Caffè Europeo – Sebbene il nostrano Roberto Rosetti, per anni arbitro dei più rilevanti scontri calcistici italiani ed europei ed ora strapagato responsabile arbitri della Federcalcio russa, ritenga che la nazionale del paese più vasto del mondo non abbia nulla da invidiare alle più blasonate rappresentative di Germania e Spagna, un rapido sguardo alla rosa della squadra che si presenterà ai campionati europei ed allo stato di salute (sul campo e non) del movimento calcistico russo lasciano presagire l’opposto, nonostante il successo all’esordio contro la Repubblica Ceca. Lontani dall’intento di “gufare”, tentiamo qui di spiegarvi i perché
IL PARADISO DEI POTENTI – Il calcio russo è popolato da oscuri personaggi legati a doppio filo ai più ramificati intrighi energetici e politici, intrighi che costituiscono le fondamenta dello stesso sistema-paese e che a questo garantiscono, in un nerissimo abisso di corruzione, clientelismo e rapporti personali di forza, fiducia e convenienza, la provvisoria sopravvivenza. Le facce del pallone post-sovietico sono quelle di Suleiman Karimov, di Leonid Fedun, dei fratelli Fursenko, di una moltitudine di comprimari e palafrenieri.
Karimov, affettuosamente soprannominato il “Ramzan Kadyrov daghestano” (dal nome del governatore della Cecenia tanto nemico del suo popolo e tanto caro a Vladimir Putin), ricchissimo oligarca che tutti noi amanti del gossip conosciamo per aver distrutto, nel 2006, la sua Ferrari Enzo mentre scorrazzava con una giovanissima modella sulla Promenade des Anglais di Nizza, è in realtà un uomo potentissimo detenente notevoli partecipazioni azionarie in colossi pubblici dell’economia russa come Gazprom (prima nel mondo per quantità di gas estratto e distribuito), Sberbank (prima banca russa) e Polymetal (gigante dell’estrazione di oro e argento) e la poltrona di rappresentante del Daghestan nel Senato Federale russo. Ecco, mentre nella problematica Regione caucasica a nord dell’Azerbaigian la criminalità dilagava e la gente si impoveriva drammaticamente, Karimov, forse ispirato dal sempreverde “panem et circensem” (nel caso di specie più circensem che panem) dell’Imperatore Tito, acquistava la squadra di calcio del capoluogo, l’Anzhi Machackala, con lo scopo di farne uno dei centri di potere del pallone russo ed europeo. Oggi l’Anzhi, quinta nell’ultimo campionato, non ha un vivaio né investe in giovani giocatori russi e stime attendibili certificano che, con lo stipendio annuale dell’ultimo folle acquisto Samuel Eto’o (20.5 milioni di euro) si potrebbero mettere a norma le fatiscenti e pericolanti scuole daghestane che, invece, non subiscono interventi di rilievo dai tempi dell’URSS.
Il caso Fedun fa meno impressione, egli è “solo” principale azionista della compagnia petrolifera di stato Lukoil, braccio destro del CEO azero di quest’ultima Vagit Alekperov e allo stesso tempo Presidente dello Spartak Mosca, uno dei club russi più vincenti e tifati. Molto più interessante è la vicenda dei fortunati fratelli Fursenko, buoni amici di Vladimir Putin sin dai tempi in cui tutti e tre frequentavano gli uffici comunali di San Pietroburgo alla metà degli anni ‘90: il maggiore, Andrei, è stato Ministro dell’istruzione sino a qualche giorno fa, il secondogenito, Sergei, direttore generale di Lentransgaz (controllata da Gazprom) ed ex Presidente dello Zenit San Pietroburgo (che è stato rivitalizzato proprio con i soldi pubblici provenienti dalla Gazprom dopo un periodo molto buio), è ora Presidente della Federcalcio russa. Entrambi posseggono una dacia nell’esclusiva Solovyovka, in Carelia, loro vicini di casa e soci nella fumosa cooperativa Ozero (lago) sono personaggi come Vladimir Putin e Vladimir Yakunin (CEO delle Ferrovie russe).
