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Hamas: prigionieri del proprio ruolo

Dopo aver discusso di Pillar of Defence e delle possibilità di una tregua tra Hamas e Israele, è ora di parlare proprio del movimento palestinese. Chiuso a Gaza dal 2007, ci si può chiedere perché non abbia mai trovato una via d’uscita a questa situazione. Anzi, di domande ce ne facciamo cinque, e diamo altrettante risposte

 

Forse non tutti si ricordano che Hamas è un acronimo per arakat al-Muqāwamah al-Islāmiyyah, che significa semplicemente “Movimento di Resistenza Islamico”, ma è anche una parola che significa “entusiasmo, zelo”. Nasce nel 1986 a Hebron, in un incontro segreto tra sette leader che diventeranno presto famosi: lo sceicco Yassin, guida spirituale, costretto sulla sedia a rotelle, Muhammad Jamal al-Natsheh da Hebron, Jamal Mansour da Nablus, lo sceicco Hassan Yousef, Mahmud Muslih da Ramallah, Jamil Hamami da Gerusalemme e Ayman Abu Taha da Gaza. Alcune di queste persone furono in seguito uccise o imprigionate da Israele. Hamas possiede un’ala militare, le Brigate Izz-ad-din Al-Qassam, e varie forze di sicurezza assimilabili a polizia.

 

Organizzazione terroristica o politica? E’ difficile inquadrare Hamas in schemi chiari.

 

Hamas è un movimento complesso. Da un lato ha costruito il suo consenso grazie a opere e associazioni caritatevoli ad esso legate, che contribuivano ad aiutare la popolazione, ma costituivano anche un modo legale per ricevere denaro da benefattori arabi di altri paesi in ottica di lotta armata. Gran parte della sua attività è infatti legata alla resistenza contro Israele in primis e opposizione agli altri movimenti palestinesi in seconda battuta. Nella sua storia è passato dalla protesta con lanci di pietre ad attacchi armati fino ad attentati suicidi, partecipando alla Prima e Seconda Intifada. Ultimamente, finanziato e armato da Siria prima e Iran poi, si è dotata di grandi quantitativi di razzi per colpire Israele a distanza.

 

Nel 2006 Hamas ha vinto le elezioni ma è stato subito ostracizzato da Israele e Occidente. Questo non ha influito sul suo comportamento?

 

La questione ovviamente è complessa e ognuno ha le sue idee. Era inevitabile che Israele e Occidente fossero contro il risultato elettorale dato che Hamas non riconosce lo stato di Israele: era una condizione scontata. Va detto però che il movimento islamico si è giocato molto male le sue carte. Hamas ha creduto che il voto popolare legittimasse la sua linea dura e oltranzista, mentre esso era nato soprattutto dalla rabbia della gente per la corruzione dei governanti di al-Fatah – era un voto di protesta, non di richiesta di conflitto. Come dice anche la giornalista Paola Caridi nel suo libro sul movimento, Hamas ha perso un’occasione d’oro di mostrarsi un’alternativa credibile perché mantenendo la linea dura ha prima escluso le altre forze politiche palestinesi dal governo – spaventando l’Occidente – e ha poi rifiutato di assumersi le responsabilità di governo (che necessariamente includono compromessi) continuando invece ad essere strumento di lotta senza mezzi termini. Difficile convincere gli interlocutori esterni della propria buona fede in questo modo.

 

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Come ha fatto Hamas a prendere il controllo di Gaza?

 

Nel 2007 il movimento si trovava al culmine del suo scontro politico con al-Fatah, il partito del Presidente Palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) e in particolare con il suo uomo forte a Gaza, Mohammed Dahlan. Tra i vari motivi di disaccordo, Hamas voleva convincere il Presidente ad accettare le sue forze di sicurezza all’interno dell’esercito. Abbas rifiutava perché tali forze non sarebbero state fedeli a lui o alle istituzioni ma solo ad Hamas. In seguito a numerosi scontri tra le due avverse fazioni, Hamas decide di sfruttare la sua superiorità militare per prendere il controllo della Striscia di Gaza in un’operazione durata meno di una settimana, uccidendo, imprigionando o scacciando tutte le forze di sicurezza fedeli all’Autorità Nazionale Palestinesi. Da quel momento si arrocca nella Striscia e Israele decide di porre il blocco. L’ostilità tra le due parti, incluso il rapimento del soldato Gilad Shalit, degenera poi fino all’Operazione Cast Lead a dicembre 2008-gennaio 2009 e alla situazione attuale ultimamente.

 

Hamas non poteva trovare una soluzione alternativa, di negoziato, per evitare il conflitto? Perché non riconosce Israele?

 

Il problema di Hamas è che di fatto è prigioniera del ruolo che essa stessa si è costruita. Si è sempre presentata come una migliore alternativa rispetto a Fatah, ma anche come il movimento che non avrebbe accettato compromessi con Israele. Grazie a questo ha ricevuto il supporto di finanziatori arabi altrettanto intransigenti, ha potuto reclutare numerosi miliziani ed è quindi entrata nelle grazie di paesi esteri interessati a mantenere alto il conflitto, come Siria e Iran appunto. Eppure i leader di Hamas hanno ben presente la loro situazione di isolamento e di non poter sconfiggere Israele militarmente (lo speravano nel 2008, ma Cast Lead ha svelato l’amara verità). Hamas non può però riconoscere Israele perché, se lo facesse, diventerebbe semplicemente… un’altra Fatah! Ovvero diventerebbe un altro movimento che tratta con Israele – i miliziani intransigenti che ne fanno parte si ribellerebbero e, anche nel migliore dei casi, semplicemente si unirebbero a un altro movimento estremista (o ne formerebbero uno loro) che continui la lotta. E’ ciò che è successo ad al-Fatah quando decise di abbandonare la lotta armata: la sua ala militare, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, si ribellarono e continuarono a combattere per proprio conto per anni. Per Hamas dunque cedere al negoziato significa perdere la propria ragione d’essere e per i suoi leader significa rinunciare alla propria influenza. Non appaiono ancora pronti ad accettarlo.

 

Ma la gente di Gaza apprezza Hamas?

 

Non esistono sondaggi affidabili, ma cinque anni di controllo a Gaza non hanno migliorato la situazione della Striscia e la popolazione questo lo ha mal digerito. Hamas si è sempre presentata come movimento onesto (a differenza di Fatah, considerato pieno di corrotti) e capace di migliorare la situazione. Tuttavia una volta al potere ha mostrato le stesse contraddizioni dei suoi avversari, la stessa incapacità di risolvere la situazione, la stessa repressione del dissenso. Il risultato è stato una forte opposizione che anche se non capace di rovesciare il movimento non lo apprezza e, durante Cast Lead, ha addirittura portato ad informare più volte Israele su bersagli sensibili. Del resto la stessa Hamas è in una situazione di forte contraddizione interna. Non è capace di opporsi a Israele, ma non può neanche negoziare apertamente. L’unica strada diventa dunque quella di una tregua nella quali possa mettere a frutto il suo controllo della Striscia per impedire ad altri movimenti estremisti più piccoli di attaccare Israele ed evitare altri suoi interventi. Questa appare anche la base più probabile per un accordo per terminare l’attuale conflitto ed è la strada plausibilmente battuta ora dai negoziatori di USA ed Egitto per fermare gli scontri, in quanto accettabile anche per Israele.

 

Lorenzo Nannetti

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Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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