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Spagna al voto: le implicazioni per l’indipendenza della Catalogna

In 3 sorsi – Dopo il voto dello scorso 26 giugno, la possibilità di ottenere un referendum sull’ indipendenza in Catalogna sembra alquanto lontana.

La riconferma di Mariano Rajoy – principale oppositore dei separatisti – che detiene la maggioranza relativa –  e l’indebolimento di Podemos – capeggiato da Pablo Iglesias – non giovano alla causa indipendentista catalana. Iglesias è stato l’unico leader politico ad appoggiare il “derecho a decidir” dei catalani. Tuttavia proprio la sua posizione estremista lo relega ai margini del gioco delle alleanze per la costruzione della coalizione di Governo

1. I RISULTATI In Catalogna, come nel resto della Spagna la seconda tornata elettorale conferma lo scenario delineatosi nella prima: vince En Comú Podem, versione catalana di Podemos, con lo stesso risultato di 12 deputati eletti sei mesi fa, ottenendo il 24,5% dei voti. A seguire Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) – letterarmente Sinistra Repubblicana di Catalogna – che mantiene i 9 seggi grazie al 18% dei votanti e Convergència Democràtica de Catalunya (CDC) che si conferma terza forza politica della regione con 8 deputati eletti (13,92%). Il Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC), nome catalano per PSOE, perde un seggio, fermandosi a 7 – decretando di fatto la fine dell’egemonia del partito sulla regione. Il PP di Rajoy ottiene – prevedibilmente – voti irrisori nella roccaforte rossa e indipendentista che è la Catalogna. A livello territoriale, la zona costiera catalana – la più popolosa – risulta essere il feudo viola di En Comú Podem, mentre l’interno della regione sceglie di votare CDC o ERC. In Catalogna il partito di Iglesias ha surclassato i socialisti grazie alle chiare promesse elettorali fatte in materia di referendum: il leader di Podemos ha infatti sempre affermato che, in caso di elezione, avrebbe sostenuto la realizzazione del referendum sull’indipendenza catalana, attuando tutte le riforme necessarie perché fosse legittimo e costituzionalmente valido. Il mancato sorpasso del PSOE a livello nazionale, tuttavia, disattende quelle che erano le aspettative dei catalani, i quali speravano che Podemos risultasse la prima forza di sinistra. Se la grande coalizione tra PP e PSOE si realizzasse, formando finalmente un esecutivo in grado di governare, le rivendicazioni indipendentiste catalane cadrebbero nel vuoto. Lo scenario sarebbe diverso se il partito di Iglesias facesse parte del Governo: i catalani troverebbero l’unico interlocutore pronto a confrontarsi e a perorare la causa del referendum legale in una posizione di potere. Tuttavia, proprio le sue posizioni radicali sul movimento indipendentista catalano gli impediscono di stringere alleanze, relegandolo ai margini delle consultazioni.

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Fig. 1 – Gruppo di manifestanti durante la Diada, la festa ufficiale della Catalogna

2. QUALE REFERENDUM – Storicamente la struttura politica del Governo spagnolo è stata foriera di conflitti: le regioni periferiche come la Catalogna e i Paesi Baschi hanno più volte messo in discussione il potere centrale e hanno reclamato un maggior livello di decentralizzazione data la diversa cultura, identità, lingua e storia. Con l’emanazione dello Statuto di Autonomia del 2006 da parte della Generalitat catalana (una sorta di Parlamento regionale), la Catalogna inserì, tra le altre modifiche poi dichiarate incostituzionali, una dettagliata lista di competenze a essa spettanti, tra cui quella riguardo alla materia referendaria, appunto. La Corte Costituzionale tuttavia ha chiarito la persistenza della competenza statale anche nelle materie riservate alla Comunità Autonoma ogni qual volta la Costituzione consenta di esercitarla, nonché la riserva statale in materia di convocazione di consultazioni referendarie. L’ostacolo alla convocazione del referendum da parte della Catalogna è duplice: da un lato il Governo centrale sostiene la sua incostituzionalità attraverso una interpretazione stringente dell’articolo 2 della Costituzione spagnola sull’indivisibilità della nazione; dall’altro, secondo il sistema di competenze spagnolo solo il Governo centrale può indire referendum.
Fu proprio il PP di Rajoy, fortemente centralista, a presentare la propria opposizione allo Statuto appellandosi alla Corte Costituzionale.
È impensabile che lo stesso Rajoy, forte del risultato elettorale che, pur non dandogli la maggioranza assoluta dei voti, gli riconosce quella relativa, attui le riforme necessarie per delegare le competenza referendaria alle regioni. Inoltre, tutti i maggiori partiti tranne Podemos si sono espressi negativamente di fronte alla possibilità di indire un referendum legale in Catalogna. La regione da sola non può attribuirsi  il potere di autorizzare consultazioni referendarie, per quanto ci abbia in passato già provato. Il Governo centrale, d’altra parte, ha bocciato la proposta di legge presentata dalla Catalogna e che aveva l’obiettivo di ottenere la delega referendaria (procedimento sicuramente più rapido rispetto alla riforma costituzionale). Il deludente risultato elettorale di Iglesias non permette di uscire da questa situazione di stallo.

