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Elezioni in Montenegro: la conferma di Djukanovic

Tra le polemiche delle opposizioni, e il giallo di un presunto attacco paramilitare sventato alla vigilia, le elezioni montenegrine confermano ancora una volta il primato di Milo Djukanovic

UN UOMO SOLO AL COMANDO – Era il dicembre del 1990 quando in Montenegro, in controtendenza con le altre Repubbliche della Jugoslavia, la Lega dei Comunisti locale vinceva le elezioni, e, nel febbraio del 1991, l’allora ventinovenne Milo Djukanovic veniva nominato Primo Ministro. Nello stesso anno, la formazione comunista che aveva ottenuto il 56% dei suffragi terminava la sua esistenza, lasciando che dalle sue ceneri nascesse il Partito Democratico dei Socialisti del Montenegro (DPS). Da allora, l’uomo solo al comando è rimasto lui: Premier dal 1991 al 1998, Presidente della Repubblica dal 1998 al 2002, e poi di nuovo altre tre volte Primo Ministro. Dal 2002 al 2006, dal 2008 al 2010 ed infine dal 2012 fino alla chiamata alle urne dello scorso 16 ottobre. Eppure, mai come questa volta, le elezioni nello Stato adriatico si sono svolte in un clima di relativa, ma significativa incertezza circa la conferma di Djukanovic.

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Fig. 1 – I sostenitori del Primo Ministro Milo Djukanovic attendono i risultati elettorali presso la sede del suo Partito, DPS, ottobre 2016

DAL GOVERNO PROVVISORIO ALLE ELEZIONI – Il 2016 si è aperto, infatti, con lo storico strappo del Partito Socialdemocratico (SPD), alleato dei Democratici Socialisti da quasi vent’anni. La crisi istituzionale è stata scongiurata solo grazie ad un accordo tra Governo ed opposizioni, sulla falsariga del precedente costituito dalla Macedonia nel 2015: come a Skopje, anche a Podgorica si è addivenuti alla formazione di un esecutivo di larghe intese, con l’assegnazione ad interim di quattro dicasteri ad alcuni dei partiti di minoranza. In cambio del mantenimento del ruolo di Primo Ministro, Djukanovic ha altresì concesso l’ingresso nella pubblica amministrazione ad oltre 150 funzionari scelti dalle opposizioni, con poteri ispettivi e di doppia firma sui documenti ufficiali, con lo scopo di monitorare l’utilizzo delle risorse pubbliche in vista delle elezioni.

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Fig. 2 – Il leader di Alleanza Democratica Miodrag Lekic al voto, ottobre 2016

Tali premesse hanno portato ad un mutamento di equilibri di notevole rilevanza, con la decisione inedita del DPS di correre in solitaria, evitando apparentamenti persino con liste minori rappresentanti delle minoranze etniche. Una scelta controbilanciata dalla capacità di una parte dell’opposizione di riuscire a coordinarsi in un fronte comune anti-Djukanovic, guidato dall’Alleanza Democratica di Miodrag Lekic, e a cui è stato dato l’enfatico nome di Ključ (“La Chiave”), con l’altrettanto eloquente sottotitolo “la grande coalizione”.
Novità che hanno favorito una partecipazione popolare piuttosto nutrita: più del 73,2% degli aventi diritto si è recato alle urne, un incremento di circa il 3% rispetto alla consultazione precedente.

DELUSIONE TRA LE OPPOSIZIONI – Meno sorprendenti, invece, gli esiti delle urne. Nonostante le premesse, il DPS e Djukanovic escono solo lievissimamente ridimensionati dal responso popolare, ottenendo 35 seggi (frutto dell’oltre 41% dei voti) contro i 39 guadagnati in coalizione con i socialdemocratici nel 2012 e, sebbene si profili la necessità di concludere qualche patto post-elettorale, dato che la maggioranza assoluta ammonta a 41 mandati, tale prospettiva non sembra destare troppe preoccupazioni tra i vertici. Alquanto poco probabile, al momento, un colpo di coda che possa unire tutte le altre forze del Montenegro e dare vita al clamoroso ribaltamento degli equilibri. I dati CEDEM (Centro per la Democrazia e Diritti Umani, principale think tank non governativo con sede a Podgorica) relativi all’ultimo sondaggio disponibile, effettuato in estate, segnalavano un testa a testa tra il DPS e la somma dei voti dei principali oppositori, ovvero la summenzionata Chiave ed il Fronte Democratico, quest’ultimo, a sua volta, costituito da una pluralità di forze piuttosto variegate. La realtà del 16 ottobre ha invece restituito un totale di 27 seggi totali alle due coalizioni: particolarmente deludente, nel complesso, il 10,7% ottenuto da Lekic e soci.

