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L’incognita Cina

Economia, ambiente e insoddisfazione della popolazione: tre fattori, tre sfide su cui si giocherà il 2013 cinese. Al di là di numeri e dati, occorre considerare la sostenibilità della crescita cinese e l’impatto concreto di questa sulla vita della popolazione, sotto diversi punti di vista (compreso il tema censura) che proviamo ad analizzare insieme, con cinque domande e cinque risposte

 

La Cina ancora una volta viene vista dai mercati come “market mover”, fattore capace di muovere l’andamento delle borse. Un semplice dato in arrivo dalla Cina riesce ormai ad avere delle conseguenze sull’andamento degli indici azionari come la disoccupazione americana. Le case d’affari scommettono sul fatto che la crisi sia ormai alle spalle e che il Pil della Cina tornerà a crescere. Ma a che prezzo? La crescita della Cina è sostenibile? E quali le conseguenze sulla vita della popolazione e sulle condizioni climatiche? Abbiamo provato a dare una risposta a queste domande. Gli sbilanciamenti in corso a danno della popolazione sono la sfida più grande che il nuovo governo dovrà affrontare.

 

Qual è la situazione economica della Cina in questo momento?

 

Tutti gli analisti sono d’accordo nel dire che la Cina ha superato il momento peggiore per la sua economia. Che ha toccato il fondo. Il prodotto interno lordo infatti nell’ultimo trimestre dello scorso anno è cresciuto al di sotto delle attese del mercato. Anche il dato sulle vendite al dettaglio e quello sulla produzione industriale hanno fatto meglio di quanto ci si aspettava. Era stato proprio il governo cinese a volere un rallentamento della propria economia, normalizzandone la crescita, perché questa diventasse sostenibile nel tempo. L’obiettivo è stato centrato. Gli esperti finanziari sostengono che le autorità del paese non interverranno più né a livello fiscale né a livello monetario. Ma su Pechino non bisogna mai scommettere troppo: il governo centrale è riuscito spesso a spiazzare le aspettative dei più accorti studiosi del paese. La vera sfida però è sui consumi. I cinesi spenderanno i loro soldi risparmiando meno? Se la Cina sarà capace di sostenere la propria economia dall’interno – basandosi meno sulle esportazioni – vincerà una grande sfida.

 

E le conseguenze nei confronti dell’ambiente?

 

L’espansione economica cinese e la forte industrializzazione del paese hanno avuto conseguenze disastrose sull’ambiente. Chi in questi giorni si trova a Pechino lo sa bene. “Sembra di essere tornati ai tempi della Sars – ci racconta un imprenditore – giriamo con le mascherine e il livello dell’inquinamento è insopportabile”. Pechino svelerà a breve nuove regolamentazioni senza precedenti che hanno lo scopo di gestire al meglio l’inquinamento della capitale. Misure ad hoc che comprenderanno la chiusura di alcuni stabilimenti, un utilizzo inferiore del carbone e una soluzione spesso adottata anche in Europa, il divieto di circolazione di alcune autovetture quando l’inquinamento raggiunge livelli inaccettabili. La qualità dell’aria a Pechino è di molti gradi al di sotto degli standard minimi internazionali per la respirabilità ed è un fattore di preoccupazione per il governo perché gioca a favore del risentimento della popolazione sui privilegi politici e sulla crescente diseguaglianza tra ricchi e poveri nella seconda economia mondiale.

 

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La popolazione come vede la situazione?

 

È infastidita da quanto accade sul fronte ambientale, ma la verità è che più che altro è stanca delle disparità tra le classi sociali. I più poveri vorrebbero anche loro godere di quella torta rappresentata dall’espansione economica. Vorrebbero un posto di lavoro che permetta loro quella svolta tanto agognata. Appena trenta anni fa un cinese su cinque viveva in città. Ora le cose sono cambiate: la popolazione urbana nel 2012 ha superato quella rurale e anche questo testimonia l’inseguimento di un sogno e la voglia di un miglioramento del proprio tenore di vita. I cinesi infine grazie ad internet nel corso degli anni sono diventati sempre più consapevoli e vogliono un cambiamento, a partire dalla corruzione delle autorità locali, che proprio non digeriscono. Non è un caso che su internet fiocchino le proteste contro le notizie di appropriazione di fondi pubblici da parte di funzionari locali, comunali e provinciali.

