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Ruanda: l’ereditĂ  violenta del 1994 e le prospettive per il futuro

In 3 sorsi Nel Ruanda di oggi, i termini “Hutu” e “Tutsi” non si pronunciano mai, ma nella realtà locale hanno un grande peso. Ventuno anni dopo il genocidio, i Tutsi vengono ancora chiamati con il termine “rescapé” che significa “sopravvissuto” in francese. In aggiunta a ciò, vittime e colpevoli vivono ancora insieme nelle stesse colline, e proprio lì le tensioni e le difficoltà sono più evidenti. Nel frattempo, il Presidente Kagame potrebbe ottenere un terzo mandato, approvato nel giugno 2015 all’interno di una petizione popolare

1. LA VERA CAUSA DELLA DIVISIONE ETNICA – In Ruanda vive una sola comunitĂ : il popolo dei banyaruanda, che tradizionalmente è sempre stato diviso in tre caste: la casta dei Tutsi (possidenti di mandrie di bestiame), la casta degli Hutu (agricoltori) e la casta dei Twa (braccianti e servitori). Questo antico sistema castale presentava inizialmente una grande mobilitĂ  e permeabilitĂ  fra le classi. Possiamo affermare che nel Ruanda precoloniale la differenza tra Hutu e Tutsi, costituenti la maggior parte della popolazione ruandese, afferiva solamente al ruolo economico svolto all’interno della societĂ . Erano due comunitĂ  all’interno dello stesso popolo che occupavano una differente posizione nella scala gerarchica sociale. Ciò che rendeva i Tutsi superiori non erano caratteristiche fisiche o intellettuali, ma la proprietĂ  dell’unica ricchezza ruandese: le mandrie di bestiame. La divisione fra le classi non era affatto rigida, ma era possibile passare da una classe all’altra grazie ai matrimoni “misti” e al possedimento dei capi di bestiame. In base a questi due fattori si determinava un continuo mescolamento fra le classi, rendendo vane le illusioni di riscontrare caratteristiche genetiche differenti. Solamente l’impatto del colonialismo europeo trasformerĂ  le mobili caste ruandesi in un sistema di rigida contrapposizione etnica che sfocerĂ  nel genocidio del 1994.

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Fig. 1 – Foto di vittime del genocidio ruandese del 1994 esposte nel Kigali Genocide Memorial Centre 

La lotta tra i due gruppi avvenne nel momento in cui la colonizzazione prima tedesca e poi belga contribuì a determinare la cristallizzazione dei rapporti tra caste, soprattutto negli anni 1933-’34. A quell’epoca il Ruanda era territorio coloniale del Governo belga, il quale ordinò un censimento introducendo un sistema di carte d’identitĂ  etniche che stabiliva l’etnicitĂ  Hutu, Tutsi e Twa (Ubwoko nella lingua KinyaRuanda e ethnie in francese) per ogni persona. La costante distinzione sociopolitica tra le due parti scatenò la cristallizzazione che, infine, venne razzializzata. L’origine della violenza fu connessa al modo con cui gli Hutu e i Tutsi erano stati considerati come identitĂ  politiche dallo Stato coloniale, gli Hutu come indigeni e i Tutsi come stranieri. Il censimento determinò che l’85% della popolazione fosse Hutu e che il 14% fosse Tutsi, il restante fosse Twa. I colonizzatori rivestirono questa ripartizione occupazionale di un significato tale per cui essa assunse le caratteristiche di una classificazione razziale di tipo gerarchico. Questa divisione, abolita nel 1994, ebbe la sfortunata conseguenza di dividere la popolazione ruandese all’interno di rigide categorie, le quali portarono avanti un periodo storico negativo di dominazione-subordinazione, superioritĂ - inferioritĂ , sfruttamento e sofferenza.

2. LE SFIDE DEL RUANDA DOPO IL GENOCIDIO  Un fatto positivo si è verificato nel 2012: i piccoli tribunali locali, chiamati anche “gacaca”, nati per giudicare i carnefici genocidiari, sono terminati in quanto le migliaia di persone implicate sono state condannate. Questo fatto ha portato una grande serenità tra i villaggi e un po’ di pace per il Ruanda. Il Tribunale Internazionale che ha sede ad Arusha, in Tanzania, invece, si dedica ancora al giudizio dei veri organizzatori del genocidio. Attualmente solo quaranta persone sono state condannate, mentre il resto dei responsabili della carneficina ancora risulta latente, anche dopo vent’anni.

