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Make in India: la realizzazione del potenziale economico indiano?

Attraverso il Make in India, una politica economica volta ad attrarre massicci investimenti esteri, il Primo ministro Modi punta a trasformare l’India in una grande potenza industriale capace di sostituire la Cina come destinazione privilegiata delle delocalizzazioni estere

UN CASO DI MANCATA INDUSTRIALIZZAZIONE – Lo sviluppo economico dell’India, a partire dagli ultimi decenni, ha intrapreso una via diversa da quella tradizionale adottata da tutte le altre economie in fase di sviluppo (che prevede un passaggio iniziale da un’economia prevalentemente agricola a una industriale, e un passaggio successivo verso un’economia basata sul settore dei servizi). L’India, infatti, non ha mai assistito a un vero e proprio boom industriale, facendo sì che l’economia del subcontinente rimanesse prevalentemente agricola fino ai primi anni Novanta per poi proiettarsi verso una crescente terziarizzazione, iniziata con le liberalizzazioni del 1991, che hanno favorito l’India come hub a livello informatico, farmaceutico e ingegneristico. Tale sviluppo è stato finanziato in buona parte con capitali esteri, provenienti prevalentemente da aziende americane ed europee, che per abbattere i costi di produzione si sono affidate sempre piĂą al talento dei neolaureati indiani, ai quali vengono corrisposte paghe inferiori rispetto a quelle dei “colleghi” occidentali, massimizzando i profitti. Contemporaneamente, il settore industriale è rimasto arretrato, e il suo anemico contributo, che grava sul passivo della bilancia commerciale, si attesta attualmente solo al 29% del PIL, una fetta considerata non soddisfacente, soprattutto se paragonata al settore secondario del principale rivale regionale, la Cina, che contribuisce al 55% del prodotto interno lordo ed è anche piĂą produttivo. Sulle orme delle liberalizzazioni del 1991 il Governo Modi punta, attraverso l’iniziativa del Make in India, ad attrarre grandi quantitĂ  di investimenti esteri e di delocalizzazioni, in modo da favorire una forte espansione industriale e da garantire maggiore competitivitĂ  economica al Paese.

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Fig. 1 – Un contadino ara il suo campo nello Stato del Bihar

MAKE IN INDIA: INVESTIMENTI E DELOCALIZZAZIONI – L’iniziativa del Make in India, proposta dal Governo Modi nel 2014, consiste in un insieme di deregolamentazioni in 25 settori chiave per l’economia e l’industria indiana, ed è un chiaro invito alle grandi compagnie occidentali a delocalizzare la propria produzione industriale in India in modo da portare occupazione, investimenti e know how. Attraverso questa iniziativa (combinata a iniziative simili promosse da singoli Stati indiani come Make in Marahastra o Vibrant Gujarat), il Governo quindi promuove a livello federale e statale l’enorme potenziale economico del Paese, rimasto finora parzialmente inespresso in seguito alle stringenti regolamentazioni. Il potenziale economico indiano è composto da due caratteristiche che nessun altro Paese possiede contemporaneamente: un’enorme forza lavoro, composta per la massima parte da giovani, combinata a un costo del lavoro molto basso. Alcuni concorrenti dell’India nell’attrarre i flussi di delocalizzazione, come Vietnam e Indonesia, possiedono anch’essi un basso costo del lavoro, ma non si avvicinano minimamente alle dimensioni demografiche dell’India, mentre la Cina, nonostante l’immensitĂ  della sua popolazione (seppur in rapido invecchiamento), possiede un costo del lavoro oramai quasi quattro volte superiore rispetto a quello indiano.

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Fig. 2 – Allestimento di un evento espositivo sul Make in India a Mumbai, febbraio 2016

L’India di oggi, dunque, si trova in una posizione interessante, che per alcuni versi può ricordare quella della Cina al tempo delle Quattro Modernizzazioni di Deng Xiaoping, ovvero alla genesi di un colossale decollo industriale. A distanza di due anni dal lancio del Make in India gli effetti si possono già sentire: numerose aziende del calibro di Tesla, Apple, Huawei, Samsung, Lenovo hanno già iniziato a preparare e attuare piani di investimento di miliardi di dollari per delocalizzare in India i propri centri di produzione. Il flusso di investimenti è stato tale che nel 2015 l’India, secondo il Financial Times, è emersa al primo posto nella classifica dei Paesi per FDI (investimenti esteri), sorpassando la Cina,  indiscussamente egemone fino all’anno precedente.