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Fig. 3 – Il Primo Ministro Milo Djukanovic festeggia i risultati elettorali, ottobre 2016

IL MISTERO DEL GOLPE SVENTATO – La maggiore preoccupazione per Djukanovic ed i suoi, al momento, sembrerebbe provenire dalle conseguenze di avvenimenti decisamente extra-istituzionali: la vigilia delle elezioni si è infatti caratterizzata per degli episodi piuttosto foschi, con la comunicazione da parte della Procura montenegrina di aver sventato il piano di un’organizzazione criminale avente quale scopo l’occupazione del Parlamento di Podgorica e la destituzione del Primo Ministro. Nella giornata di sabato sono stati arrestati una ventina di cittadini serbi, accusati di essere stati in procinto di oltrepassare la frontiera armati e pertanto giudicati pericolosi per l’ordine pubblico: quattordici sono stati trattenuti oltre le 48 ore e, tra questi, spicca il nome dell’ex comandante della gendarmeria serba, Bratislav Dikic. Il Premier serbo Aleksandar Vucic ha commentato con un certo scetticismo la vicenda, sostenendo di non avere informazioni circa i piani di Dikic e di aspettare di poter vedere delle prove del suo coinvolgimento in un’azione paramilitare prima di formulare ulteriori giudizi.

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Fig. 4 – Il Primo Ministro serbo Aleksandar Vucic saluta Djukanovic durante il meeting dei Capi di Governo dei Balcani occidentali a Bruxelles, aprile 2015

Le forze di opposizione, invece, hanno accusato gli ambienti vicini al Primo Ministro di avere architettato l’intera vicenda, con lo scopo di influenzare la tornata elettorale e, nonostante le valutazioni degli osservatori preposti al monitoraggio delle operazioni di voto, hanno dichiarato di voler dare battaglia sul riconoscimento dei risultati: i dirigenti del Fronte Democratico e della Chiave, assieme ad SPD e ai centristi di Montenegro Democratico, richiedono a gran voce la costituzione di una commissione d’inchiesta internazionale che valuti i fatti del weekend del 15 e 16 ottobre.

RIFLESSI INTERNAZIONALI: IL MONTENEGRO E LA NATO – Se durante la prima fase della sua storia come Stato sovrano, quella a cavallo tra il XIX e il XX Secolo, il Montenegro era considerato dalle cancellerie occidentali alla stregua di un’avamposto russo nei Balcani, i riferimenti geopolitici di Djukanovic e della nuova indipendenza montenegrina sono di matrice diametralmente opposta: una politica monetaria legata a doppio filo alla Germania, che ha indotto il Paese a preparare il distacco da Belgrado già ai tempi della Jugoslavia Federale, e, soprattutto, la propensione verso l’atlantismo, obiettivo portato avanti senza ripensamenti a partire dal secondo mandato come Primo Ministro nel 2008.
Nonostante il territorio montenegrino abbia conosciuto i bombardamenti della NATO nel 1999 e, ancora più rilevante, nonostante ad oggi circa un terzo della popolazione residente si proclami di etnia serba, Djukanovic ha fatto dell’ingresso nell’Alleanza Atlantica – più ancora che nell’Unione Europea – l’obiettivo principale della politica del DPS. Ed è alla luce di tale tratto distintivo, che la decisione del Premier di presentare il proprio partito in solitaria alle elezioni va interpretata: non soltanto una dimostrazione di forza nei confronti delle altre compagini nazionali, ma anche come un chiaro messaggio diretto a Mosca.

