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La scommessa

Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2013 – L’anno nuovo sembra essere una grande scommessa per il futuro dell’Unione Europea. Dalla proposta “shock” di David Cameron di indire un referendum per far decidere ai cittadini se restare o uscire dall’UE, alle sfide verso l’unione bancaria e politica, la ripresa o la disfatta economica del continente dipenderanno grandemente dall’atteggiamento che gli Stati membri decideranno di tenere. Solidarietà e visione di lungo periodo saranno le condizioni sine qua non per la sopravvivenza dell’Unione

 

THE GAMBLER” – Lo “scommettitore”. Così l’ “Economist” ha definito il Primo Ministro britannico David Cameron, autore mercoledì 23 gennaio di un discorso attesissimo nel quale ha annunciato l’intenzione di indire un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. La consultazione dovrebbe avvenire dopo le prossime elezioni politiche del 2015 ed essere convocata entro il 2017. Non proprio dopodomani, insomma. Cosa c’è dunque di concreto nella proposta di Cameron? Quanto è alta la posta in gioco? ALL-IN – Per parlare del futuro dell’Unione Europea è fondamentale partire dalla questione britannica. Le voci in merito a una “Brixit”, un’uscita di Londra dall’UE, si sono fatte sempre più insistenti negli ultimi mesi, dopo che il Governo conservatore di Cameron aveva rifiutato, unico in Europa insieme alla Repubblica Ceca, di aderire al Fiscal Compact, primo grande passo verso una maggiore integrazione macroeconomica ritenuta necessaria per salvare non solo l’Eurozona ma per garantire la sopravvivenza dell’intera Unione. L’insofferenza di Londra verso le proposte di ulteriori rinunce alla sovranità nazionale ha suscitato un dibattito interno, che ha visto i Tories sempre più critici, i Liberaldemocratici più aperti all’Europa, e i Labour decisamente pro-EU. Fino ad arrivare al discorso del Premier che, come un giocatore di poker, sembra aver deciso di puntare tutte le sue fiches. Bluffa? Probabilmente sì, nella speranza di poter ottenere una contropartita da Bruxelles: la possibilità di riottenere e conservare la sovranità su alcuni poteri in cambio della permanenza del Regno Unito in Europa. Londra, tuttavia, non sembra avere il coltello dalla parte del manico: non ha alleati “di peso” (Danimarca e Svezia, parzialmente euroscettici, non sono Paesi così determinanti nell’equilibrio dei poteri) e, cosa ancora più importante, avrebbe molto da perdere e poco da guadagnare da un’uscita dall’Unione. Pensiamo al mercato unico: il commercio della Gran Bretagna con il resto dei Paesi europei è una parte preponderante dei suoi scambi economici complessivi che sarebbero danneggiati da un’uscita di Londra dall’UE, che comporterebbe il ripristino di barriere tariffarie (e non). Inoltre, il possibile futuro completamento del mercato unico anche nella sfera dei servizi consentirebbe a Londra di consolidare ulteriormente il suo primato come capitale, non solo continentale ma mondiale, della finanza.

 

GLI ALTRI NON STANNO A GUARDARE – L’atteggiamento degli altri attori chiave dell’UE non sembra troppo conciliante. Dalla Germania, per esempio, non sembra che ci possa essere disponibilità ad accettare le richieste della Gran Bretagna “ad ogni costo”, mentre l’opinione pubblica francese ha reagito alla “sparata” di Cameron come ad un vero e proprio ricatto. Eppure, le spinte centrifughe in seno all’UE non vanno sottovalutate, e sono sintomatiche di una situazione di difficoltà che è ancora ben lungi dall’essere superata. È vero, nel 2012 sono stati fatti diversi progressi sul cammino dell’integrazione: dopo il Fiscal Compact, la Banca Centrale Europea ha messo a segno un punto decisivo per il salvataggio dell’Euro grazie al lancio degli Outright Monetary Transactions (OTM), disponibilità (potenzialmente illimitata) all’acquisto di buoni del debito pubblico emessi dagli Stati membri, per garantirne la solvibilità. Questa mossa in particolare, voluta fortemente da Mario Draghi, ha permesso per ora di evitare scenari di default in Grecia, Italia e Spagna portando ad un calo degli spread. E adesso?

 

VERSO L’UNIONE BANCARIA? – Il prossimo passo verso il consolidamento dell’Unione Economica, dopo il varo di quella fiscale, sarà quello dell’Unione Bancaria. Tale evoluzione dovrebbe garantire un’uniformità dei regolamenti e aumentare i poteri di supervisione e sorveglianza della Banca Centrale Europea, allo scopo di prevenire le crisi di alcuni grandi gruppi bancari che si sono rivelate di recente in tutta la loro gravità. In questo modo l’European Stability Mechanism, il nuovo strumento approvato per garantire liquidità, potrà andare direttamente in soccorso delle banche in difficoltà. Gli effetti potrebbero essere importanti, restituendo fiducia al sistema del credito e potendo quindi anche rilanciare gli investimenti e l’economia in generale.

 

SUL FILO… DEL DISEQUILIBRIO – Certo è che la tremenda crisi dei debiti sovrani ha messo a nudo la fragilità strutturale dell’Unione Europea: il peccato originale di aver fatto nascere l’unione monetaria senza un’unione economica, nell’illusione che l’Euro sarebbe stato sufficiente per garantire convergenza nei fondamentali macroeconomici tra gli Stati. Invece, le differenze tra i Paesi “formica” (Germania in primis) e quelli “cicala” (i PIIGS, per intenderci) sono venute a galla. Manifestando gli squilibri tra i membri dell’Euro, che non saranno più sostenibili in futuro. Gli Stati in crisi, infatti, ora sono costretti dalle misure di austerity imposte da Bruxelles a tagliare la spesa pubblica e ad aumentare le tasse: tali politiche, restrittive e recessive, dovrebbero essere accompagnate da manovre espansive negli Stati “virtuosi”, che non possono continuare invece ad accumulare surplus di bilancio, o godere, come nel caso della Germania, di tassi di indebitamento addirittura negativi (di poco positivi solo grazie all’effetto dell’inflazione): in pratica, Berlino è considerata talmente sicura che chi investe in titoli tedeschi è disposto a non chiedere interessi alla scadenza.

 

UN’EUROPA SOLIDALE – Quello che serve, dunque, è un’Europa che, al di là dell’austerità fiscale imposta ai governi dei Paesi in crisi, riesca ad elaborare dei meccanismi di solidarietà e redistribuzione interna, al fine di armonizzare le politiche economiche degli Stati membri e favorire finalmente la ripresa della crescita. Per fare ciò è necessaria non solo l’esperienza degli economisti, ma serve una visione strategica di lungo periodo: l’Europa deve decidere cosa vuole diventare e deve farlo capire ai suoi cittadini. Si vuole l’unione politica? Allora bisogna dirlo chiaramente e senza paura: soprattutto, bisogna riuscire a spiegare che se si tornasse indietro sarebbe peggio per tutti. Peggio per la Gran Bretagna, che perderebbe i vantaggi economici di stare nell’UE; peggio per la Grecia, che finirebbe probabilmente preda delle spinte populiste e della violenza degli estremisti di Alba Dorata; peggio per la Germania stessa, che fino ad oggi ha goduto del funzionamento di questa UE. Si impone insomma uno sforzo collettivo, da parte di tutti i 27 (pardon, 28: a luglio entrerà anche la Croazia): o si fa l’Europa, o si muore.

 

Davide Tentori

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualità di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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