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Messico: otto mesi di silenzio per 43 desaparecidos

Sono ormai otto i mesi trascorsi da quel 26 settembre in cui 43 studenti messicani scomparirono durante le proteste di Iguala. Ancora non vi è chiarezza su quanto accaduto.

26 SETTEMBRE 2014 – Gli studenti della Escuela Normal Rural de Ayotzinapa protestano contro la riforma scolastica proposta in Messico dal Governo di Enrique Peña Nieto. Nello specifico gli studenti accusano il governo centrale di favorire gli istituti della città a discapito dei centri periferici del Paese. La protesta, degenerata in violenza, ha portato al tragico epilogo di 6 morti e 43 scomparsi. Per tali vicende sono stati subito posti sotto accusa 22 poliziotti, rei di esser stati parte attiva nei fatti di violenza descritti. Tuttavia resta pendente la questione degli scomparsi, per i quali è stato ampliato il raggio d’azione delle ricerche, impegnando oltre 1800 uomini tra Polizia statale, Esercito e Armata messicana. Il 3 ottobre, l’ONU ha condannato la scomparsa degli studenti come fatto tra «i più terribili dei tempi recenti» e la Commissione Internazionale per i Diritti Umani ha sollecitato un intervento deciso del Governo messicano per una risoluzione della questione. I risultati delle prime ricerche e investigazioni sono inquietanti: gli agenti coinvolti vanno ben oltre i 22 preventivamente arrestati ed i fatti del 26 settembre coinvolgono il cartello della droga Guerreros Unidos, che trova la sua roccaforte proprio nella regione a sud di Città del Messico. Le ricerche hanno portato alla luce oltre 11 fosse comuni contenti i resti di altri 33 desaparecidos di non si sa quali regolamenti di conti tra cartelli della droga, ma nessuno dei quali riconducibile a quel 26 settembre, o quasi.

43 students mexico foto

Fig.1 – Le proteste per i 43 studenti scomparsi

LA FACCIA TRISTE DELL’AMERICA – Di morti violente o presunte (perchĂ© mai sono stati rinvenuti i corpi) il Messico è pieno. Negli ultimi otto anni sono state assassinate oltre 150mila persone ed oltre 120mila sono scomparse a causa delle cruente guerre tra cartelli della droga. Reati che hanno un tasso di impunitĂ  del 90%. Ovviamente ci troviamo in un Paese strategico e di confine tra domanda ed offerta nel mercato della droga. Infatti da un lato abbiamo il Messico – dove si stima una produzione annua di 18 tonnellate di eroina, 15 mila tonnellate di marijuana e 600 tonnellate di cocaina,- dall’altro gli Stati Uniti, maggiore mercato mondiale di sbocco per tale merce. Avere il controllo dell’immigrazione clandestina e delle aree a ridosso del Rio Grande vuol dire avere una fonte di guadagno sicura, ma per aggiudicarsi tale privilegio occorre impossessarsi di una vasta rete clientelare e uccidere chiunque se necessario. Stiamo parlando di geopolitica del narcotraffico, che nel caso specifico vede agire 7 cartelli di medio-grande dimensione e 20 bande e gruppi locali, ovvero cartelli minori tra cui Los Guerreros Unidos. Un business di circa 30 miliardi di dollari annui e una “manodopera” (tra cui ex soldati messicani) tra le 300 e le 500 mila persone a copertura di circa il 60% delle municipalitĂ  messicane. Da questi numeri si capisce bene quella che è la complessitĂ  della questione messicana e come il divario tra istituzioni e illegalitĂ  sia in realtĂ  molto sottile e a volte inesistente. Paradossalmente, tale distinzione è ben chiara per i messicani, che spesso si trovano consapevolmente favorevoli all’illegalitĂ  per superare la condizione di povertĂ  cronica. Come agisce in tutto ciò il Governo centrale? Enrique Peña Nieto ha ampiamente dimostrato il suo favore ad un approccio neoliberale, ma le riforme attuate fino ad ora non hanno portato vantaggi tangibili agli strati piĂą poveri della popolazione.

