I dati pubblicati dall’OECD rivelano che, dal 2011, più del 50% degli abitanti della RPC vive nelle città a seguito di un imponente flusso migratorio che ha determinato il più rapido processo di urbanizzazione della storia e solo sfiorato i drammatici effetti della conurbazione, diffusi nel sud del mondo. Ma il popolo han tornerà là da dove era partito e dove spesso ancora risulta risiedere in base al registro ufficiale della popolazione (hùkǒu), che conta come residenti nelle aree urbane solo il 36% della popolazione totale? Questo dato riassume le sfide e i problemi che il Governo deve affrontare nell’epocale passaggio dall’assetto rurale a quello urbano.
IL GRANDE SOGNO CINESE – Il Presidente della RPC, Xi Jinping, nel corso di un discorso ufficiale tenuto nel febbraio 2015, ha reiterato l’intenzione del Governo di raggiungere il “grande sogno della Cina nei tempi moderni” e, come novello aedo di una chanson de geste del popolo cinese, ha indicato i punti cardine di questo mito: la centralità del Partito, da cui deve promanare la volontà politica nella sua declinazione economica, i rapporti internazionali, per una nuova Cina protesa sempre più verso l’esterno, e la tradizionale aspirazione all’armonia, sempre desiderata ma più che mai necessaria per una società ritmata da un travolgente sviluppo. Il boom economico, del resto, sta scollando la realtà sociale dalla tradizionale appartenenza alla classe contadina mentre, contestualmente, gli organi di Governo vagheggiano l’eterno ritorno all’ideologia confuciana e alle tradizioni millenarie su cui è stata costruita l’identità cinese, invertendo la rotta della Cina post-imperiale che, dallo sbocciare del movimento del 4 maggio del 1919 fino all’acme della Rivoluzione Culturale, è stata orientata verso la costruzione di un mondo nuovo in cui i legami con il passato fossero recisi per sempre.
Fig. 1 – La grande città di Changchun, capitale della provincia di Jilin
SISTEMA DI REGISTRAZIONE – Le radici agresti del popolo han hanno sempre rappresentato, in realtà, la peculiarità cinese anche in relazione al marxismo leninismo, che legava la rivoluzione al proletariato industriale, mentre Mao aveva fatto della classe contadina il fulcro del comunismo cinese e delle campagne il centro della produzione. In seguito a ciò si registrarono, a fasi alterne, spinte di urbanizzazione e periodi di antiurbanizzazione, regolati attraverso un sistema, chiamato hùkǒu (户口), ideato nel 1958, che costituisce ancora oggi una sorta di certificazione contenente informazioni identificative relative allo stato di famiglia hùjí (户籍) e di residenza, differenziata tra aree urbane e aree rurali. A tale distinzione, unica al mondo, sono correlati diritti – che hanno accompagnato il periodo delle riforme – quali l’assicurazione sociale, l’assistenza sanitaria, i servizi pubblici e l’istruzione, fruibili solo nel contesto geografico di appartenenza. Con la globalizzazione, la spinta alla sottourbanizzazione sistematica cessò e iniziò la Míngōng chāo (民工超), la “grande ondata” di migranti, che non potevano però modificare il loro hukou di provenienza.
Fig. 2 – Un contadino al lavoro nella provincia di Zhejiang
MODELLO PUSH-PULL E DISTORSIONI DEL SISTEMA – Ai fattori di spinta dal luogo di origine (push) e di attrazione del luogo di destinazione (pull) si sono sovrapposti gli ostacoli istituzionali dell’hukou system, che hanno impedito a 250 milioni di migranti rurali di accedere alla rete di sicurezza sociale (servizi, sanità, istruzione), con il risultato di relegare un gran numero di cinesi in sacche di illegalità sostanziale. Le immense proporzioni geografiche e la possibilità di godere di una certa mobilità, sia “orizzontale” che “verticale”, hanno mitigato i dirompenti effetti di questa politica, che ora sta impattando pesantemente sulla stabilità sociale, già scossa dal notevole invecchiamento della popolazione – aggravato dallo squilibrio di genere e indotto dalla politica del figlio unico e dalle sempre più consistenti differenze sociali. In pochi anni si è così prodotta una modificazione strutturale dell’economia e della società cinese, certo non priva di un groviglio di contraddizioni che si è tentato di dipanare in molti modi, fino alla decisione di modificare lo strumento censuario e statistico ideato da Mao.
