Analisi – Biden sta portando avanti l’agenda piĂą progressista della storia USA, con piani da 6mila miliardi di spesa pubblica tra welfare, infrastrutture e ambiente. Le promesse di bipartisanship, però, sono state finora disattese e il Paese rimane fortemente polarizzato. Cento giorni all’insegna dell’interventismo federale, con un occhio alle midterm e alla sfida con la Cina.
CENTO GIORNI
L’arrivo del centesimo giorno di Presidenza rappresenta tradizionalmente l’occasione per trarre un bilancio sulle prime mosse di un’Amministrazione. Questo traguardo è coinciso, il 30 aprile, con il primo discorso di Biden al Congresso. Nell’occasione, il Presidente ha annunciato l’American Families Plan, una manovra di welfare da 1.800 miliardi di dollari a sostegno delle famiglie. Si tratta della terza proposta superiore ai mille miliardi presentata dall’Amministrazione, dopo la Covid relief bill (lo stimolo a sostegno dell’economia) e il piano di investimenti infrastrutturali. La tendenza è dunque chiara: la nuova Amministrazione democratica coincide con il ritorno del big government. Lo stesso Presidente non ha fatto mistero di ambire, con la sua Bidenomics, alla promozione di un nuovo paradigma economico, di fatto più vicino alla socialdemocrazia di stampo europeo. Da qui i frequenti paragoni a Roosevelt e Johnson, il primo promotore del New Deal nel contesto della Grande recessione, il secondo autore della Big Society, progetto di aumento del welfare e contrasto alle disparità sociali. Secondo quanto emerge, lo stesso Biden nutre l’ambizione di venire ricordato come uno dei Presidenti più riformisti.
In sostanza tra misure annunciate e approvate, l’Amministrazione ha programmato 6mila miliardi di spesa pubblica, in un interventismo federale che toccherebbe ogni settore, tra infrastrutture, servizi sociali, ambiente. Il solo Covid stimulus equivale all’8,4% del PIL, facendo impallidire il pacchetto di aiuti adottato da Obama per la crisi del 2008-09, pari al 5,8%. Progressista è anche il modo di coprire le nuove spese, tramite aumenti delle imposte sulle imprese e sui redditi piĂą alti. A queste politiche si accompagna poi la proposta di aumento del discretionary spending federale (ovvero quella parte del bilancio che non riguarda pensioni e sanitĂ e che quindi è piĂą soggetta a cambiamenti tra un’Amministrazione e un’altra) da 1.500 miliardi, con nuovi finanziamenti in favore di ogni Dipartimento e Agenzia federale. Si può notare uno spostamento a sinistra anche su immigrazione e ambiente: sul primo fronte Biden, dopo un’iniziale indecisione, ha accolto le richieste dell’ala progressista del partito sull’alzare il limite sull’ammissione di rifugiati; sul secondo, le sue promesse sono il doppio piĂą ambiziose di quelle di Obama, con l’obiettivo di dimezzare le emissioni entro il 2030, insieme agli investimenti ambientali previsti nelle recenti manovre economiche.
Fig. 1 – L’American Jobs Plan, piano di infrastrutture da 2.300 miliardi, è la punta dell’agenda Biden
UN’AGENDA PROGRESSISTA
Con le dovute proporzioni storiche, l’agenda di Biden, riassunta con lo slogan Build Back Better, è molto probabilmente quella piĂą progressista (in Europa diremmo “di sinistra”) della storia USA. Nell’attuarla Biden ha firmato un numero record di ordini esecutivi nei primi cento giorni, continuando la tendenza dei Presidenti all’uso dei poteri esecutivi per aggirare il Congresso, ma anche accentuandola: 41 contro i 33 di Trump, secondo in questa particolare classifica. Tali ordini esecutivi erano prevalentemente rivolti al contrasto delle discriminazioni e in favore dell’ambiente e degli immigrati, ribaltando alcune delle misure di Trump piĂą invise ai democratici. In questo Biden è il Presidente che ha revocato piĂą ordini esecutivi del predecessore, cancellando ben 62 provvedimenti. Per converso, Biden ha siglato meno leggi rispetto al predecessore (11 contro 30) e a Obama, ma tra queste c’è la pesantissima Covid relief bill da 1.900 miliardi.