TANTI SOLDI, POCHI PROGETTI – L’interesse di miliardari e uomini di potere potrebbe far pensare ad un movimento calcistico estremamente vitale, così però non è. La serie A russia, salve le società moscovite e lo Zenit San Pietroburgo, è popolata da squadre poco competitive che si combattono gli ultimi posti di classifica e dispongono di strutture e stadi obsoleti e sottodimensionati. I club più ricchi, di contro, tentano di mettere a segno colpi di mercato sensazionali acquistando giocatori per lo più stranieri (e abbastanza stagionati) in modo da ingraziarsi l’opinione pubblica. Salvo pochissime eccezioni, come la conosciuta scuola calcio finanziata dall’Avtovaz a Togliatti, minima attenzione è data al futuro, ai vivai, alla formazione dei giovani calciatori.
Così, mentre la nazionale dell’URSS vinse il campionato europeo nel 1960, giunse alle semifinali europee nel 1964, 1972 e 1988, fu semifinalista mondiale nel 1966 e potè costantemente godere di campioni di primissimo livello grazie ad un sistema votato più alla cura per la formazione dei calciatori che allo show business, la rappresentativa che prenderà parte al torneo che inizierà tra pochi giorni non sembra così ricca di giovani talenti e volti nuovi. Se le ormai invecchiate promesse come Andrei Arshavin e Roman Pavljucenko, già importanti attori al campionato europeo austro-elvetico di quattro anni fa, non si renderanno protagonisti di una nuova (e tardiva) fioritura, e se l’immortale commissario tecnico Dick Advocaat (straniero come Luciano Spalletti e molti degli allenatori dei club più blasonati, nella foto a destra) non farà miracoli sarà piuttosto difficile per la Russia ottenere risultati di pregio.
I RUSSI IN POLONIA – Dopo il match dell’8 giugno contro la Repubblica Ceca a Breslavia la nazionale russa si trasferirà a Varsavia per giocare i restanti incontri del girone eliminatorio contro Grecia e Polonia.
Tutte e tre le squadre soggiorneranno nel lussuoso Bristol Hotel, situato poco lontano dalla residenza del Presidente Komorowski, subentrato con elezioni anticipate a Lech Kaczynski dopo il disastro aereo di Smolensk del 10 aprile 2010 in cui, in occasione di una visita commemorativa del massacro di Katyn, perì buona parte della classe dirigente polacca. Questa coincidenza fa paura. Il giorno 10 di ogni mese parecchie migliaia di persone (tra le quali molti nazionalisti anti-sovietici e anti-russi) manifestano nel centro di Varsavia per chiedere verità e chiarezza sulla sciagura e concludono la loro marcia di fronte ai cancelli del palazzo presidenziale; nulla, il 10 giugno, impedirebbe ad alcune frange di proseguire la “passeggiata” sino al famigerato albergo e creare disordini e violenza. Tra russi e polacchi non corre buon sangue, dal sedicesimo secolo al secondo conflitto mondiale si sono combattute più di dieci guerre, l’Impero russo ha partecipato da protagonista alle tre spartizioni della Polonia alla fine del diciottesimo secolo, la ferita che fa più male è però l’occupazione armata sovietica che ha imposto il comunismo e la povertà ai polacchi fino al 1989. Il problema è serio, per questo il Ministro dello sport polacco Johanna Mucha ha caldamente consigliato alla Federcalcio russa di Sergei Fursenko di cercare una sistemazione meno in vista, alla richiesta hanno seguitato sdrammatizzazione e cortese diniego.
Nel mondo contemporaneo, dove gli istinti si sfogano negli stadi e le “guerre” (per lo più) si combattono sui campi di gioco, il pallone è spesso geopolitica e contenitore di una moltitudine di implicazioni e sentimenti che travalicano di molto il semplice dato sportivo. Per quel che riguarda il campionato europeo in procinto di iniziare l’incrocio russo-polacco (sul campo e per le strade di Varsavia) è, insieme alle risposte alla vicenda Timoshenko provenienti dall’Unione Europea squassata dai debiti, uno degli snodi più delicati. L’augurio, il sogno, è che sia lo sport pulito a prevalere su tutto il resto. Almeno per un mese.