In 3 sorsi – Saint-Denis e Clichy-sous-Bois, banlieues industriali ai margini di Parigi, sono universi periferici al centro della nazione in cui crimini, traffici illeciti e situazioni di degrado sociale accadono a pochi chilometri dal cuore della Ville Lumière. È qui che hanno trovato appoggio alcuni terroristi della cellula franco-belga responsabili degli attacchi del 13 novembre e del 22 marzo
1. LE ORIGINI – L’area oggi occupata dal dipartimento di Seine-Saint-Denis si è popolata nel corso del 1800, fuori le fortificazioni di Parigi, di un insieme di costruzioni leggere (roulotte, capanne) in cui abitavano artigiani e operai cacciati dalla città per la crisi degli alloggi. Durante le rivoluzioni industriali questa zona, per la sua posizione vicina alla capitale e i suoi canali navigabili, ha conosciuto un processo di industrializzazione fortissimo, che ha portato allo sviluppo di diverse industrie altamente inquinanti. I comuni del dipartimento, tra cui Saint Denis e Clichy-sous-Bois, sono così diventati poli attrattivi di ondate migratorie prima di francesi, belgi, spagnoli e italiani e poi di russi, polacchi e magrebini, manodopera preziosa e ben voluta portata ad organizzarsi ai margini della città in piccole comunità. Ma il rapido sviluppo industriale e gli ingenti flussi migratori non sono stati accompagnati dalle necessarie politiche di alloggiamento e aiuto sociale: ben presto il sovrappopolamento è diventato cronico, trascinandosi dietro malessere, malattie e delinquenza, ulteriormente aggravati dai due conflitti mondiali. Solo dopo il 1945 hanno avuto inizio vere e proprie politiche pubbliche: nel 1964 una legge divise Parigi in dipartimenti per politiche più mirate sul territorio. La riqualificazione di Seine-Saint-Denis viene avviata attraverso la costruzione di infrastrutture di collegamento al cuore della città e di enormi complessi residenziali – tuttavia inadatti a famiglie troppo numerose costrette a rannicchiarsi in piccoli appartamenti. Prima che ulteriori misure sortissero il loro effetto, la crisi industriale e petrolifera degli anni Settanta ha segnato il declino inesorabile delle banlieues dell’Île-de-France. Comuni come Saint-Denis e Clichy, da sempre basatesi sulla forza dell’industria, vedono le loro centrali chiudere una ad una, la disoccupazione crescere in modo esponenziale e così anche disagi, povertà e delinquenza. Il processo di ghettizzazione, sebbene involontario, aveva ormai avuto inizio.
Fig. 1 – Operazioni di polizia condotte a Saint-Denis dopo gli attentati dello scorso novembre
2. SITUAZIONE ODIERNA – Ad oggi Seine-Saint Denis, ed in particolare Clichy, rientrano tra le ZUS (Zone Urbane Sensibili) ovvero quelle aree più povere e con alta densità di popolazione immigrata che richiedono politiche più mirate. Nel dipartimento sono 1 milione e mezzo gli abitanti, di cui un terzo islamici, e il tasso di povertà nel 2012 sfiorava il 27%. Non è avvenuto quel salto di qualità risolutivo, e ai vecchi problemi se ne sono aggiunti di nuovi, tra cui la radicalizzazione religiosa delle minoranze. A oggi la crisi degli alloggi continua, nonostante politiche di rinnovo urbano siano state avviate, l’offerta di alloggi PLAI (Prêt locatif aidé d’Intégration) – pensati appositamente per le famiglie più disagiate residenti nelle banlieues – è di molto inferiore rispetto alla domanda, perpetuando il problema del sovraffollamento degli appartamenti. La speranza di vita è al di sotto del resto della Francia così come le possibilità d’accesso al sistema sanitario. In ambito scolastico la situazione è altrettanto critica: nel 2012, a Seine-Saint-Denis la popolazione con più di 15 anni senza diploma rappresentava il 29% e nei comuni più poveri, tra cui Clichy sous-Bois, la percentuale toccava il 37%. La scarsa istruzione ha innalzato il tasso di disoccupazione locale a quasi il doppio rispetto al tasso nazionale, il che ha contribuito a mantenere un tasso di criminalità elevato. Le azioni di polizia nella zona si limitano ad ispezioni e atti repressivi a posteriori (spesso a sfondo razzista) che contribuiscono ad aumentare l’odio verso lo stato centrale. Chi nasce in comuni come Saint Denis e Clichy è governato dalla stessa Legge della nazione, ma non ha le stesse opportunità e aspettative di vita di qualsiasi altro cittadino francese. Sono specialmente i cittadini francesi figli di immigrati, i cosiddetti “immigrati di seconda generazione”, a risentire di più di questa emarginazione, in bilico tra il Paese d’origine a loro sconosciuto e uno Stato che li ha accolti senza però integrarli del tutto e dal quale si sentono abbandonati. Fra le conseguenze più immediate di questa situazione vi sono la diffusione di malcontento, malessere, crimini e traffici illeciti; fra quelle meno immediate la radicalizzazione religiosa, che può spingere anche a sposare la causa jihadista, con le sue allettanti promesse di riscatto e vendetta contro l’ordine costituito.
