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Le violazioni del diritto alla vita nel Mediterraneo

In 3 Sorsi – A fine gennaio il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU ha riconosciuto l’Italia colpevole della violazione del diritto alla vita di più di duecentosessanta migranti deceduti nel tristemente famoso “naufragio dei bambini”, avvenuto nel 2013 a largo delle coste maltesi.

1. IL NAUFRAGIO DEI BAMBINI

Il 27 gennaio scorso il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha condannato l’Italia per aver lasciato morire più di duecento migranti in un naufragio avvenuto nel 2013, a largo delle coste maltesi. L’imbarcazione naufragata era partita dalla Libia e trasportava alcune centinaia di migranti, prevalentemente siriani. Il peschereccio, dopo essere stato colpito da alcuni colpi di arma da fuoco esplosi da motovedette della guardia costiera libica, aveva iniziato a imbarcare acqua e aveva lanciato una richiesta di soccorso al centro di coordinamento delle operazioni di soccorso marittimo di Roma. Tuttavia Roma aveva scaricato la responsabilità delle operazioni di soccorso sulle Autorità maltesi, che avevano tentato di fare altrettanto con quelle italiane. Alla fine nel naufragio ci sono stati circa duecentosessanta morti, gran parte dei quali bambini. Per questo motivo la tragedia verrà poi ricordata come “il naufragio dei bambini”. Secondo il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Malta e Italia si sarebbero rese complici nella violazione del diritto alla vita dei migranti, sancito all’articolo 6 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. La decisione, oltre a evidenziare le responsabilità di Malta e Italia nella violazione del diritto alla vita dei migranti periti nel naufragio, mette in luce la mancata collaborazione dei due Governi nella conduzione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Questo è un aspetto centrale delle attuali politiche migratorie dell’Unione Europea, che riflettono una sostanziale indifferenza nei confronti dei diritti dei migranti in transito verso il territorio europeo.

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Fig. 1 – Olbia, 25 settembre 2020: alcuni migranti esausti durante le operazioni di sbarco della Alan Kurdi nel porto di Olbia

2. GLI OBBLIGHI STATALI DI RICERCA E SOCCORSO MARITTIMI

Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, a partire dal 2014, ossia dall’inizio della cosiddetta “crisi dei rifugiati”, circa 21.700 migranti hanno perso la vita mentre attraversavano il Mediterraneo. Questa tragedia è causata principalmente dalla mancata collaborazione degli Stati europei nelle operazioni di ricerca e soccorso che sono tenuti ad assicurare nel Mediterraneo, sulla base di un articolato sistema legale che essi stessi hanno negoziato e ratificato. In base a tale quadro normativo gli Stati europei non sono solo tenuti a offrire un servizio di soccorso marittimo al largo delle proprie coste, ma sono anche obbligati a fornire ai migranti soccorsi in mare da imbarcazioni private un porto di sbarco sicuro in modo tempestivo. Come è noto i Governi europei hanno ripetutamente violato i propri obblighi internazionali, omettendo di assicurare servizi istituzionali di ricerca e soccorso marittimo, e addirittura intralciando e criminalizzando le attività umanitarie delle organizzazioni non governative che, dal 2014, si sono proposte di fermare le ricorrenti tragedie nel Mediterraneo, portando avanti missioni “private” di ricerca e soccorso dei migranti. A inizio aprile si è diffusa la notizia che alcune procure siciliane avrebbero intercettato le conversazioni di decine di giornalisti che si occupano di operazioni umanitarie delle ONG nel Mediterraneo.

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Fig. 2 – Lesbo, 29 ottobre 2015: richiedenti asilo e migranti arrivano a Lesbo dopo aver attraversato il Mar Egeo

3. LA STRATEGIA EUROPEA DI DE-RESPONSABILIZZAZIONE

Il disinteresse degli Stati europei per le operazioni di ricerca e soccorso che sono tenuti a condurre, accompagnato alla diffusa criminalizzazione degli interventi umanitari delle ONG, rappresentano due facce della stessa medaglia. In questo modo l’Unione Europea e i suoi membri mirano a ottenere una sostanziale de-responsabilizzazione nel campo della protezione della vita e dei diritti dei migranti. In aggiunta gli accordi con Stati terzi come quelli tra Italia e Libia costituiscono parte integrante di tale strategia, in quanto mirano ad appaltare la gestione dei flussi migratori a entità esterne all’Unione Europea, che spesso si rendono colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani dei migranti. È utile ricordare che il motivo per cui il peschereccio del naufragio del 2013 è affondato è rappresentato proprio dai colpi esplosi dalla guardia costiera libica, la stessa che è stata recentemente ringraziata dal Primo Ministro Draghi per la collaborazione con l’Italia e le sue missioni di salvataggio nel Mediterraneo. È necessario invece che gli Stati europei inizino ad assumersi le proprie responsabilità nel campo della gestione dei flussi migratori via mare, evitando accordi con entità statuali poco avvezze al rispetto dei diritti umani, gestendo direttamente le operazioni di soccorso che avvengono entro le proprie coste, e ponendo fine alla criminalizzazione degli interventi umanitari delle ONG nel Mediterraneo.

Francesca Romana Partipilo

Immagine di copertina: Photo by geralt is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • Il 27 gennaio il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU ha condannato l’Italia per un naufragio del 2013 in cui persero la vita più di duecento migranti.
  • La condanna mette in luce alcuni elementi costitutivi delle strategie di de-responsabilizzazione attuate dall’Unione Europea nel Mediterraneo.
  • Nonostante la guardia costiera libica si renda spesso colpevole di violazioni dei diritti umani dei migranti, a inizio aprile Draghi, durante una visita di Stato in Libia, l’ha ringraziata per i salvataggi nel Mediterraneo.

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Francesca Romana Partipilo
Francesca Romana Partipilo

Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Trento con una tesi in diritto dell’Unione Europea, ho conseguito un Master in Human Rights and Conflict Management presso la Scuola Superiore Sant’Anna. Dopo un anno a Londra, durante il quale ho lavorato presso il British Institute of International and Comparative Law, occupandomi di rifugiati e di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, sono tornata in Italia per iniziare un dottorato di ricerca. Mi occupo di organizzazioni non governative e del loro ruolo nelle operazioni di ricerca e soccorso di migranti nel Mediterraneo.

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