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Mamma li Tuareg

Dal 2011, il Mali è minacciato dalla rivolta dei tuareg del nord, i quali, alleatisi con il gruppo islamista Ansar Dine, hanno dichiarato l’indipendenza dello Stato di Azawad, imponendo la shari’a in alcune zone. Insorgendo contro le sconfitte nelle regioni settentrionali, i militari hanno rovesciato il governo di Touré, accettando la proposta dell’ECOWAS per la presidenza di transizione di Traoré, attualmente sotto cure mediche in Francia per le percosse subìte da un gruppo di manifestanti. Nell’Azawad, tuttavia, il fronte dei ribelli mostra segni di frattura riguardo all’applicazione della shari’a e allo status dei non musulmani nel Paese. A preoccupare, però, è l’assoluta mancanza di informazioni certe sui confini della crisi del Mali

IL COLPO DI STATO – Per comprendere l’attuale situazione in Mali è necessario riepilogare i fatti occorsi negli ultimi mesi. Il 22 marzo, un gruppo di militari guidati dal capitano Amadou Sanogo, definito dal “Time” «un improbabile uomo forte», ha rovesciato il governo del legittimo presidente Amadou Toumani Touré, formando la Commissione per la ricostituzione della democrazia e per la restaurazione dello Stato. Alla base del golpe sarebbe l’esasperazione dei soldati per la frustrante conduzione delle operazioni contro i tuareg del nord, per l’equipaggiamento vetusto e inefficiente, per l’addestramento scarso e la presenza di molte reclute inesperte in prima linea. Dal 2011, infatti, i tuareg del Mali si sono ribellati contro il governo di Bamako, unendosi nel Fronte di liberazione nazionale dell’Azawad, una coalizione di gruppi combattenti composti anche da reduci della guerra civile in Libia e da militanti del gruppo islamista Ansar Dine, che reclama la sovranità sulle regioni settentrionali di Gao, Kidal e Timbuctu. LE INCERTEZZE DELL’ECOWAS – Costretto alle dimissioni Amadou Touré l’8 aprile, l’ECOWAS ha imposto alcune sanzioni economiche e politiche nei confronti del Mali, ma ha evitato il ricorso all’intervento militare, scegliendo di imbastire una serie di negoziazioni che hanno condotto al passaggio dei poteri dalla giunta di Amadou Sanogo al Parlamento. Nel frattempo, in alcune zone del nord entrava in vigore la shari’a, mentre monumenti e beni archeologici erano distrutti dalla furia delle formazioni islamiste che vantano legami con al-Qaeda. A metà aprile, il dialogo tra ECOWAS e giunta di Bamako ha portato a individuare il presidente di transizione in Dioncounda Traoré, speaker del Parlamento. Il 21 maggio, però, Traoré è stato ricoverato in ospedale e, quindi, trasferito in Francia per alcuni accertamenti medici, perché percosso da manifestanti che protestavano contro le ingerenze dell’ECOWAS, invocando a gran voce il nome di Sanogo. VERSO UNO STATO ISLAMICO? – Nelle regioni settentrionali, ormai nelle salde mani degli insorti, la situazione ha subìto una rapida degenerazione. Sfruttando i disordini nella capitale e il vacuum istituzionale, i tuareg hanno conquistato le maggiori città del nord, tra le quali Timbuctu, proclamando unilateralmente la nascita di uno Stato indipendente, l’Azawad, e trovando un accordo con Ansar Dine per la costituzione di un sistema basato sulla legge shariatica. Per tutto aprile si sono susseguite le immagini di miliziani che incendiavano gli antichi monumenti di Timbuctu, patrimonio UNESCO, distruggendo le tombe dei santi venerati dalle popolazioni locali e ogni testimonianza della cultura pre-islamica o non del tutto aderente ai dettati coranici. Tuttavia, già dopo pochi giorni, il fronte degli insorti ha cominciato a vacillare, e sempre più frequenti sono state le voci di scontri tra i tuareg e Ansar Dine, finché, il 29 maggio, non è arrivata da entrambe le parti la conferma del mancato accordo sul futuro Azawad. Sebbene ancora non ci sia chiarezza sui reali motivi della frattura, né della sua entità, alcune fonti riportano quali punti di disaccordo il livello di applicazione della shari’a o il trattamento dei volontari non musulmani presenti nella regione.

IL MANTO DELL’INCERTEZZA – Al di là della riproposizione cronologica, sulla quale, tra l’altro, non c’è concordia, ad allarmare è la mancanza di confini definiti nella vicenda. Se gli avvenimenti di Bamako possono comunque rientrare nei canoni del colpo di Stato militare, con i disordini e la situazione caotica che ne derivano, i fatti delle aree settentrionali del Mali aprono scenari ben più inquietanti, soprattutto perché scarseggiano informazioni e dati certi. La rivolta dei tuareg potrebbe condurre alla creazione di un nuovo Paese islamico, interamente desertico e isolato, poiché nessuno degli attori regionali, per il momento, ha manifestato la reale volontà di intervenire. Tuttavia, a impensierire è anche il ruolo di Ansar Dine, gruppo del quale si conosce poco, dal suo presunto legame con al-Qaeda, fino ai suoi connotati talvolta più prossimi al brigantaggio che al terrorismo. Il problema principale per gli osservatori esterni è proprio l’assoluta mancanza di informazioni e l’incapacità, anche per le stesse fonti dirette, di definire cosa stia accadendo in un territorio che, composto dalle regioni di Gao, Kidal e Timbuctu, è grande come la Francia. Difficilmente ci sarà un intervento dell’ECOWAS nel breve periodo, né le ultime notizie lasciano supporre che Alassane Ouattara sia disposto a inviare nel novello Azawad il contingente di 3mila uomini già mobilitati. Per il Mali, quindi, si prospettano tempi oscuri, ma, al momento, purtroppo, ne avremo solo una conoscenza parziale e in lieve differita.

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’UniversitĂ  di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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