisione di Tony Abbott di ritirare l’ambasciatore Grigson dall’Indonesia, considerandola una reazione temporanea.
Fig. 1 – Nell’immagine il presidente indonesiano Joko Widodo, che ha rigettato silenziosamente tutti gli appelli di grazia
“BALI NINE” – È indispensabile compiere un passo indietro per capire realmente chi erano Myuran Sukumaran e Andrew Chan. Nel 2005, nove australiani, fra cui Sukumaran e Chan (considerati i capibanda), sono stati arrestati in Indonesia mentre trafficavano oltre otto chili di eroina. Alcuni dei trafficanti sono stati fermati presso l’aeroporto di Denpasar dalla Polizia, che ha trovato legati ai loro corpi dei pacchetti di droga. La Polizia Federale Australiana (AFP) ha confermato di aver aiutato la controparte indonesiana nelle indagini, fornendo preziose informazioni che hanno in seguito condotto al fermo. Le azioni si sono interamente svolte nell’ambito della responsabilità nazionale per le indagini transnazionali e internazionali, funzione espletata dalla Polizia australiana. Pertanto, la collaborazione relativa alla criminalità internazionale è avvenuta all’interno della cornice giurisdizionale, senza infrangere particolari disposizioni da ambo le parti. Dato fondamentale da tenere a mente, poiché due trafficanti, Scott Rush e Renae Lawrence, intraprenderanno un’azione legale contro l’AFP – accusato di aver sbagliato a trasmettere all’Indonesia informazioni cruciali per l’arresto. Nel 2006, pochi mesi dopo l’inizio dei processi, la Corte distrettuale di Denpasar ha emesso le sentenze, condannando all’ergastolo tutti i trafficanti ad eccezione di Myuran Sukumaran e Andrew Chan, per i quali è stata prevista la pena di morte. Innumerevoli appelli hanno condotto a lievi modifiche o riduzioni delle pene, fatta eccezione per quelle destinate ai capibanda. Le richieste di Sukumaran e Chan saranno rigettate anche in fase di revisione giudiziaria, l’ultima possibilità di ricorso prevista nel sistema legale indonesiano. Nel 2012 la speranza sopravvive nell’appello di grazia rivolto al Presidente Susilo Bambang Yudhoyono. Tuttavia, decorsi due anni, a ricoprire la carica di Presidente sarà Joko Widodo, il quale, in un discorso tenuto in ambito universitario, ha dichiarato fermamente che non ci sarebbe stata alcuna pietà per i reati legati alla droga. La conferma del rigetto della grazia presidenziale è stata diffusa dalla leadership australiana, le cui ultime suppliche di clemenza sono rimaste inascoltate.
Fig. 2 – Andrew Chan e Myuran Sukumaran, i capibanda del gruppo noto come “Bali Nine”
CONDANNE ILLEGALI – Donald R. Rothwell, docente di Diritto Internazionale presso l’ANU College, e Chris Ward, avvocato, hanno sostenuto che le esecuzioni fossero illegali alla luce del Patto internazionale sui diritti civili e politici firmato dall’Indonesia nel 2006. Ai sensi dell’art. 6 del Trattato, «nei Paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza capitale può essere pronunciata solo per i delitti più gravi». Il traffico di droga non costituisce un crimine se – prima facie – non arreca danni o violenza ad alcuna persona. Questo quanto emerso da un parere commissionato sul caso Chan-Sukumaran e fornito al Ministro degli Esteri Bishop. Il fatto che Chan e Sukumaran stessero cospirando per trasferire della droga dalla Thailandia all’Australia, decidendo semplicemente di sostare a Bali, implica che la possibilità di arrecare danni agli indonesiani fosse remota. Per queste ragioni il loro crimine non poteva rientrare nella categoria dei “delitti più gravi”. Il Ministro Bishop ha atteso che i procedimenti legali in Indonesia fossero conclusi prima di richiedere (nel mese di marzo, mediante l’ambasciatore australiano) il consenso per portare il caso all’attenzione della Corte Internazionale di Giustizia – principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite. L’Indonesia non ha ancora presentato alcuna dichiarazione di accettazione della giurisdizione obbligatoria, né fornito risposta in merito al consenso. Ciononostante, il Ministro degli Esteri australiano ha lasciato intendere, in alcune dichiarazioni, che nessuna pressione verrà esercitata sul Governo indonesiano a riguardo. Atteggiamento dal quale traspare l’evidente volontà della leadership australiana di non compromettere oltre un certo limite le relazioni bilaterali con l’Indonesia.
Federica Daphne Ierace
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, è entrato in vigore nel 1976 assieme al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Ratificando i Patti, gli Stati si conformano ad un codice di comportamento vincolante, volto a tutelare, a livello universale, uno standard minimo di diritti e libertà fondamentali dell’individuo. Nel caso di specie, il Patto sui diritti civili e politici sancisce, all’art. 6, il diritto alla vita. Le disposizioni a riguardo stabiliscono che la pena di morte, negli Stati in cui non fosse stata ancora abolita, possa essere riservata ai soli delitti più gravi (par. 2) e che il condannato abbia il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena indipendentemente dai casi (par. 4). [/box]
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