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Italia-Belgio: Enzo Scifo, il carbone e le giovani promesse

Eurocaffè – Alla fine tocca all’Italia, in un difficile esordio con il Belgio, numero 2 del ranking FIFA. Tra Roma e Bruxelles una lunga storia di incontri e scontri, ben sintetizzati dalla vicenda di Enzo Scifo.

VINCENZO ‘ENZO’ SCIFO – Verona, 17 giugno 1990. Il Belgio affronta l’Uruguay nella seconda giornata del Gruppo E ai Mondiali italiani. È il 22’ del primo tempo. Enzo Scifo riceve un pallone centrale e scarica una rasoiata da 35 metri, secca, angolata, a filo d’erba. 2-0 Belgio. La partita finirà 3-1, i Diavoli rossi arriveranno agli ottavi e saranno sconfitti dall’Inghilterra al 119’, ma il goal resterà negli annali: nel 2002 sarà al decimo posto nella classifica del Più grande gol nella storia della Coppa del Mondo FIFA. Enzo Scifo. Anzi, Vincenzo Scifo, uno dei migliori brutti anatroccoli del calcio europeo, belga figlio di emigranti italiani partiti dall’agrigentino in quell’incessante fiumana che a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta trascinò senza armi e senza bagagli 150mila nostri connazionali verso la Belgique. Tutto regolare, tutto pianificato in un protocollo del 1946 tramite il quale Roma e Bruxelles si scambiavano lavoratori e carbone: l’Italia aveva centinaia di migliaia di disoccupati ed era priva di materie prime, il Belgio aveva il problema opposto. Da lì sarebbe ripartita l’Europa, ossia dalla condivisione delle basi fisiche per la ricostruzione, principio incastonato nel nome del primo nucleo della futura Unione, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).

Il goal di Scifo contro l’Uruguay ai Mondiali 1990

CARBONE – Torniamo però a Vincenzo Scifo, al “muso nero” Scifo, come venivano chiamati gli italiani che il lavoro nelle miniere e la miseria non rendevano certo puttini raffaelleschi. Scifo, oggi allenatore dell’Under-21, nacque in Belgio nel 1966, il 19 febbraio, durante il Regno di Baldovino, la Presidenza di Antonio Segni, a pochi giorni dalla creazione del terzo Governo di Aldo Moro e dai colpi di Stato in Siria e Ghana. Dieci anni prima la tragedia di Marcinelle, con 262 minatori morti in un incidente. 136 erano italiani, giunti – e portati – in Belgio in cerca di lavoro, calati in una realtà sociale ai limiti della sopravvivenza, con scarsa integrazione e malcelato disprezzo da parte degli autoctoni. Di loro però avevano bisogno Roma e Bruxelles, tanto da stringere ancora dieci anni prima, nel 1946 (venti anni prima della nascita di Scifo e cinque anni prima della nascita del futuro primo ministro Elio Di Rupo) un protocollo, un vero e proprio baratto in 12 punti che prevedeva da parte italiana l’invio di 50mila lavoratori in cambio del diritto di acquisto di 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore. Lapidario, l’art. 11 recitava: «Il Governo italiano farà tutto il possibile per inviare in Belgio 2.000 lavoratori la settimana». E tutto il possibile fu fatto, talvolta persino sottacendo le reali condizioni che gli italiani avrebbero trovato nelle miniere. Molto poi cambiò dopo la tragedia di Marcinelle, che scosse profondamente anche gli stessi belgi.

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Commemorazione di Marcinelle nel 2006