Biden aveva corso la campagna elettorale presentandosi come un moderato capace di unire la nazione, ma finora la sua azione politica non è stata all’insegna della bipartisanship, complice anche la conquista, inizialmente inaspettata, dei due seggi in Georgia. Il Covid stimulus è passato con i voti dei soli democratici e l’Amministrazione sembra intenzionata a muoversi secondo linee di partito anche sul piano delle infrastrutture, stante l’opposizione dei repubblicani ad aumenti di imposte e spesa sociale, sebbene il GOP concordi sulla parte di investimenti nelle infrastrutture fisiche. Ci si aspettava dunque un Presidente centrista sottoposto alla pressione dei progressisti, e invece Biden sta governando da progressista limitato dai centristi (che paiono ormai in minoranza nel Partito Democratico).
I primi cento giorni di Biden confermano poi che il concetto di “luna di miele” elettorale rischia di essere superato in quest’epoca di alta polarizzazione: il suo tasso di approvazione, per quanto più alto rispetto a Trump, è inferiore a Obama a Bush Jr. Soprattutto, però, Biden ha il tasso di disapprovazione più alto mai registrato (escluso Trump), complice un partisan gap, ovvero la forbice nei tassi di approvazione tra i due partiti, da record (85 punti). La Presidenza può tuttavia contare su un significativo sostegno popolare su buona parte delle sue proposte, anche grazie al successo della campagna vaccinale, sebbene le sue basi siano state poste dall’Amministrazione precedente.
Fig. 2 – Biden ha fatto ampio uso dei poteri esecutivi, superando il record di executive orders firmati nei primi cento giorni
WHAT’S NEXT?
Sorge poi la domanda di cosa aspettarsi nei prossimi mesi. La priorità , ovviamente, sarà far approvare i piani di welfare e di investimenti in infrastrutture, insieme ai relativi aumenti delle imposte. Sarà un importante banco di prova per la coesione tra elementi progressisti e moderati della Biden coalition. Una seconda direttrice riguarderebbe il settore sanitario, con due progetti storici dei democratici: l’espansione dell’assistenza sanitaria e il calmieramento dei prezzi dei farmaci. Infine l’Amministrazione potrebbe tentare la strada della regolamentazione delle big tech o, ancora, l’annosa questione della riforma del Filibuster, rilevante per far avanzare l’agenda democratica.
Per tutti questi progetti, però, il tempo corre. L’Amministrazione si trova infatti con un particolare senso di urgenza, consapevole che questa ondata di interventismo statale può essere maggiormente giustificata presso l’opinione pubblica in un contesto di emergenza come quello della pandemia. Soprattutto, all’orizzonte ci sono le midterm del 2022: con le elezioni di metà mandato, infatti, un Presidente perde tradizionalmente la propria maggioranza al Congresso, rendendo quasi impossibile portare avanti i progetti più ambiziosi (solo due volte dal 1962 il Partito di Governo non ha perso seggi), a maggior ragione considerando che i democratici poggiano su una maggioranza risicata. Al tempo stesso far passare almeno una parte di questo programma legislativo servirebbe ai democratici proprio per meglio posizionarsi in vista delle midterm.
Nel quadro di questo nuovo interventismo federale, Washington deve sperare che l’aumento delle regolamentazioni e delle imposte venga piĂą che compensato dal successo degli investimenti pubblici, verso una strada di crescita della produttivitĂ e dell’inclusivitĂ dell’economia, ma anche tenendo presente il rischio di un aumento eccessivo di inflazione e debito. In palio, per Biden, non c’è solo una partita domestica, ma anche la sfida globale con la Cina: la strategia di investimenti pubblici ha infatti tra i propri scopi migliorare la competitivitĂ dell’economia USA rispetto a quella cinese. Del resto Biden è stato esplicito nel suo recente discorso: Xi Jinping è “deadly earnest on becoming the most significant, consequential nation in the world“.
Antonio Pilati
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