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Fig. 3 – Il Premier indiano Narendra Modi e la Cancelliera tedesca Angela Merkel presentano l’iniziativa Make in India alla Fiera di Hannover, aprile 2015

CRITICITĂ€ ECONOMICHE E IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE – L’India del Governo Modi, che chiaramente ambisce a sostituire la Cina nel ruolo di “officina del mondo”, non deve sottovalutare le innumerevoli problematiche che affliggono la sua societĂ  e il suo sistema economico: secondo il Global Competitiveness Report del 2016 alcuni ostacoli fondamentali sono corruzione, inefficienza della burocrazia e regolamentazioni ancora eccessive, che inibiscono l’efficacia del Paese nell’attrarre investimenti esteri (l’India si trova infatti al 130Âş posto nella classifica dell’Ease of Doing Business del 2016). Esistono inoltre numerosi problemi infrastrutturali, come il pessimo stato delle ferrovie e delle altre vie di comunicazione (con il rischio che intere aree del subcontinente rimangano tagliate fuori dai programmi del Make in India), e problemi di natura occupazionale, come quello che affligge la manodopera industriale, che in India è  troppo ridotta: ciò è dovuto al fatto che il settore primario continua ad attrarre a se quasi il 50% della forza lavoro. Per portare a pieno regime il Make in India sarĂ  necessaria una riforma parallela, di stampo agrario, che riesca a modernizzare con successo l’economia agricola indiana, verso tecniche dalla maggiore produttivitĂ  pro capite, e che allo stesso tempo richiedano meno manodopera, in modo da favorire un afflusso di forza lavoro dalle campagne verso le cittĂ . Ciò comporta un altro problema, quello dell’urbanizzazione: la sovrappopolazione e l’espansione urbana incontrollata sono qualitĂ  che affliggono la maggioranza delle megalopoli indiane, proprio per questo l’iniziativa del Make in India propone un piano molto ambizioso, lo Smart Cities Mission, con l’obiettivo di costruire 100 smart cities (come Amravati, futura capitale dell’Andhra Pradesh, in realizzazione con la collaborazione di Singapore) altamente moderne e sostenibili.

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Fig. 4 – Baracche e palazzi fatiscenti circondano un moderno grattacielo nel centro di Mumbai

Concentrandoci invece sulle implicazioni geopolitiche del Make in India, si può sostenere che esse saranno assai vaste: se l’iniziativa si rivelerà un successo, l’India corroborerà la propria ascesa a livello mondiale, emergendo come una grande potenza industriale, e affermandosi come meta privilegiata delle delocalizzazioni estere. L’emersione di una nuova grande potenza in Asia non comporterà solo uno spostamento dell’asse degli equilibri economici e geopolitici mondiali, ma avrà anche ripercussioni sulle organizzazioni internazionali, dove l’India guadagnerà de facto più voce in capitolo, magari a tal punto da comportare una riforma del Consiglio di Sicurezza ONU e ottenere quel seggio permanente che da tanto tempo ambisce.

Simone Munzittu

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Per avere maggiori informazioni sui vari aspetti del Make in India, si consiglia di visitare il sito ufficiale dell’iniziativa, realizzato e gestito dal Governo indiano. Al suo interno sono anche riportati dati interessanti sullo stato di sviluppo di diversi settori manifatturieri del Paese, incluso quello automobilistico.[/box]

Foto di copertina di zoxcleb pubblicata con licenza Attribution-ShareAlike License

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Simone Munzittu
Simone Munzittu

Sono nato in Sardegna nel 1996, a Cagliari. Presso l’ateneo di questa cittĂ  ho conseguito con lode una laurea in Scienze Politiche, con una tesi sull’ascesa della partisanship nel Congresso degli Stati Uniti. Le mie piĂą grandi passioni sono di natura economico-politica, e proprio di questo mi occupo all’interno del Caffè Geopolitico, nell’area dell’Asia-Pacifico. La Cina è il Paese che mi appassiona e che caratterizza i miei studi: attualmente vivo a Pechino, nell’ambito di un programma di laurea specialistica double degree tra l’UniversitĂ  di Torino e la Beijing Foreign Studies University. Inoltre, amo la storia, la musica, i giochi di strategia, la Formula 1 (da ferrarista convinto)… e anche il caffè.

 

 

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