IL BELGIO DEI FENOMENI – Tra le difficoltà Scifo maturò un talento innato, un gran destro, e un’ottima visione di gioco. Peggio se la cavava in fase di copertura, un po’ come il Belgio di oggi, rapido, offensivo, capace di colpire in quantità e qualità, ma con qualche lacuna in difesa. Il ct Wilmots si trova senza la granitica coppia centrale Kompany-Lombaerts, quindi deve supplire con scelte che indeboliranno ancora di più un reparto già zoppo causa carenza di terzini: dentro Alderweireld e Vertonghen (che pure sono due centrali) o addirittura Witsel, già provato sulla fascia destra? Il problema non è quanto la difesa possa sostenere l’impostazione in attacco della squadra – piedi buoni non mancano, – ma piuttosto se sia in grado di reggere nel complesso. Il 4-2-3-1 di Wilmots dovrebbe servire proprio a questo, a garantire copertura a centrali di riserva chiamati a lavorare – e a impostare dal basso – in sinergia con due terzini non di ruolo – a meno che Wilmots non scelga una difesa a 3. D’altronde, stando così le cose, l’obiettivo dei Diavoli rossi è superare il centrocampo, là dove entrano in azione individualità che pochi contendenti hanno in Europa, dalla tecnica di Nainggolan e Ferreira Carrasco agli inserimenti di Fellaini, passando per la basilarità strategica di Witsel e il tocco cristallino di Hazard. E poi c’è Mertens. E poi c’è Lukaku. E poi ci sono gli anni di pianificazione di una sistema calcio che ha investito, ha preso decisioni rilevanti anche da un punto di vista politico ed è riuscito a far collaborare al progetto le maggiori squadre belghe, andando all in su giovani pronti ad affacciarsi sul grande palcoscenico.

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Da sinistra Jan Vertonghen, Moussa Dembele, Radja Nainggolan e Dries Mertens

TUTTI CONTRO SCIFO – Dal 2015 in questo panorama rientra anche Scifo, con la sua Under-21. Enzo sa che cosa significa essere ragazzi, avere talento e dover combattere in campo e fuori dal campo – nella vita e nei complessi rapporti con tifosi e società, stando anche dalla parte del torto. A 17 anni esordì nell’Anderlecht e a 20 anni trascinò il Belgio al quarto posto nei Mondiali di Messico 1986. I paragoni cominciarono a fioccare: il nuovo Rivera e il nuovo Antognoni. Approdò all’Inter: delusione, una costante dell’italo-belga, che alternerà sempre grandi prestazioni a momenti difficili, carisma in campo a rapporti conflittuali con i tifosi, con forti note di presunzione ed egocentrismo. Va in Francia, dopo che addirittura Platini lo aveva incoronato come suo unico erede, ma nuovamente resta sottotono. Enzo ha un potenziale enorme, è un talento naturale, però gli manca il quid. A inizio anni Novanta rieccolo in Italia, al Toro della finale di Coppa UEFA persa contro l’Ajax e del successo in Coppa Italia. Questa volta le prestazioni ci sono, ma non trova la sponda dei tifosi, non entra in sintonia con l’allenatore. Torna allora in Belgio e riecco il talento puro, fino al ritiro nel 2001, dopo che già da alcuni anni conviveva con serie problematiche fisiche.

L’ITALIANO BELGA, IL BELGA ITALIANO – Un grande. Ma anche un grande pugno nello stomaco. Scifo è stato uno di quei giocatori che smuovono le emozioni degli appassionati, condotti sull’orlo dell’esasperazione dall’alternanza di speranza e di insofferenza. Niente a che vedere con le catene di montaggio Cristiano Ronaldo o Messi, giocatori che sfornano goal a ripetizione e tengono gli spettatori costantemente sazi. Niente a che vedere nemmeno con Roberto Baggio, che è la nostalgia di una romantica parabola. Di Scifo tutti sapevano che fosse un genio col pallone sempre sospeso a un soffio dall’impresa: era noto a tal punto che era semplicissimo credere che le prestazioni al ribasso fossero sinonimo di un altro tipo di mancanza, alla quale si reagiva con la rabbia e il ripudio. D’altronde, si sa, anche con un’altra cittadinanza, questi italiani sono inaffidabili.

Beniamino Franceschini

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Italia-Belgio, le probabili formazioni:

ITALIA (3-5-2): Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Candreva, Parolo, De Rossi, Giaccherini, Darmian, Pellè, Eder
(Sirigu, Marchetti, Ogbonna, De Sciglio, Florenzi, Thiago Motta, Sturaro, Bernardeschi, El Shaarawy, Immobile, Insigne, Zaza)
All. Conte

BELGIO (4-2-3-1): Courtois, Alderweireld, Vermaelen, Denayer, Vertonghen, Witsel, Fellaini, Nainggolan, Hazard, De Bruyne, R. Lukaku
(Mignolet, Gillet, Meunier, Kabasele, J. Lukaku, Ciman, Carrasco, Mertens, Dembele, Origi, Benteke, Batshuayi)
All. Wilmots [/box]

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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