Fig. 2 – Poliziotti presidiano un palazzo di Clichy-sous-bois a seguito di due giorni di scontri tra giovani forze dell’ordine, ottobre 2005
3. POLITICHE DI INTEGRAZIONE Non è sufficiente concentrarsi su palazzi e infrastrutture ignorando l’uomo e i suoi legami sociali. Governo ed amministrazioni locali riconoscono sempre più l’importanza di un’inclusione sociale delle periferie con l’obiettivo strategico di sollecitare il senso di appartenenza alla Francia soprattutto fra gli “immigrati di seconda generazione”. A tale scopo il Plan Pluriennal contre la Pauvreté et pour l’Inclusion Sociale prevede misure nei campi più cruciali di lotta alla radicalizzazione fra cui:
- gli alloggi con l’obiettivo di dare un domicilio a tutti;
- l’educazione dei giovani nelle ZEP (zones éducation prioritaire), tra cui Clichy, al fine di ridurre le diseguaglianze scolastiche e garantire pari opportunità di vita,
- l’integrazione nel mondo del lavoro;
- la sanità, al fine di rinforzare la copertura e ridurre le ineguaglianze d’accesso alle cure.
Ulteriori istituzioni si indirizzano più specificatamente all’integrazione degli immigrati:
- l’OFII (Office Français de l’integration et de l’immigration) si occupa di accogliere i nuovi arrivati tramite la firma di un contratto che impegna a seguire corsi di formazione linguistica e civica indispensabili per integrarsi culturalmente nel Paese ospitante;
- il DAIC (Direction de l’accueil, de l’integration et de la citoyenneté) si occupa dell’integrazione scolastica e lavorativa degli immigrati;
- l’Acsé (Agence pour la cohesion sociale et l’égalité des chances) lavora in diversi campi tramite politiche ad hoc, riservando fondi alle aree più critiche e promuovendo la coesione sociale.
La comunicazione e i collegamenti tra le varie istituzioni locali e nazionali sono tuttavia scarse comportando una disomogeneità, e quindi una magra efficacia delle misure adottate su tutto il territorio.
La guerra contro il terrorismo è anche una guerra interiore contro le diseguaglianze sociali per un’integrazione delle minoranze e di quella fascia della popolazione più a rischio; per questo diventano sempre più necessarie politiche di integrazione e de-radicalizzazione che operino in modo uniforme sul territorio al fine di colmare quel vuoto lasciato dalle istituzioni repubblicane nel quale si infiltra, e sul quale fa leva, la propaganda dell’Islam radicale.
Valentina Revelli
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Le politiche di integrazione sono competenza degli Stati Membri. A livello dell’Unione la spinta verso una sempre più necessaria politica unitaria in materia ha portato all’adozione di principi fondamentali comuni a sostegno di un quadro europeo coerente per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi. Per saperne di più: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv%3Al14502 [/box]
Foto: MsNina