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L’olio tunisino e la nostra memoria corta

La questione dell’olio tunisino in arrivo senza dazi ha scatenato le polemiche in Italia. L’unico problema però è la nostra memoria corta. Proviamo ad approfondire cosa sta dietro a tutto questo

OLIO (A) CUORE – Si sa che ormai sui social va così: dacci oggi la nostra indignazione collettiva quotidiana. Negli ultimi giorni al Caffè non abbiamo potuto fare a meno di soffermarci sullo “schiaffo ai nostri agricoltori”, dato che «l’Unione Europea ci impone l’olio tunisino», così come titolato da alcune nostre testate nazionali, che hanno dato risalto all’indignazione di alcuni gruppi politici dell’opposizione (magari gli stessi che poi colpevolizzano quell’Occidente che non sostiene abbastanza i popoli arabi che cercano di giungere alla democrazia). Il rumore mediatico è cresciuto fortemente, tanto da rendere a nostro avviso necessarie alcune considerazioni per chiarire ed inquadrare meglio questa vicenda.

Il comunicato stampa di gennaio 2016 che presentava la mozione del Parlamento Europeo e una prima approvazione (31 voti a favore, 7 contrari, 1 astenuto) è molto chiaro: abolizione di dazi doganali su 70mila tonnellate di olio in tunisino in due anni (con licenze di importazione mensili, obbligo di tracciabilitĂ , possibilitĂ  di revisione dopo un anno se incorreranno problematiche, e divieto di proroga della misura), che vanno ad aggiungersi alle attuali 56.700 previste dall’accordo di associazione Ue-Tunisia. L’olio tunisino arriverĂ  in Europa e in Italia a costi inferiori, e dunque il distributore che importa olio tunisino lo pagherĂ  meno (non è detto che sia così per il consumatore finale: i distributori potrebbero tenere gli stessi prezzi precedenti). Teniamo però conto che l’Italia produce circa 440mila tonnellate di olio l’anno, esportandone poco meno della metĂ . Le 35mila tonnellate l’anno di olio tunisino senza dazi per due anni in tutta Europa difficilmente ci potranno mandare in rovina. Siamo tutti liberali con i nostri dazi, mai con quelli degli altri: nessuno mette in dubbio la necessitĂ  di una tutela dei nostri agricoltori, anche in campo europeo (trovate qui un approfondimento in merito sulla nuova PAC, la Politica Agricola Comune europea), ma non è questa la battaglia da combattere, difendendo le nostre posizioni a discapito di altri. Chiaro poi che una simile scelta non è completamente “a costo zero”, certamente occorre attenzione su possibili (limitate) ripercussioni, ma a nostro avviso questo è un “rischio” da correre in virtĂą di un obiettivo piĂą grande.

ANDIAMO OLTRE – Questo perchĂ© è utile soprattutto a noi italiani, “vicini di casa” della Tunisia, promuovere la loro economia, la stabilitĂ  e la transizione democratica di questo fragile Paese; il problema è tutto qui, nel ricordarci cosa avesse spinto originariamente a un tale provvedimento. L’intera vicenda infatti è la prova di quanto, almeno in Italia, davvero si abbia una memoria cortissima quando si tratta di questioni internazionali, perchĂ© sembra non si ricordi quale era stata la spinta originaria verso tale provvedimento. Non ci ricordiamo piĂą degli attentati a Tunisi (museo del Bardo) del 18 marzo 2015? E l’attacco alla spiaggia di Sousse, con 38 morti, del 26 giugno 2015? Allora eravamo tutti a piangere per la Tunisia, pronti a dare una mano per aiutare quello che è comunque, pur tra tante difficoltĂ , l’unico caso che offra concrete e coraggiose chance di un cammino democratico in Nord Africa. Allora, con lo spettro del crollo del turismo in Tunisia (principale fonte di reddito), abbiamo pensato a come aiutare quel Paese e giĂ  a quell’epoca si propose di ammettere olio tunisino sul mercato europeo senza dazi. Non per complotti strani di chissĂ  quale natura oscura (“Ecco l’Europa malvagia che ci vuole male!” sembra essere il refrain recente), ma per aiutare un popolo che stava e sta combattendo una battaglia coraggiosa e chiedeva giustamente aiuto. E perchè il settore sia proprio questo è presto detto: la Tunisia è oggi il primo esportatore al mondo di olio di oliva (piĂą di 300.000 tonnellate), e il 40% di tutte le esportazioni agricole della Tunisia proviene dall’olio di oliva (10% di tutto l’export).

