In 3 sorsi – Durante una conferenza stampa, Trump ha reso subito note le priorità della propria agenda politica. Uno degli obiettivi: cambiare nome al Golfo del Messico.
1. LA LINEA ANTI-MESSICO DEL PRIMO TRUMP
Tra il Messico e Trump, si sa, non scorre buon sangue. Sin dalla campagna elettorale del 2016, il futuro Presidente aveva l’obiettivo di erigere un muro per contrastare l’immigrazione illegale al confine. “Un’emergenza umanitaria”, l’aveva chiamata Trump, identificando i migranti messicani come un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti. Una vicenda che è solo la più mediatica delle proposte trumpiane anti-Messico diffuse da quel momento. Sempre nel 2016, infatti, aveva affermato di voler tassare le auto provenienti dal Paese vicino, a quel tempo uno dei principali alleati degli States nell’esportazione dei pezzi di ricambio automobilistici. Una volta alla Casa Bianca, nel 2019, aveva imposto dazi al 5% prima e al 25% poi. E ancora, con l’inserimento della clausola cinese nel nuovo accordo NAFTA, aveva disincentivato le relazioni commerciali tra Cina e Messico. Piccoli tasselli che, uniti alla già esistente crisi interna del Paese latino, avevano danneggiato ulteriormente la sua economia.
Fig. 1 – Sostituzione di una vecchia sezione del muro tra USA e Messico dopo gli ordini del Presidente Donald Trump
2. DA GOLFO DEL MESSICO A GOLFO D’AMERICA
Oggi, una volta riconquistata la Casa Bianca, Trump torna a parlare del Messico. Precedentemente al suo insediamento e durante la sua prima conferenza stampa da Presidente, il 7 gennaio, a Mar-a-Lago, Trump aveva affermato di voler rinominare il “Golfo del Messico” in “Golfo d’America”. A legittimare la dichiarazione sarebbe la maggior influenza che gli Stati Uniti hanno, rispetto al Messico, sull’area. Parole che la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene intende trasformare in fatti con un progetto di legge, ma alle quali è seguita la risposta della Presidente messicana Claudia Sheinbaum, che si è appellata al prestigio della denominazione del Golfo. Un nome, comune punto di riferimento nei commerci marittimi, in uso dal 1607 e riconosciuto dalle Nazioni Unite. Al di là del mero valore simbolico, la contesa diventa rilevante se si coglie l’importanza del Golfo. Circa 5mila chilometri di conca oceanica tra Messico, Stati Uniti e Cuba che, oltre a essere un inestimabile tesoro di biodiversità, rappresenta uno dei punti marittimi più strategici nel commercio internazionale, nonché una “miniera” di petrolio e gas naturale. Non pochi sono, infatti, gli interessi che convergono nel Golfo del Messico, tra cui quelli dell’impresa statunitense Chevron, dell’olandese Shell, dell’australiana Woodside e della messicana Pemex.
Fig. 2 – Donald Trump alla conferenza di Mar-a-Lago in Palm Beach, Florida
3. L’AMERICA FIRST DEL SECONDO TRUMP
Ciò nonostante, nessuno ha la proprietà sul Golfo, che, invece, è regolato da leggi internazionali. Per cambiare il Golfo del Messico in Golfo d’America, Trump avrebbe bisogno dell’approvazione, oltre che dei due Paesi interessati, di vari organismi internazionali. Al contrario, è possibile che gli Stati Uniti adottino un cambio di nome in maniera unilaterale. In questo caso però, la modifica rivelerebbe l’intenzione dell’Amministrazione Trump di mantenere una continuità con l’ostilità anti-Messico del suo primo mandato. Distanza testimoniata anche dalla minaccia di una nuova tassa su tutte le importazioni messicane se il Paese non dovesse ridurre “l’assalto di criminalità e droga”. Oltre che al recente appello a “un’emergenza sanitaria” per chiudere il confine. Politiche che, se inserite in un contesto più ampio, manifestano l’attuazione da parte di Trump di un’agenda espansionistica. Così come dimostrato dalle stesse dichiarazioni sull’eventuale annessione del Canale di Panama e della Groenlandia.
Marzia Siano
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