Il 4 novembre scorso si è festeggiato a Francoforte il primo anniversario dell’Unione bancaria, originariamente un progetto ambizioso di trasferimento di competenze finanziarie a livello europeo concepito a seguito della grande crisi finanziaria del 2008 e basato su tre pilastri (vigilanza unica, risoluzione unica e garanzia comune dei depositi). A oggi, a causa di preferenze inconciliabili in seno all’UE e ai veti della Germania, soltanto il primo pilastro può dirsi pienamente realizzato, con il secondo in attesa di ratificazione da parte di alcuni membri firmatari (Italia inclusa) e il terzo rimasto su carta, nonostante gli sforzi della BCE a guida Draghi.
L’UNIONE BANCARIA E L’AGENDA EUROPEA – Quando gli effetti della crisi finanziaria originatasi negli Stati Uniti nel 2008 iniziarono velocemente a propagarsi sull’altra sponda dell’Atlantico, l’Unione europea non annoverava tra le sue priorità alcuno strumento di vigilanza finanziaria comune. Fu soltanto nel 2012, con il virare della crisi finanziaria verso i debiti sovrani di alcuni Paesi europei (soprattutto Grecia, Italia e Spagna), che la questione fu inserita a pieno titolo nell’agenda europea. Sotto l’attacco speculativo dei mercati finanziari gli Stati maggiormente a rischio, come in una classica reazione a catena, iniziarono a fare pressione a livello europeo, in maniera più o meno coordinata, per ottenere sia liquidità per i propri sistemi bancari in crisi profonda che garanzie da esibire a coloro che scommettevano sull’insolvenza dei debiti sovrani.
Fig. 1 – L’Eurotower a Francoforte, sede della Banca Centrale
LA GERMANIA E L’AZZARDO MORALE – La Germania all’epoca dei fatti, nonostante fosse consapevole della gravità della situazione e fosse essa stessa esposta tramite le proprie banche alla crisi dei debiti sovrani (all’epoca circa 420 miliardi di dollari di esposizione verso i PIIGS), chiese di non agire sotto la spinta dell’emergenza, come avrebbe voluto la Francia, che si era fatta portavoce delle istanze di Italia, Spagna e Grecia, bensì di stabilire dei meccanismi sovranazionali che fossero in grado di garantire una struttura unica di vigilanza e di risoluzione all’interno della zona euro, in altre parole l’Unione bancaria. Tutto ciò, era già chiaro fin dal principio, non si sarebbe potuto attuare facendo affidamento ai contribuenti tedeschi, i quali si sarebbero potuti ritrovare, per scongiurare la speculazione dei mercati e la nonchalance dei sistemi bancari, in balia di azzardi morali da parte dei Paesi debitori (dalla padella nella brace) all’interno della zona euro.
STORIA DI UN (EX) PROGETTO AMBIZIOSO – Nel gennaio 2013, il progetto originario dell’Unione bancaria, così come concepito dalla Commissione Europea e in particolar modo dalla Francia – come accennato fattasi portavoce (soprattutto a seguito dell’elezione di Hollande) di istanze provenienti da Paesi maggiormente in sofferenza durante la fase acuta della crisi – prefigurava a creazione di:
- un Meccanismo di Supervisione Unico (in inglese Single Supervision Mechanism, altrimenti detto SSM) che trasferisse la supervisione di circa 6000 istituti di credito da un livello nazionale ad un livello europeo – e dunque sovranazionale;
- un Meccanismo di Risoluzione Unico (Single Resolution Mechanism o SRM) dotato di un cospicuo fondo unico europeo generato da contributi provenienti da tutte le banche in base al proprio profilo di rischio;
- uno schema di garanzia comune per i depositi a livello europeo.
Infine, la parola definitiva nel fornire sussidio finanziario a una banca sarebbe spettata alla Commissione europea.
In realtà, il 4 novembre 2014, a seguito dei veti sistematicamente imposti dalla Germania durante le trattative, si giunse a un ben più esiguo compromesso. L’Unione bancaria allo stato attuale prevede che il primo pilastro si applichi solamente alle principali 120-150 banche (rappresentanti circa l’80% degli attivi bancari) dei Paesi facenti parte del SSM, mentre la supervisione degli istituti di credito minori resta nelle mani delle autorità nazionali. Il fondo comune a disposizione del SRM sarà unico solamente a partire del 2024, a seguito di un’eventuale modifica dei trattati europei, e consisterà di circa 55 miliardi di euro (pari all’1% dei depositi degli istituti di credito rientranti nel SSM), mentre al momento è basato su compartimenti nazionali. Dello schema di garanzia comune per i depositi bancari a livello europeo non vi è quasi più traccia.
Fig. 2 – Mario Draghi, personaggio decisivo in questa fase del processo di integrazione economico-finanziaria
DRAGHI E IL RILANCIO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA – È proprio al mai realizzato schema comune per i depositi dell’eurozona che ha fatto riferimento il presidente della BCE Mario Draghi, intervenendo all’incontro dello scorso 4 novembre a Francoforte per il primo anniversario dell’Unione bancaria. A livello simbolico si trattava del luogo e del tempo ideali per tentare di ridare slancio al progetto dell’Unione bancaria e con esso al programma di integrazione europea. Draghi ha infatti affermato che «una valuta unica può esistere soltanto laddove c’è anche un sistema bancario unico, perché la valuta sia veramente una, deve essere anche veramente utilizzabile a prescindere dalla sua forma e dal luogo. In particolare i depositi bancari, che sono la forma più diffusa di denaro, devono ispirare lo stesso livello di fiducia dovunque si trovino». Le impasse che l’Unione bancaria sta riscontrando rappresentano alquanto fedelmente, sebbene in scala ridotta, le criticità che l’Unione europea sta affrontando da ormai alcuni anni a questa parte. Resta da capire quanto le parole del presidente della BCE riescano a trovare terreno fertile in un’Unione che ad oggi sembra non essere più in grado di fornire risposte condivise sia nei momenti di crisi che di routine (fatta eccezione per sporadici casi esemplari) e dove le preferenze nazionali, tarate sulla breve e brevissima distanza, sembrano non essere più componibili entro la struttura di un progetto politico europeo che necessita di tempi ben più lunghi.
Valerio Alfonso Bruno
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Un chicco in più
Negli ultimi anni, nel dibattito riguardante l’Unione europea e in particolar modo la Germania, si è sentito spesso parlare di “moral hazard” (come nel caso appena analizzato dell’Unione bancaria) con toni spesso moralistici. Una fonte autorevole definisce l’azzardo morale come «condizione in cui un soggetto, esentato dalle eventuali conseguenze economiche negative di un rischio, si comporta in modo diverso da come farebbe se invece dovesse subirle». Spesso la stampa tedesca – così come analisti e policy-maker – ha indugiato in maniera insistente su questa categoria interpretativa per descrivere le politiche, a suo dire sconsiderate, che i Paesi dell’area periferica dell’eurozona mirerebbero ad attuare, in nome della “solidarietà” europea, quali i vari meccanismi e strumenti finanziari comuni: eurobond, garanzia comune dei depositi, unione fiscale o BCE come prestatore di ultima istanza. In altre parole, la necessità di assumersi completamente i rischi derivanti dalle proprie responsabilità è divenuta per la Germania la conditio sine qua non per continuare il processo di integrazione europea.
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Foto: DonkeyHotey