Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2013 – Si chiude uno degli anni più complessi e più cruciali per la Birmania. Sulla scia delle riforme inaugurate dal Presidente Thein Sein nel 2010, numerose sono state le prove del suo effettivo impegno per favorire un graduale processo di democratizzazione. Il 2012 è stato testimone di grandi passi avanti: dalla vittoria di Aung San Su Syi alle ultime elezioni politiche, all’allentamento delle sanzioni internazionali fino alla visita di Obama. Tuttavia ciò non significa che il percorso sia in discesa, il 2013 si prospetta un anno difficile, ma ricco di opportunità
DENTRO I CONFINI – Nell’Aprile 2012 la National League for Democracy, il movimento guidato dalla leader democratica Aung San Suu Syi ha conquistato la maggioranza dei seggi nel parlamento. Nonostante il governo rimanga ancora sotto lo stretto controllo della giunta militare, la vittoria della “Lady” segna una svolta storica e un primo passo verso l’effettiva instaurazione di un sistema democratico. Secondo i maggiori esponenti del governo, il percorso dovrà però essere graduale e coinvolgere la maggioranza della società civile. Questo è certamente necessario in un paese lacerato da profondi e continui conflitti etnici come il Myanmar. Non è un caso che la strategia interna di Thein Sein sia passata dallo scontro frontale in stile Tatmadaw, al più duttile metodo “della carota e del bastone”. Il primo ministro ha più volte preferito il dialogo alla forza e l’esercito è intervenuto solo in casi di emergenza.
CAMBIO DI ROTTA – Sul piano internazionale il 2012 ha rappresentato l’inizio di un cambiamento di alleanze: all’allentamento delle restrizioni commerciali da parte dell’Occidente nel mese di Maggio, ha fatto seguito un timido distacco nei confronti di Pechino, tacciata di utilizzare il paese come una “personale” riserva mineraria. L’anno appena trascorso ha visto, da un lato, l’escalation diplomatica inaugurata dalla visita del segretario di stato Hilary Clinton, scandita dell’approvazione del pacchetto investimenti per 170 milioni di dollari e infine culminata con la storica visita di Obama a Novembre; dall’altro le proteste dei monaci buddisti contro il progetto di espansione di una miniera di rame gestita da investitori cinesi, che hanno portato a forti scontri tra manifestanti e esercito. In questa situazione, il governo, ufficialmente legato al potente vicino da strette relazioni commerciali (i suoi membri partecipano direttamente ai proventi di joint-ventures con imprese cinesi) ha sfruttato il recente ammorbidimento della censura per far trapelare la posizione dell’opinione pubblica, tendenzialmente più favorevole a un’alleanza con gli Stati Uniti, che con il dragone. Questa congiuntura ha permesso anche la ripresa dei rapporti con il Giappone, che vede nel Myanmar una naturale destinazione per le sue imprese, data la presenza di manodopera a basso costo e vicinanza agli impianti operanti nel Sudest Asiatico, in particolare in Thailandia.
L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA – Tuttavia restano ancora molti nodi da sciogliere nell’anno appena iniziato. A riprova delle difficoltà che rendono tortuosa la via della riconciliazione nazionale stanno le tensioni nella provincia nord-occidentale dell’Arakan, al confine con il Bangladesh, dove a Giugno lo stupro di una donna buddista da parte di musulmani ha acceso uno scontro violentissimo tra i due gruppi religiosi, Ronghya (musulmani) e Arakanesi (buddisti), sfociato nella segregazione razziale della minoranza musulmana, già priva di cittadinanza, poi definitivamente cacciata in Ottobre. Questi fatti infiammano il dibattito in corso sulla composizione sociale che si verrà a formare una volta che il governo darà pieno avvio al processo di sviluppo. Prevarrà il “melting pot” alla filippina caldeggiato da Thein Sein o la “mixed salad” sul modello indiano? Gli scontri religiosi nel Nord fanno pensare che la coesione possa essere raggiunta solo garantendo crescente autonomia alle minoranze etniche, preparando quindi il terreno per un assetto federale. Non stupisce perciò l’aumento della produzione di anfetamine e derivati oppiacei provenienti dal triangolo d’oro (la zona di confine tra Thailandia Birmania e Cina) che confluiscono in quantità massicce nei paesi limitrofi. Il dato rispecchia la necessità di Naypyidaw di mantenere rapporti distesi con i signori della droga, favorendo i loro affari e assicurandosi il consenso delle popolazioni di confine, le etnie Wa, Karen e Shan. Questa situazione rischia di causare ritorsioni da parte dei paesi dell’ASEAN, Thailandia in testa. Sembra, infatti, che Bangkok abbia allertato le truppe sul confine Birmano (già presenti per la supervisione dei campi profughi Karen) al fine di frenare l’inarrestabile flusso di stupefacenti all’interno del territorio.