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La fame del Dragone distrugge l’ambiente (I)

La sicurezza nell’approvvigionamento delle risorse naturali è sempre stata un pilastro della politica cinese. Tuttavia l’autosufficienza nel grano, tradizionalmente cara al Partito Comunista, rappresenta oggi una sfida: alla crescente domanda di cibo si contrappone una preoccupante contrazione di acqua e di terra coltivabile. L’eccessivo sfruttamento di queste risorse e l’industrializzazione accelerata degli ultimi decenni hanno generato gravi problemi ambientali

 

UN PO’ DI STORIA – I nonni dei giovani “i-Phone dipendenti” di oggi ben ricordano la Grande Carestia provocata dal fallimento del “Grande Balzo in Avanti”, la riforma agraria lanciata da Mao che fece morire di fame piĂą di 30 milioni di persone tra il 1958-1961. Tempi migliori arrivarono con la liberalizzazione del mercato agricolo promossa da Deng Xiaoping nel 1978, attraverso l’Household Responsability System (HRS), che diede il via alla Green Revolution. Grazie all’HRS e l’introduzione di numerose innovazioni (fertilizzanti chimici e nuove varietĂ  di semi), la produzione di grano si attestò a 400 kg pro capite, 100 kg oltre la soglia individuale di sopravvivenza. Il grano in eccesso permise la crescita dell’allevamento e l’introduzione della carne nella dieta della popolazione.

 

LA SPECIALIZZAZIONE –  Dai primi anni ’90, quando Deng ribadiva l’importanza dell’autosufficienza nel grano, la popolazione cinese è aumentata di circa 200 milioni di persone e il reddito medio annuo è salito da 350 a 4,940 US$ tra il 1990 e il 2011. Questi sviluppi hanno dato una forte spinta non solo alla domanda di cibo, ma anche a quella di terra edificabile e di acqua per uso domestico, che sono state progressivamente sottratte all’agricoltura.

Nel frattempo la produzione di grano per ettaro è gradualmente aumentata in accordo con l’obiettivo dell’autosufficienza. Ciò è stato possibile grazie alla specializzazione nelle colture di mais e frumento nelle provincie del Nord, mentre il Sud si concentrava sul settore industriale.

Le province settentrionali, che oggi producono più del 50% del grano cinese, hanno subito uno sfruttamento intensivo mediante la moltiplicazione dei raccolti annuali e l’applicazione di ingenti quantità di fertilizzanti chimici. Il Governo ha favorito questa “migrazione del grano verso Nord”, sottovalutando l’aridità dell’area, che dispone soltanto del 20% delle risorse acquifere nazionali e registra un decimo delle precipitazioni rispetto al Sud.

Il problema della scarsità dell’acqua è stato affrontato tradizionalmente aumentando la superficie irrigata e sfruttando le falde acquifere sotterranee. Se inizialmente questo ha permesso alla Cina di sostenere la produzione di grano senza aumentare troppo le importazioni, nel corso del tempo sono emerse enormi difficoltà che rischiano di minacciare non solo l’autosufficienza, ma anche l’equilibrio ambientale del Nord.

 

I PROBLEMI DEL NORD – Numerosi studi, oggi supportati anche dai dati ufficiali cinesi, dimostrano che la maggior parte dei terreni coltivati è affetta da erosione a causa dell’eccessivo sfruttamento e dell’impiego massiccio di fertilizzanti, ormai incapaci di aumentare la resa dei terreni. A questo si aggiunge la scarsitĂ  di acqua, che irrigazione e fertilizzanti rendono sempre piĂą necessaria.

I bacini fluviali del Nord vengono utilizzati al 90% della loro capacità, quando uno sfruttamento razionale dovrebbe limitarsi al 40%. Il Fiume Giallo nel 1997 si è prosciugato prima di arrivare alla foce, e in alcune zone va in secca più volte l’anno durante i periodi di siccità. Sempre più acqua viene utilizzata per fini domestici o industriali a scapito della produzione agricola, a cui si è provveduto depredando le falde acquifere. Nel corso degli anni molte delle falde del Nord hanno registrato un preoccupante declino, tanto che secondo alcuni studiosi Shanghai e Pechino stanno “sprofondando” circa un metro all’anno.

Ancora più allarmanti, tuttavia, sono i dati relativi all’inquinamento: quasi tutti i bacini fluviali del Nord registrano livelli di inquinamento di IV e V grado, che significa che l’acqua non è adatta per l’uso domestico. Anche se il tasso dei rifiuti scaricati nell’acqua da centri urbani e complessi industriali è inferiore rispetto al Sud, il fatto che le risorse idriche siano così limitate fa schizzare la concentrazione di veleni, rendendo l’acqua vero e proprio liquame.  Le falde acquifere non sono risparmiate dalla contaminazione poiché per la maggior parte sono alimentate da infiltrazioni provenienti dalla superficie e dalle precipitazioni, che spesso sono a loro volta inquinate dalle emissioni industriali (piogge acide).

Quest’acqua infetta viene in parte utilizzata per irrigare. Secondo uno studio di C. Elizabeth pubblicato su Foreign Affairs nel 2007, in Cina 700 milioni di persone (metà della popolazione) bevono acqua contaminata da rifiuti umani o animali, circa il 3% del grano prodotto contiene metalli pesanti assorbiti dal suolo e i casi di tumori all’intestino e allo stomaco sono aumentati ad un ritmo impressionante negli ultimi 10 anni.

(I. continua)

 

Valeria Giacomin

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Valeria Giacomin
Valeria Giacomin

Laurea Triennale in Finanza presso l’università Bocconi nel 2009, Double Degree in International Management con la Fudan University di Shanghai tra il 2009 e 2011 e master di secondo livello in Economia del Sud Est Asiatico presso la SOAS di Londra nel 2012. Più di due anni in giro per l’Asia e gran voglia di avventura. Tra il 2010 e il 2012 ho lavorato in Vietnam come analista, a Milano come giornalista e a Città del Capo presso una compagnia e-commerce.
Le mie aree d’interesse sono il commercio internazionale, business development e dinamiche di globalizzazione nei paesi emergenti, in particolare nel settore delle commodities agricole.
Dal 2013 sono PhD Fellow in Danimarca presso la Copenhagen Business School. Sto scrivendo la mia tesi di dottorato sull’evoluzione del mercato dell’olio di palma in Malesia e Indonesia e più in generale seguo progetti di ricerca sul settore agribusiness in Sudest Asiatico.

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