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Fig. 5 – Djukanovic ed il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg durante una conferenza stampa a Bruxelles, maggio 2016

Al contrario della Serbia di Vucic, e a discapito del fatto che alcuni settori dell’economia del Paese – turismo ed edilizia in primis – dipendano per una vasta percentuale dagli interessi russi, Djukanovic non ha esitato nell’unirsi ai Paesi della NATO nelle sanzioni dirette contro Mosca nel 2014. Tale allineamento, particolarmente apprezzato da Washington e Berlino, ha spianato la strada per l’invito formale ad entrare nell’Alleanza Atlantica, arrivato direttamente dal Segretario generale Jens Stoltenberg nel dicembre del 2015 e vissuto dalla Russia come una provocazione di cui “il Montenegro si sarebbe pentito”, secondo le parole espresse dal Vice-Premier russo Dimitry Rogozin. Per tutta risposta, nonostante la crisi istituzionale in atto, nel febbraio di quest’anno, il Governo di Podgorica ha platealmente negato a Rogozin l’ingresso nel Paese ritenendo Mosca responsabile di sostenere finanziariamente le opposizioni al fine di condizionare le relazioni internazionali del Montenegro.
Sebbene non vi sia ancora alcuna ufficialità e sebbene le diverse anime dell’opposizione si dichiarino compatte quantomeno nel voler disconoscere gli esiti elettorali, il risultato del 16 ottobre sembrerebbe, così, abbattere gli ultimi ostacoli sul cammino verso occidente di Milo Djukanovic, ormai vicino all’agognata adesione del Montenegro all’Alleanza Atlantica, prevista per il 2017, e alla vittoria nel braccio di ferro del piccolo Stato balcanico contro la potenza russa.
                                                                                                                                                                                                        

Riccardo Monaco

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

La somma aritmetica dei seggi conquistati dalle quattro diverse voci dell’opposizione ammonterebbe a 39, dato apparentemente più che ragguardevole. Occorre, tuttavia, considerare come all’interno delle medesime convivano anime politiche tutt’altro che conciliabili.
SPD, ex partito filo-governativo e socialdemocratico, vanta 4 seggi ottenuti, mentre 8 sarebbero quelli di Montenegro Democratico, formazione centrista e nata lo scorso anno per scissione dal Partito Popolare Socialista. Il quale, però, a sua volta, fa parte della Chiave, insieme ai liberal-conservatori di Alleanza Democratica e i social-riformisti dell’URA: tale coalizione ha conquistato 9 seggi totali.

I restanti 18 apparterrebbero al Fronte Democratico che, al suo interno, include una vastità di formazioni che vanno da Nuova Democrazia Serba, forza conservatrice, unionista e filo-russa, al Partito dei Lavoratori, orientato al socialismo europeo, passando per i liberali del Movimento per i Cambiamenti. Senza contare le organizzazioni minori che non hanno conquistato l’accesso al Parlamento e che vanno dal nostalgico Partito Comunista Jugoslavo ai nazionalisti anti-europei del Partito Radicale Serbo.[/box]

Foto di copertina di tm-tm Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License

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Riccardo Monaco
Riccardo Monaco

Nato e cresciuto a Roma, ho conseguito la laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso La Sapienza. Dopo un periodo trascorso a Belgrado, ho iniziato un dottorato in Storia dell’Europa, con un progetto di ricerca dedicato alla politica estera della Jugoslavia dagli anni ’70 alla morte di Tito. Inoltre, ho conseguito un diploma in Sviluppo e Cooperazione Internazionale presso la Summer School dell’ISPI e un Master di specializzazione dedicato alla progettazione europea e all’internazionalizzazione d’impresa presso la SIOI.

A distanza di diversi anni dagli studi, rimango ancora convinto del ruolo centrale delle scienze politiche per la comprensione delle dinamiche attuali, ragion per cui sono tutt’ora un appassionato di geografia politica e di storia delle relazioni internazionali, con particolare riguardo per il periodo della guerra fredda e per un’area nevralgica quale quella dei Balcani occidentali.

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