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Il problema Haftar in Libia

5 domande 5 risposte – Il parlamento di Tobruk in Libia ha approvato l’accordo ONU sul Governo di unità nazionale, ma ha bocciato l’esecutivo proposto del Premier Fayez al-Serraj. Il nodo della questione rimane il ruolo del Generale Khalifa Haftar. Lo spieghiamo in cinque domande e cinque risposte.

1) La situazione in Libia continua ad essere complicata, eppure recentemente si è arrivati a una sorta di accordo. Di che si tratta?

Il 17 dicembre scorso a Skhirat, in Marocco, si era arrivati a un’importante accordo (Libyan Political Agreement – LPA) verso una stabilizzazione della Libia, con la creazione di un Consiglio di Presidenza, passo iniziale verso la formazione di un Governo di unità nazionale. Approvato dai rappresentanti dei parlamenti libici rivali di Tobruk e Tripoli – con l’egida dell’ONU tramite il mediatore Martin Kobler – l’accordo prevedeva la formazione di un Governo di unità nazionale guidato dal 55enne Fayez al-Serraj. L’esecutivo recentemente proposto vede ben 32 ministri, tarati per rappresentare le diverse anime del Paese (dai rappresentanti dei due parlamenti ad alcuni rappresentanti delle tribù più importanti…), a testimonianza del tentativo di creare un esecutivo quanto più gradito ai diversi contendenti. La squadra proposta avrebbe poi dovuto essere votata dai due parlamenti rivali.

2) Cosa ha votato il parlamento di Tobruk?

Il 25 gennaio il parlamento di Tobruk (House of Representatives – HoR) ha da un lato approvato l’accordo politico (l’LPA) ma ha bocciato con ben 89 voti contrari (solo 15 a favore) l’esecutivo proposto da al-Serraj, richiedendo che venga proposto una nuova squadra entro 10 giorni. Se da un lato questo non chiude le porte all’accordo, evidenzia comunque un problema consistente riguardo a un punto fondamentale, ovvero l’articolo 8 delle disposizioni aggiuntive, che passa il comando delle Forze Armate libiche al Consiglio di Presidenza. Questo articolo, studiato per far passare il controllo sui gruppi armati dalle singole fazioni al Governo centrale, infatti, vede contrario il generale Khalifa Haftar e gran parte del parlamento di Tobruk, perché di fatto estromette dall’autorità militare il summenzionato generale.

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Fig. 1 – Carro armato appartenente alla coalizione Alba Libica

3) Cosa c’è in gioco?

In gioco c’è proprio il ruolo di Haftar: oggi alla guida di una delle coalizioni maggiori del Paese, l’Esercito Libico, verrebbe estromesso da gran parte del proprio potere. L’esecutivo proposto da al-Serraj è, come detto, un sistema di equilibri, che vede per esempio al Ministero della Difesa il generale Mahdi al-Barghati, ex alleato di Haftar ora in contrasto con lui, mentre in posizioni chiave del Consiglio Presidenziale alcuni leader di milizie in teoria gradite agli islamisti di Tripoli (il General National Congress – GNC) come il generale Abderraman Attawil. In altre parole, Haftar non farebbe parte né del Ministero né del Consiglio e l’articolo 8 sopra citato gli toglierebbe autorità sopra le sue truppe ponendole sotto quella di al-Serraj e dei suoi consiglieri. Per il parlamento di Tobruk, di cui Haftar è considerato il vero potere, tale soluzione non risulta accettabile. Eppure la chiave – e il problema – sta proprio in questo gioco di nomine che appare senza facile soluzione.

4) Le opzioni?

  • Estromettere Haftar e mettere alla Difesa e al Consiglio suoi rivali serve a rendere il nuovo Governo di unità nazionale appetibile anche alle milizie che fanno capo a Tripoli. Ma così facendo Haftar stesso, estromesso, continuerà a fare pressioni sul parlamento di Tobruk per bocciare il Governo.
  • Ammettere Haftar, invece, significa accontentare Tobruk, ma rendere la nomina difficilmente digeribile alle sue controparti a Tripoli, molto restie a ogni accordo che, come quello attuale, veda gran parte del potere legislativo trasferito ai rivali di Tobruk.
  • Anche per quanto riguarda l’articolo 8, eliminarlo aiuterebbe Haftar e altri leader di milizie, ma verrebbe meno un punto cardine per mettere sotto controllo del Governo proprio quelle milizie che ora fanno capo a fazioni rivali.
    In quest’ottica, le parti vedono una situazione in cui gli interessi di ciascuno sono inconciliabili con quelli degli altri; il risultato è una continua opposizione che blocca anche la formazione del Governo: detto semplicemente, non c’è, al momento, una soluzione che appaia capace di convincere tutti (o la maggior parte). Non facilita il tutto il fatto che alcuni esponenti del GNC di Tripoli stiano attivamente boicottando il negoziato dichiarando che non permetteranno al Governo di al-Serraj di insediarsi a Tripoli (attualmente è all’estero, a Tunisi) e hanno firmato mandati di cattura per alcuni esponenti del Consiglio presidenziale.