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Fig. 2 – Una manifestante sostiene, durante la Diada, l’indipendenza catalana nell’Unione Europea

3. INDIPENDENZA NELL’UE – Un ulteriore ostacolo all’indipendenza catalana è rappresentato dall’Unione Europea. La Catalogna pone all’UE un interrogativo che non ha precedenti. La sua volontà di diventare indipendente dallo Stato membro ma rimanere nell’Unione Europea non trova fondamenti giuridici. L’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea regola il processo di adesione all’UE, mentre l’articolo 50 disciplina quello di abbandono. Non è stato previsto nessun articolo che normi il caso in cui uno Stato membro si divida in due Stati membri.
Tuttavia, la mancanza di una policy esplicita non implica necessariamente che non vi sia una policy implicita dedotta dalle azioni e reazioni dell’Unione Europea in caso di secessione. Secondo numerose dichiarazioni dei più alti rappresentanti dell’UE, è sostanzialmente escluso che una Catalogna indipendente rimanga automaticamente nell’Unione Europea. Non vi è nessun principio di diritto a sostegno di tale decisione, né nella giurisprudenza europea, né nel diritto internazionale.
Inoltre una Catalogna indipendente dovrebbe seguire la normale procedura di adesione all’Unione Europea. Essa prevede il voto unanime di tutti gli Stati membri, Spagna compresa. È ragionevole credere che la Spagna opporrebbe il veto; tuttavia lo Stato iberico potrebbe non essere il solo. Tutti gli altri Paesi che soffrono al loro interno di spinte secessioniste voterebbero contro l’adesione catalana, temendo l’effetto domino.
Ad oggi l’indipendenza catalana sembra piuttosto lontana; il caos derivante dalla mancanza di un esecutivo in Spagna – unito alla debolezza di Podemos – e l’irrigidimento dell’Unione Europea alle prese con la Brexit pare non giovare alla causa catalana, almeno nel breve periodo.

Clara Callipari

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

I tre obiettivi primari dello Statuto di Autonomia approvato in Catalogna, nonostante le modifiche intervenute, erano costituiti dal riconoscimento della regione come nazione, dell’aumento dell’autonomia e dalla modifica del sistema di finanziamento.
Tra i principali interventi della Corte Costituzionale, oltre al taglio fatto sulle competenze, è necessario ricordare quello relativo alla aperta dichiarazione statuaria della Catalogna come una “nazione”, ritenuta invalida e interpretabile correttamente solo nell’ ambito della nazione spagnola indivisibile, avente valore unicamente culturale. Per quanto riguarda la lingua catalana, lo Statuto originariamente dichiarava preferenziale l’uso del catalano, mentre la Corte ha stabilito solo un uso normale di tale lingua, che in ogni caso non può ostacolare il diritto costituzionale all’ uso del castigliano, né il diritto ad apprenderlo a scuola. Nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, deve essere mantenuta la possibilità di esprimersi in spagnolo e nessun obbligo di conoscenza del catalano può essere imposto a carico di imprese private. [/box]

 

Foto: Jobopa

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Clara Callipari
Clara Callipari

Nata a Torino con radici che affondano al Sud, sin da piccola mostra un’inclinazione naturale per le lingue straniere. Mtv le insegna l’American English, di cui conserva l’accento, e i viaggi negli States suggellano l’amore. Ha imparato lo spagnolo successivamente, anche (e soprattutto) per cantare le canzoni reggaeton a squarciagola. Appassionata di viaggi e visiting student in Corea del Sud, Spagna e Olanda, si laurea in Economia Internazionale con una tesi sul movimento indipendentista catalano (“Uno studio sulla praticabilità economica e sulla legittimità di una Catalogna indipendente”). Appassionata di linguistica, geopolitica, diritto internazionale ed economia dello sviluppo, collabora con il Caffè su temi quali i movimenti separatisti in Europa, l’unione economica e monetaria e la crescita all’interno dell’UE.

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