Fig. 3 – Due grafici per comprendere la grande migrazione in Cina dalle campagne verso le città: la differenza di reddito tra popolazione rurale e urbana (a sinistra), e la differenza di salario tra lavoratori rurali e urbani (a destra)
NUOVA URBANIZZAZIONE E RIFORMA DELL’HUKOU – Dal 2003 sono state istituite tutta una serie di autorità preposte alla redazione di piani strategici a breve termine o alla elaborazioni di vision decennali fino al Terzo Plenum del XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese, che ha reso pubblica l’intenzione di frenare solo gli spostamenti verso le megalopoli, in cui i migranti sembrerebbero in costante calo, dando impulso a un’urbanizzazione qualitativamente mirata. L’idea, diffusa dal direttore del CASS (Institute of Industrial Economics of the Chinese Academy of Social Sciences) è contenuta nella Relazione sull’attuazione del Piano 2014 per lo sviluppo sociale ed economico della Nazione presentata, con le Linee guida per il 2015, il 15 marzo 2015 durante la 12° Assemblea Nazionale del Popolo. Nel documento si prevede di assegnare un regolare permesso di residenza, con il relativo welfare, ai contadini (100 dei 250 milioni di migranti) che si sono stabiliti in città piccole. Per chi si è stabilito nelle 16 grandi città, con una popolazione superiore ai 5 milioni di abitanti, alle Carte di residenza temporanea si aggiungerebbe un sistema, previsto dal Programma Pilota, che premia chi rispetta le norme, in particolare i limiti demografici, chi ha un’occupazione qualificata e un domicilio stabile, fornendo crediti spendibili per ottenere un hukou urbano… a punti.
Fig. 4 – Migranti dalle campagne arrivano alla stazione degli autobus di Pechino
POPOLAZIONE FLUTTUANTE E IN CERCA DELLE PROPRIE RADICI – È un dato indiscusso che la Cina sia la seconda economia del mondo, ma a fronte di ciò la strada verso uno sviluppo compiuto è ancora ardua e si snoda su un baratro che il crollo delle borse asiatiche di qualche giorno fa ha paventato. La crescita economica deve essere traghettata verso uno sviluppo umano che immetta tutti i cittadini in un circolo virtuoso capace di influenzare la domanda interna, tanto necessaria per evitare all’economia cinese di impantanarsi. Ma questo sviluppo deve coinvolgere il sottoproletariato urbano e le regioni tradizionalmente meno sviluppate dell’interno, immense e relativamente poco popolate. A questo scopo il Governo intende creare una sorta di cluster accanto a ogni villaggio che, espandendosi verso l’esterno, configuri un tessuto di urbanità diffusa, aree satelliti con un alta qualità della vita che fungano da motore di crescita senza produrre una cesura con la terra di origine, compresa nell’area di riferimento. Solo così tutti potranno sognare il sogno cinese ed il popolo potrà guardare al proprio futuro, combattuto tra l’ansia di realizzare il nuovo mondo (come fecero le guardie rosse del giovane rivoluzionario Li Li, risolute nell’abbattere il Re degli alberi per trasformare la Cina) e la suggestione per i valori eterni, che oltrepassano i confini del tempo e dello spazio per risuonare nella grande foresta dove sempre qualcuno, ieri il Grumo, oggi il popolo fluttuante, difende «le enormi radici dell’albero abbattuto [che], non avendo più dove mandare la loro linfa, avevano messo nuovi germogli…» (A Cheng, Il re degli alberi, Bompiani, 2000).
Fig. 5 – Una famiglia di migranti rurali vive in tenda ai margini dei quartieri residenziali di Hefei
Elisabetta Esposito Martino
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Un chicco in più
Dopo la fondazione della RPC si registrarono, a fasi alterne, spinte di urbanizzazione e periodi di antiurbanizzazione, durante i quali si stimolò la produzione agricola. I contadini “in esubero” venivano inseriti nelle imprese rurali, basate su attività non-agricole, allo scopo di sviluppare il settore manifatturiero, secondo la linea di massa «lascia la terra ma non il villaggio, entra in fabbrica ma non in città». Dagli anni Novanta lo slogan cambiò in «lascia la terra e il villaggio». Con l’inizio delle riforme, la spinta alla sottourbanizzazione sistematica, che aveva dato luogo ad una produzione frammentata e dannosa a livello ecologico, cessò. Le comuni popolari furono sostituite dall’household responsibility system, che produsse anche uno sviluppo notevole dei settori non agricoli, con un rilevante surplus di lavoro in agricoltura, causa del forte incentivo alla migrazione verso le aree urbane e verso i settori industriali. Le aree urbane attraevano i contadini sottoccupati o disoccupati in modo irresistibile per i livelli molto più elevati di reddito, mentre si ampliava anche lo squilibrio macroregionale aggravato dalle politiche incentivanti gli IDE (Investimenti Diretti Esteri), soprattutto nelle Zone Economiche Speciali. Oggi la situazione è in evoluzione, i migranti scarseggiano, e i pochi sono più qualificati, più propensi a non allontanarsi troppo dal luogo di origine e più attenti ai propri diritti.[/box]
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Foto: Tony Shi Photos