Enrique Peña Nieto foto

Fig. 2 – Il Presidente messicano, Enrique Peña Nieto

26 MAGGIO 2015 – Sono passati 8 mesi da quel settembre tragico per il Messico e nella città di Iguala, nel distretto di Guerrero, a sud della capitale federale, si cercano ancora tracce dei 43 studenti scomparsi. In realtà, già il 6 dicembre scorso l’ Equipo Argentino de Antropología Forense ha confermato che tra i resti umani ricevuti per un’analisi approfondita e provenienti da una delle 11 fosse comuni rinvenute nel distretto di Guerrero vi sono quelli di Alexander Mora Venancio, uno dei 43 di Ayotzinapa. E anche altre testimonianze di persone più o meno coinvolte negli eventi di settembre sembrano accertare la morte degli studenti. Oggi il procuratore generale Jesús Murillo Karam cerca di chiudere il caso ufficializzando la morte degli studenti con l’incenerimento dei loro corpi nella discarica di Cocula. Un assassinio commissionato dal cartello di Los Guerreros Unidos. Il tutto confessato da Felipe Rodríguez Salgado, uno dei presunti assassini, che giustifica l’accaduto come un errore: si credeva che gli studenti fossero in realtà membri di un cartello rivale (Los Rojos). Tuttavia, i familiari delle vittime non accettano la sentenza, troppo sbrigativa e che non fa luce su alcuni punti oscuri della vicenda, né accettano l’assenza di prove scientifiche sul rilevamento di resti inconfutabilmente appartenenti ai 43 desaparecidos. I 43 studenti rimarranno sempre vivi, a testimonianza degli eccessi di un Messico che si trova in una posizione tragicamente paradossale: sempre troppo a nord per essere parte dell’America Latina e troppo a sud per esser considerato partner di primo livello dagli Stati Uniti.

William Bavone

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą –

Parlando di riforme impopolari da parte di Peña Nieto si evidenziano le modifiche apportate al settore energetico, con la storica azienda petrolifera nazionale Pemex che ha recentemente subito una forte privatizzazione perlopiù in favore del capitale statunitense. Il paradosso, infatti, ha voluto che il Messico, pur disponendo di giacimenti petroliferi importanti nel proprio golfo, si sia involuto in importatore di idrocarburi.

Per altre informazioni sulla questione dei 43 studenti scomparsi, rimandiamo all’approfondimento di TeleSur

Lo scorso 26 maggio Rigoberta MenchĂş – Premio Nobel per la Pace nel 1992 – durante una conferenza nel distretto di Guerrero ha esortato i familiari dei 43 studenti a dire la veritĂ  sui motivi per i quali i loro familiari erano a Iguala il 26 settembre. Affermazione importante che fa pensare che non tutto è stato ancora detto sulla vicenda e molto viene omesso da entrambe le parti (familiari e Istituzioni). Infine, MenchĂş ha ricordato come per sapere le cause dell’assassinio del padre ha dovuto attendere 35 anni in Guatemala.
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Foto: Gatifoto

Foto: MenPop • Suits

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William Bavone
William Bavone

Laureato in Economia Aziendale presso l’UniversitĂ  del Sannio-Benevento, ha collaborato con diverse riviste di geopolitica italiane e straniere, tra le quali «Eurasia», «Africana», «Reconciliando Mundos» e «Equilibrium Global». Membro del Comitato Scientifico di «Scenari Internazionali» e analista per «L’Indro» e «Millennials Press», è autore di Le rivolte gattopardiane (Anteo Edizioni – 2012), vincitore del Premio Nabokov 2014 – sezione Saggi Editi; Sulle tracce di SimĂłn BolĂ­var (Anteo Edizioni – 2014); Appunti di geopolitica (Arduino Sacco Editore – 2014); Eurosisma (Castelvecchi Editore – 2016).

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