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L’autunno caldo di Zuma

Il 16 agosto, il Sudafrica è stato sconvolto dal massacro della miniera di Marikana, costato la vita a 34 minatori, dopo che, nei giorni precedenti, già dieci persone, tra le quali due poliziotti, erano morte negli scontri tra due sindacati. Gli eventi hanno riportato alla memoria i periodi più tetri del Paese, gli anni dell’apartheid e del dominio bianco sulla maggioranza nera. I lavoratori, infatti, protestavano (e tuttora protestano) contro il trattamento salariale riservato loro dalla società titolare della miniera di platino, la britannica Lonmin. A subirne le conseguenze, tuttavia, potrebbe essere anche la leadership del Presidente sudafricano, il cui destino politico potrebbe delinearsi tra settembre e dicembre

 

IL CONFLITTO TRA I SINDACATI – La tragedia di Marikana ha aperto un gravissimo vulnus nella sicurezza politica di Jacob Zuma, il contestato Presidente al centro di feroci critiche, ma ritenuto capace da gran parte dell’opinione pubblica sudafricana di condurre il Paese verso il pieno sviluppo. I minatori in sciopero, infatti, sono divisi tra due componenti, ossia la National Union of Mineworkers (d’ora in avanti NUM) e la Association of Mineworkers and Construction Union (AMCU). La NUM è collegata all’African National Congress (il partito di Zuma) e affiliata alla Congress of South African Trade Unions, una delle principali federazioni sindacali del Sudafrica. Dall’altro lato, la AMCU è una formazione derivata per scissione dalla precedente sigla. La questione è piuttosto complessa, poiché tra i due gruppi la tensione ha raggiunto livelli molto elevati, al punto che otto lavoratori e due poliziotti sono rimasti uccisi negli scontri tra i rispettivi aderenti. L’AMCU ha contestato alla NUM un’eccessiva sudditanza nei confronti della società Lonmin, condotta apparsa manifesta durante le negoziazioni per il rinnovo del contratto. Per risposta, i vertici della NUM hanno accusato la controparte di agire attivamente per l’esasperazione dei toni e per l’istigazione alla violenza. Un ruolo determinate, comunque, è rappresentato dalla demografia dei due sindacati, poiché gli aderenti all’AMCU, rispetto a quelli della NUM, sono generalmente lavoratori non specializzati, con salari più bassi e provenienti da zone più disagiate.

 

GLI EQUILIBRI NELL’AFRICAN NATIONAL CONGRESS – Da parte sua, il presidente Zuma sta scontando la propria vicinanza alla NUM per due motivi. Il primo di essi è che il segretario generale dell’AMCU, Zwelinzima Vavi, sta ottenendo sempre maggiori consensi, soprattutto in seguito alla strage di Marikana, in merito alla quale sono apparse evidenti le difficoltà del NUM a gestire la situazione. A settembre, il Congress of South African Trade Unions si riunirà in assemblea, e la pressione generata dall’AMCU potrebbe modificare sensibilmente gli equilibri nella federazione, anche perché gli altri esponenti sindacali sono pronti alla mediazione pur di evitare ulteriori scissioni. Zuma è fortemente legato alla NUM, cosicché in più occasioni il Presidente ha assunto posizioni decise contro Zwelinzima Vavi. Tuttavia, il Congress of South African Trade Unions ha in comune con l’African National Congress quasi 1,5 milioni di iscritti: qualora la linea più intransigente dovesse ottenere la maggioranza, Zuma potrebbe perdere il sostegno ufficiale del sindacato, che fu fondamentale per la conquista della leadership nel 2007. Tutto ciò, a pochi mesi dal rinnovo delle cariche dell’African National Congress, previsto per dicembre. In questo senso, un calo di favori del Presidente sudafricano nel partito condurrebbe a un simmetrico indebolimento a livello politico, poiché il rivale di Zuma alla leadership dell’ANC potrebbe essere il suo vice – nonché predecessore – Kgalema Motlanthe. La vittoria in dicembre è basilare, dato che in Sudafrica il Presidente è eletto dall’Assemblea Nazionale (la camera bassa del Parlamento) e per consuetudine è il capo della formazione di maggioranza.

 

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ZUMA: «BASTION OF WHITE MONOPOLY CAPITAL!» – Il secondo motivo è che fu Zuma a ordinare alle Forze dell’Ordine di tenere sotto controllo le manifestazioni alla miniera di Marikana, cosicché alcuni settori dell’opinione pubblica hanno accusato il Presidente di essere materialmente responsabile della strage. A ciò deve essere aggiunto che 270 minatori che avevano partecipato alle proteste del 16 agosto sono stati incriminati sulla base di una legge, più volte applicata in passato per contrastare i movimenti anti-apartheid, che prevede la correità dei manifestanti qualora l’intervento obbligato delle forze di polizia causi dei morti.

 

L’AUTUNNO CALDO DEL PRESIDENTE – Jacob Zuma, pertanto, appare sempre in più in difficoltà nella gestione di una situazione che vede i gruppi del partito e del governo uscire progressivamente dal suo controllo. Tra le molte voci contro il Presidente, una delle più forti è quella di Julius Malema, già al vertice dell’ANC Youth League e ora espulso, il quale riesce ad attirare i consensi degli elementi più statalisti e nazionalisti della politica e della società. Inoltre, sebbene il vicepresidente Motlanthe abbia cercato raramente lo scontro frontale con il Presidente in questa legislatura, la costituzione di un fronte compatto contro l’attuale dirigenza dell’ANC (soprattutto se cambierà la tendenza del sindacato) potrebbe convincerlo a entrare a pieno nell’agone: senza contromisure politiche efficaci, il rischio per Zuma è che il congresso di dicembre possa avviare il suo declino.

 

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’UniversitĂ  di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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