Forse neanche ci rendiamo conto di cosa vorrebbe dire un collasso anche di questo Paese, unico ad aver sinora evitato derive autoritarie o conflitti civili tra quelli coinvolti nella cosiddetta “Primavera araba”, ma che comunque ha attualmente al suo interno problemi strutturali. Una economia in ginocchio non può che favorire fenomeni di estremismo, radicalizzazione (il Paese è già tristemente ai vertici della classifica degli Stati di provenienza dei foreign fighters che combattono in Siria) e penetrazione del terrorismo islamico, come dimostrano proprio gli attentati del 2015 e anche l’attacco alla polizia a Ben Gardane il 7 marzo 2016.

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Fig. 1 – Olio di oliva: meglio quello tunisino o quello nostrano?

LA RISOLUZIONE ITALIANA – L’interesse italiano è ben riassunto nella risoluzione parlamentare “Sull’impegno dell’Italia in sede multilaterale a sostegno della Tunisia” che nel maggio 2015 ha promosso aiuti alla Tunisia, firmata da deputati di tutti i partiti, alcuni anche vicini ai media che in questi giorni hanno segnalato questo “scandalo” (segnaliamo di seguito i principali, in ordine di firme: Area Popolare NCD-UDC, Partito Democratico, Forza Italia, Sinistra Ecologia LibertĂ , Fratelli d’Italia) ad eccezione di Lega Nord e Movimento 5 Stelle. In questa risoluzione, che vale la pena leggere, si dichiara che l’Italia ha un interesse vitale nella stabilizzazione democratica e nel consolidamento istituzionale della Tunisia, anche (ma non solo) alla luce del fatto che il nostro Paese è il secondo partner economico di Tunisi, che resta un interlocutore privilegiato per investitori e imprese italiane nonostante le difficoltĂ  recenti del Paese e gli ultimi attentati. In sintesi, la risoluzione chiede di promuovere con gli altri Paesi UE una conferenza internazionale per gli investimenti in Tunisia, con l’obiettivo di rafforzare l’impegno nella lotta contro il terrorismo e per il consolidamento delle istituzioni e dell’economia tunisine, e di attribuire alla Tunisia lo «status avanzato» nel quadro della nuova Politica europea di vicinato, e dello status di Paese partner per la democrazia in sede di Consiglio d’Europa. Dunque, non sostenere l’economia locale e l’export tunisino è una visione clamorosamente miope e ottusa, che al di lĂ  di qualsiasi altro aspetto, anche solo da un punto di vista strettamente egoistico e di nostri interessi si rivela perdente.

AIUTIAMOLI A CASA LORO? – Oggi invece, quando bisogna fare sul serio e aiutare per davvero e non solo per finta, c’è chi protesta e si tira indietro. Pochissimi ricordano il passato, il significato di questo gesto, e questo ci porta a fare alcune riflessioni. Non capiamo gli slogan di alcuni politici, ma certo comprendiamo una discussione sul tema e le posizioni anche diverse degli agricoltori (che però si lamentano ora, ma non quando per la prima volta si votò il provvedimento: la discussione doveva forse essere prima, ancora in fase decisionale): il punto però è che siamo tutti pronti ad aiutare gli altri a parole, ma poi ci tiriamo indietro quando bisogna farlo davvero. Siamo bravi solo a fare slacktivism (letteralmente “attivismo pigro”), cioè ad aiutare gli altri solo con click, like e condivisioni di frasi e immagini a effetto, ma poi quando c’è da agire sul serio non ne abbiamo voglia? Quando diciamo “aiutiamoli a casa loro”, rivendicando i diritti di un popolo e sostenendo la democrazia, stiamo in realtĂ  dicendo “non voglio muovere un dito”? In questo caso il problema non è l’Europa, nĂ© i Tunisini. Il problema siamo noi, che forse non abbiamo voglia di fare sul serio. O che forse stiamo vendendo il futuro di un Paese vicino (e anche il nostro, per le possibili ripercussioni negative se la Tunisia dovesse crollare) per un pugno di voti dalla memoria corta.

Alberto Rossi
Lorenzo Nannetti

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Segnaliamo qui un articolo di LSE (The London School of Economics and Political Science) di Stefano Torelli (Ispi), amico del Caffè e tra i massimi esperti italiani di Tunisia, che tra i primi ha posto attenzione su questa vicenda. [/box]

Foto: Demetrios Georgalas aka brexians

Foto: Demetrios Georgalas aka brexians

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