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L’Europa è pronta per un esercito europeo?

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – L’idea di creare un esercito europeo affonda le sue radici nel passato. Ma tra periodi favorevoli e contrari alla sua introduzione, nulla si è ancora concretizzato. Cosa aspettarsi per il 2016?

IERI: IL 2015 DELLA DIFESA EUROPEA – Il 2015 sarebbe potuto essere un anno importante per la difesa europea. Con il Consiglio dedicato alla difesa del 2013, si era infatti riaffermata la volontà di rafforzare la cooperazione europea di settore, cercando di spingerla verso la maggior forma di integrazione politica e razionalizzazione organizzativa: la creazione di un vero esercito unico europeo. Ma come avvenuto negli ultimi decenni, alle affermazioni e agli auspici espressi in Consiglio non ha fatto seguito una reale volontà politica, e tale progetto continua a rimanere molto lontano dalla realizzazione.
Il copione si è recentemente ripetuto: il Presidente della Commissione Juncker, con l’aumento delle sfide “esterne” cui l’Unione deve fare fronte – il cosiddetto “arco di instabilità” presente ai confini dell’UE, e che annovera, tra gli altri, Libia, Siria, Ucraina e rapporto con la Russia – ha rilanciato, ancora una volta, l’idea di una maggiore cooperazione nel settore difesa con annessa creazione di un esercito comune. Idea che, almeno nelle intenzioni, si rivela ancor più valida se si pensa all’attuale contingenza economica, che molto ha colpito – e continua a colpire – il settore della difesa. Un esempio in tale direzione è l’idea del pooling & sharing – orientato proprio all’integrazione e condivisione delle capacità militari – che la European Defence Agency cerca di avviare – in alcuni casi con successo – da qualche anno.
Insomma, l’Unione europea continua a oscillare tra l’idea (al momento utopica) di porsi come produttore di sicurezza (security provider) e la mancanza di una volontà politica tale da consentire un percorso di rafforzamento della difesa comune così forte da culminare in un esercito unico.

OGGI: TRA CONSIGLIO EUROPEO E ARTICOLO 42.7 – Una delle “innovazioni” del Consiglio del 2013 era stata l’idea di rendere le riunioni in questa configurazione più frequenti di quanto non fosse avvenuto negli ultimi anni – il precedente era stato nel 2008. Si era dunque scelto il 2015 come anno per un nuovo Consiglio affari esteri alla presenza dei ministri della Difesa (nella prassi il Consiglio difesa “slegato” da quello degli esteri non esiste ancora). Ma la necessità di intervenire sulla crisi dei rifugiati ha sovvertito l’agenda UE, ridimensionando l’importanza del Consiglio tenutosi il 25 e 26 giugno scorsi – a seguito del quale i Paesi membri si sono solo impegnati a mantenere la difesa tra i temi di interesse.
Ancora una volta, dunque, l’Europa non si è mostrata “matura” per una difesa realmente comune, e rimane ben lontana dalla creazione di un esercito europeo.
Ulteriore dimostrazione è l’assenza di un’unica voce europea rispetto alla lotta allo Stato Islamico. Sebbene dopo gli attentati di Parigi del novembre scorso i rappresentanti dei Paesi membri avessero levato la loro voce contro il terrorismo internazionale, ognuno ha scelto le proprie modalità di intervento – o il non intervento – su base nazionale.
È così che alla prima applicazione dell’art. 42.7 del TUE («Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri») in supporto alle attività francesi in Siria è corrisposta una contribuzione diversificata dei vari Paesi – ad esempio, con l’Italia che ha rafforzato il proprio supporto logistico e la Germania e la Gran Bretagna che hanno affiancato i propri aeromobili a quelli francesi in chiave offensiva.

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DOMANI: PROSPETTIVE PER IL 2016 – Il 2016 della difesa europea – e ancor più di un esercito unico –, date le premesse politiche, potrebbe rivelarsi ancora più complesso dell’anno appena trascorso.
Innanzitutto, a livello politico. Alla fine degli anni Novanta, quando venne firmata la dichiarazione di St.Malo, prima a dare impulso a una difesa comune europea, Francia e Gran Bretagna (i Paesi firmatari) miravano a guidare l’Unione in questo percorso di rafforzamento. Ma di fronte al probabile ridimensionamento del contributo britannico all’UE (che rischia addirittura di culminare nella Brexit), la Francia – che, a dispetto delle proprie azioni autonome in Africa, si mostra sempre a favore di un esercito europeo che consenta di affrancarsi dalla NATO – dunque, dovrebbe trovare un nuovo alleato politicamente e militarmente di spessore per perseguire il rafforzamento delle politiche di difesa e il progetto di creazione di un esercito europeo. I “supporters” non mancherebbero – soprattutto tra i Paesi del nord Europa non membri della NATO (Svezia e Finlandia) e tra le repubbliche baltiche, cui si aggiunge la Germania –, ma nella lista dei “detrattori illustri” è presente un Paese di peso in termini militari, ma in fase di allontanamento politico dall’Europa: la Polonia.
Secondariamente, a livello pratico. È improbabile che nel 2016 si vedrà il dispiegamento del “primo esperimento” di azione comune, i Battlegroups. Questi gruppi di intervento rapido formati da personale distaccato delle forze armate dei Paesi membri, sono schierabili già da diversi anni, ma le loro capacità non sono ancora state testate.
In sintesi, un’Unione europea che arranca nell’affermarsi con un’unica voce non è ancora pronta per un rafforzamento della politica di difesa comune, e non può di certo esserlo per un esercito europeo. Tanto più che la sua formazione si sostanzierebbe nella cessione all’UE di uno dei principali strumenti della sovranità statale, la difesa dei propri confini.

  A favore Contro Non sa
EU 28 72% (-2%) 20% (+2%) 8%
Eurozona 75% (-1%) 17% (+1%) 8%
Belgio 82% (+3%) 15% 3%
Estonia 82% (+1%) 9% 9%
Francia 77% 15% (+1%) 8%
Italia 68% (-4%) 20% (+1%) 12
Lettonia 87% (-2%) 6% 7%
Regno Unito 62% (+2%) 28% (-1%) 10%
Svezia 55% (-6%) 37 (+4%) 8%

Tab. 1 – Opinione dei cittadini europei su una politica di difesa e sicurezza comune agli Stati membri. Elaborazione dell’autore su dati Eurobarometro autunno 2015, comparati con quelli della primavera 2015.

Giulia Tilenni

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] Un chicco in più

I battlegroups europei (EU BG) hanno raggiunto la FOC (Full Operational Capability) nel 2007, ma a oggi non sono mai stati utilizzati. Formato da circa 1.500 persone, il battlegroup (che resta disponibile per sei mesi) è pensato come forza di intervento rapido capace di autosostentarsi per i primi 30 giorni di attività operativa. L’attuale sistema di rotazione prevede che vi siano due EU BG rischierabili per ciascun semestre. [/box]

Foto: European External Action Service – EEAS

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Giulia Tilenni
Giulia Tilenni

Laureata magistrale in Relazioni Internazionali a Bologna – dove ha anche completato il Master in Diplomazia e Politica Internazionale, che l’ha portata a Francoforte sul Meno per un tirocinio di ricerca di tre mesi. Dopo una tesi in Studi strategici che analizza l’intervento militare in Libia del 2011 e una ricerca sui velivoli a pilotaggio remoto, è entrata a far parte del Caffè Geopolitico nel team Miscela Strategica.

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