 

Ci sono dei segnali di protesta?

 

Recentemente è accaduto un fatto che testimonia come molto stia cambiando in Cina sul fronte della libertà d’espressione. Pochi giorni fa, per un articolo critico nei confronti del nuovo governo, il Southern Weekly (“Nanfang Zhoumo“, “Settimanale del Sud”) ha rischiato la chiusura. Subito è partita la censura e l’editoriale è stato totalmente stravolto per potere andare in stampa. Ma i 35 giornalisti e i 50 stagisti non hanno gradito, chiedendo – aiutati da una comunità internet cinese sempre più consapevole e dalla comunità locale – le immediate dimissioni del responsabile provinciale del partito. Questo episodio è importante non tanto per il confronto tra media e governo, che c’è sempre stato, quanto perché per la prima volta questo dissidio è arrivato alle orecchie dei cittadini. Sui cartelli che svettavano di fronte alla redazione del settimane di Guangzhou, meglio nota come Canton, metropoli capoluogo del Guandong, regione più industrializzata della Cina, si leggevano scritte quali: “Liberateci dalla censura, il popolo cinese vuole la libertà“. Solo questo è un grande passo avanti e dimostra come i cinesi siano stufi di certi meccanismi e pronti a protestare a viso aperto contro il governo partendo dagli ufficiali di Polizia locale.

 

La comunità internazionale che fa?

 

Non può fare molto. Pechino ha da sempre i suoi tempi, dalla rivalutazione dello yuan alla strategia geopolitica. I primi a bacchettare la Cina sono di solito gli Usa, ma di fatto la Cina possiede il loro debito, avendo acquistato miliardi di t-bonds, per cui non possono lamentarsi più di tanto nè tantomeno dettare legge in Cina. Sul fronte dei media, nello specifico a Washington il Dipartimento di Stato ha dichiarato che la censura dei media è incompatibile con le aspirazioni cinesi di costruire una società e una economia moderna basata sull’informazione.

 

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Mariangela Pira
Mariangela Pira

Sono giornalista professionista. Prima ancora, Interista. Su Class CNBC conduco, su Sky 507 e TGCOM24, gli approfondimenti sui mercati finanziari. Curo il Desk China di Class Editori, con una trasmissione tv, una rubrica quotidiana su MF, e una pagina sul sito internet www.milanofinanza.it/desk_china. Amo i noodles e i ravioli di carne al vapore. Per il Ministero degli Affari Esteri ho condotto Esteri News Dossier, notiziario della diplomazia italiana, in onda sul sito www.esteri.it e su Class CNBC. Per questo progetto ho viaggiato in Afghanistan, Iraq, Libano, Israele, Palestina e nei paesi dove è presente la Cooperazione Italiana allo Sviluppo. Ho iniziato all’Ansa di New York, seguendo alcuni processi e la prima Inauguration Week del Presidente George Bush. In realtà uno dei miei primi pezzi, anzi il primo, è stato sul cuoco messicano di George Bush! Mentre lavoravo a Class ho vinto, nel  2004, una borsa di studio per la Cina. In Cina ho collaborato con MF, Panorama e Il Venerdì di Repubblica. Modero per vari gruppi e istituzioni tra cui The European House Ambrosetti, Ubs, Euronics, Unesco, Ambasciata Rep. Popolare Cinese in Italia, Fondazione Italia Cina, Fondazione Cassa Risparmio Trento e Rovereto, Forum della Comunicazione. Ho scritto per Hoepli La nuova rivoluzione cinese. Sì, lo so non è in cima alle classifiche ma è comunque utile!

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