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Fig. 2 – Grattacieli e traffico intenso: la Kigali di oggi, ventuno anni dopo i tragici eventi del 1994

Lo Stato ruandese, Kigali soprattutto, vive ancora di agricoltura di sussistenza, e la maggioranza della popolazione lavora nel settore agricolo. Come se non bastasse, oltre al mancato sviluppo economico, che costituisce solo uno dei tanti problemi cui il Paese dalle mille colline deve far fronte, il Ruanda ha grosse difficoltĂ  nel controllare le nascite. Dal 1994 a oggi il Paese ha superato piĂą di 12 milioni di abitanti. Questo risultato – dovuto senz’altro al rientro dei Tutsi dopo la fine del genocidio – ha fatto del Ruanda il quinto Paese al mondo per densitĂ  di popolazione. La sfida per il futuro è proprio quella di migliorare ed espandere l’economia ruandese, eliminando qualsiasi potenziale tensione che possa un giorno sfociare in un altro terribile conflitto come quello del 1994.

3. KAGAME E LA VISION 2020  –  Il Parlamento ruandese ha approvato la riforma costituzionale che permette al Presidente attuale, Paul Kagame, di candidarsi per un terzo mandato. L’approvazione è avvenuta dopo due  giorni di dibattito e con il voto unanime da parte dei settantacinque deputati presenti in aula. All’interno della petizione popolare, sono state ottenute piĂą di 3,6 milioni di firme nel giugno 2015 per ottenere un terzo mandato presidenziale. Dopo questo avvenimento, si è iniziato a parlare anche dell’intenzione di modificare l’articolo 101 della Costituzione, che vieta di esercitare per piĂą di due mandati la carica presidenziale. Questa notizia ha destato tanti dubbi. Il Governo degli Stati Uniti, ad esempio, non vi trova nessun fattore positivo e, anzi, ritiene che tale modifica potrebbe portare a un’ulteriore instabilitĂ  nel Paese, che affronta tuttora le tensioni sociali relative ai sussidi statali destinati ai sopravvissuti al genocidio. L’associazione dei sopravvissuti, Ibuka, ha portato avanti una lunga battaglia perchĂ© lo Stato possa risarcire chi ha subito maggiormente la tragedia. Rimane comunque molto difficile riuscire ad aiutare tutte le persone, dato che risultano molte di piĂą rispetto alle possibilitĂ  finanziarie di cui lo Stato dispone.

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Fig. 3 – Paul Kagame, il carismatico e discusso Presidente del Ruanda

In aggiunta, nonostante il Ruanda sia uno Stato autoritario e sovrappopolato, il Governo vuole concretizzare al meglio il cosiddetto programma Vision 2020, avente l’obiettivo di far uscire il Paese dal grande stato di povertà in cui si trova attraverso varie strategie, come l’inserimento della monocoltura, la creazione coattiva delle cooperative e l’adozione forzata di fertilizzanti. Oltre a voler eliminare la povertà, il programma Vision 2020 si pone di migliorare il settore sanitario ed educativo, essenziali affinché il Paese possa veramente iniziare  a sviluppare una economia forte senza che i cittadini debbano costantemente essere dipendenti dalla terra. Per un futuro migliore, riconciliazione e sviluppo equo rimangono i punti cardine per il Governo di Kigali.

Claudia D’Aprile

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą  

Per approfondire il tema del genocidio ruandese, delle sue cause storiche e delle sue conseguenze attuali, si consigliano il sito dell’associazione Bene Rwanda e i seguenti articoli:

  • Sara Caspani, “Gheddo: ‘Dopo l’inferno del genocidio un po’ di pace per il Ruanda'”, Tempi, 21 giugno 2012
  • Yves Ternon, “Ruanda 1994. Analisi di un processo genocida”, Fondazione Camis De Fonseca, 17 luglio 2013
  • Pietro Panarello, “Ruanda 20 anni dopo: le radici del genocidio e le responsabilitĂ  dell’Occidente”, Geopolitica, 24 giugno 2014[/box]

 

Foto: Don Cook Photography

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Claudia D'Aprile
Claudia D'Aprile

Nata a Cagliari nel 1990, ho conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche e  quella specialistica in Governance e Sistema globale presso l’UniversitĂ  degli studi di Cagliari. Dopo  sei mesi di studio a Bruxelles presso la Vrije Universiteit  e tre esperienze di tirocinio all’estero presso due Istituti di cultura Italiani (a Budapest e a Sydney) e presso l’Ufficio Nazionale del turismo (a Stoccolma),  ho deciso di assecondare la mia grande passione per la politica internazionale e di collaborare con il Caffè Geopolitico per discutere di tematiche da me profondamente studiate e amate.  Sono socia del Rotaract Club di Cagliari, in cui ho avuto l’incarico di Segretaria e Presidente di Commissione Internazionale per due anni di fila, e sono anche volontaria per Emergency e Medici Senza Frontiere. Adoro la storia e cerco sempre l’occasione per partecipare ai dibattiti sui temi che mi appassionano, leggo anche molti report e riviste geopolitiche perchĂ© voglio sempre essere aggiornata in tempo reale sulla situazione politica riguardante i Paesi prevalentemente orientali e mediorientali.

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