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Fig. 2 – Khalifa Haftar

5) Quali pressioni usare?

Il problema, per l’Europa e gli USA, è che più tempo si impiega per creare un esecutivo di unità nazionale (ammesso ci si riesca), più tempo ha lo Stato Islamico in Libia per espandersi e rafforzare le proprie posizioni, sia attorno alla sua roccaforte Sirte sia nelle aree più a sud (verso il Sahel) sia quelle più a est (verso gli impianti petroliferi e di gas). È quindi necessario fare pressioni sulle parti. Attualmente la pressione sta prendendo la forma di un’iniziativa UE per per predisporre delle sanzioni contro alcuni esponenti dei parlamenti rivali che stanno ostacolando il cammino del Governo di unità nazionale: Aghila Saleh, presidente dell’HoR e Nouri Abusahmain e Khalifa al-Ghwell, rispettivamente presidente del parlamento e leader del GNC.

Tuttavia esiste un altro ambito in cui l’UE dovrebbe operare, ed è la pressione sui Paesi che di fatto sponsorizzano le due parti, in particolare Turchia per Tripoli, Egitto ed Emirati Arabi Uniti per Tobruk. Soprattutto questi ultimi vedono in Haftar e nella sua fazione il proprio braccio in Libia e non sono così convinti di dover perdere influenza a favore di un Governo centrale che potrebbe risultare schiavo di avversari o, comunque, inefficace perché continuamente bloccato da veti contrapposti. Anche la richiesta della HoR di portare il numero di ministri a 17 va nell’ottica di ridurre la “diluizione” dell’influenza che avrebbe la propria fazione se fossero presenti troppi esponenti avversari o indipendenti. E qui sta la differenza tra la visione locale/regionale e quella occidentale. Per noi la Libia deve avere un Governo unito per potersi concentrare contro lo Stato Islamico locale – e così richiedere un intervento militare occidentale a supporto. Per le fazioni locali, e per i loro sponsor regionali, è invece fondamentale non perdere influenza a favore dei rivali. Questo due visioni sono anche alla base del perché, al momento, l’iniziativa dei primi non corrisponde alle aspettative dei secondi – e risulta così ancora di dubbia attuazione.

Lorenzo Nannetti 

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

L’operazione militare internazionale – Ormai da giorni sui media di tutto il mondo compaiono indiscrezioni (sottolineate in particolare da un articolo del New York Times) riguardo alla possibilità di intervento militare internazionale contro lo Stato Islamico in Libia. Secondo molti analisti, di fatto esso non si concretizzerà in un intervento con truppe di terra, se non per l’addestramento delle Forze Armate locali e azioni mirate; sarà invece più rilevante l’intervento aereo con compiti di bombardamento sulle posizioni dello Stato Islamico per indebolirle così tanto da permettere alle truppe locali di eliminarle. Al di là delle possibili caratteristiche dell’azione, sulle quali ritorneremo in futuro, tutti i media riportano l’idea che l’eventuale coalizione (che dovrebbe comprendere USA, Francia, Gran Bretagna e Italia) preferisca agire dietro richiesta ufficiale del Governo di unità nazionale di al-Serraj, quando potrà insediarci. Ma che succederebbe se il Governo non dovesse mai insediarsi, perché continuamente bocciato dai parlamenti di Tobruk e/o Tripoli? In tal caso, come spiega bene Mattia Toaldo dell’ECFR ad al-Jazeera English, per non perdere troppo tempo e colpire subito il nemico si potrebbe intervenire anche senza richiesta del Governo libico, che ne verrebbe però delegittimato – a danno della successiva pacificazione del Paese.[/box]

Foto: Magharebia

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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