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Yemen: guerra e terrorismo in uno Stato fallito

Da diversi anni lo Yemen vive una grave situazione di instabilitĂ : con la caduta di Saleh nel 2011, le tensioni politiche hanno continuato a peggiorare, fino ad arrivare all’attuale divisione violenta del Paese in due parti, una controllata dagli Houthi e l’altra dall’ex Vice-Presidente Hadi. Al momento non si vede una soluzione a questo conflitto, che sta avvantaggiando soprattutto formazioni terroristiche come AQAP e ISIS

IL CONFLITTO – Lo Yemen è a tutti gli effetti uno “Stato fallito”: diviso, da una parte, tra i ribelli sciiti Houthi, appoggiati dall’Iran e da Hezbollah, e le milizie fedeli all’ex Presidente Saleh, dall’altra dal Governo di Hadi, supportato da Arabia Saudita e Qatar, e riconosciuto dall’ONU. La situazione in Yemen è definitivamente precipitata quando il 21 settembre 2014 gli Houthi sono riusciti a conquistare la capitale Sana’a e costretto il Presidente Hadi alla fuga ad Aden, proclamata provvisoriamente nuova capitale yemenita. Con l’Operazione Desert Storm, una coalizione di Paesi arabi ed africani, guidata dall’Arabia Saudita, ha imposto nel marzo 2015 un blocco navale e lanciato numerosi raid aerei sul Paese, con effetti drammatici per la popolazione civile. Stephen O’Brien, Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite per le emergenze umanitarie, ha infatti dichiarato che “la situazione umanitaria [nel Paese] è devastante”. La riunificazione dello Yemen appare decisamente difficile, se non impossibile, e il conflitto sembra destinato a durare ancora a lungo. Non a caso Ahmad Asiri, portavoce della coalizione guidata dai sauditi, lo ha definito “una guerra statica”. Nonostante gli iniziali successi militari, la coalizione guidata dai Saud sembra infatti essere in una posizione di stallo: la scarsa legittimazione popolare di cui gode il Presidente Hadi e la fiera resistenza degli Houthi e delle truppe di Saleh stanno mettendo sempre piĂą in difficoltĂ  i membri della coalizione. A queste difficoltĂ , per esempio, bisogna ricondurre l’abbandono della coalizione da parte degli Emirati Arabi Uniti nel giugno 2016. Anche l’Egitto ha annunciato di recente il suo ritiro dalla coalizione saudita, ma, in questo caso, la scelta di Al Sisi può essere considerata piĂą motivata dal riavvicinamento diplomatico con l’Iran. Per cercare di uscire dall’impasse politico-militare, gli Emirati Arabi Uniti hanno proposto la definitiva divisione dello Yemen nelle due entitĂ  politiche attualmente presenti, anche se questo piano si è subito scontrato con l’immobilismo diplomatico dell’Arabia Saudita, che, temendo che uno Stato sotto influenza iraniana possa in qualche modo fomentare gli sciiti presenti nel proprio territorio, sta bloccando qualsiasi soluzione pacifica al conflitto, forte della legittimazione internazionale di cui gode il Presidente Hadi. Peculiare è poi la posizione dell’ex Presidente Saleh, che fu costretto dai manifestanti della “Primavera araba” a rassegnare le dimissioni nel 2012, dopo 33 anni al potere. Durante la sua presidenza, ha guidato numerose campagne militari contro gli Houthi, con i quali, dal 2015, si è però alleato in funzione anti-Hadi e anti-saudita. Saleh conserva un forte ascendente su una discreta parte della popolazione, ma, soprattutto, ha l’importante appoggio di alcuni reparti dell’Esercito yemenita. I Governi dei Paesi del Golfo, tranne l’Oman, accusano da anni l’Iran ed Hezbollah di supportare militarmente i ribelli Houthi, anche se queste accuse, spesso riprese anche dai media occidentali, sembrano essere ingigantite rispetto alla realtĂ . Sicuramente, in Yemen, l’Iran è schierato favore degli Houthi, come confermato da numerose dichiarazioni diplomatiche dello stesso Governo di Teheran, ma è difficile quantificare l’entitĂ  del supporto militare iraniano. Probabilmente, è di gran lunga inferiore rispetto a quello paventato dai sauditi e dai loro alleati: Ali Vaez, analista dell’International Crisis Group, ha dichiarato che “il ruolo dell’Iran in Yemen rimane limitato e a basso costo”, inviduando il motivo dello scarso supporto iraniano agli Houthi nel difficile accesso al territorio yemenita. Queste difficoltĂ  si sono effettivamente manifestate il 30 settembre scorso, per esempio, quando una nave iraniana diretta in Yemen è stata sequestrata dalla coalizione saudita. Per quanto riguarda il supporto di Hezbollah, risulta difficile immaginare che questo gruppo abbia le capacitĂ  militari per condiziare il conflitto yemenita in maniera determiante, dato l’ampio supporto fornito ai russi e al Governo di Assad in Siria. In ogni caso, lo Yemen può essere certamente considerato un altro teatro della guerra per procura fra Arabia Saudita e Iran in Medio Oriente.

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Fig. 1 – Raduno di miliziani sciiti Houthi nell’area di Bani al-Harith, agosto 2014

GRUPPI TERRORISTICI IN YEMEN – Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) è una formazione terroristica nata in maniera ufficiale nel 2009 dalla fusione di Al Qaeda in Yemen e Al Qaeda in Arabia Saudita. AQAP è un attore geopolitico importantissimo in Yemen, in quanto controlla ampie porzioni di territorio nella parte orientale del Paese. Nonostante la presenza di Al Qaeda in Yemen risalga a parecchi anni fa, l’instabilitĂ  yemenita successiva al 2011 è stato un fattore fondamentale per l’ascesa del gruppo. Per l’Arabia Saudita, il nemico principale in Yemen sono i ribelli sciiti Houthi, e ciò getta non poche ombre sui suoi rapporti con AQAP, che ha dichiarato guerra agli Houthi ad inizio 2010. Nel 2015 un portavoce degli Houthi ha dichiarato, per esempio, che “il Presidente Hadi ha supportato Al-Qaeda in Marib (un govenatorato a est di Sana’a) con denaro e armi per creare una nuova crisi di sicurezza” in funzione anti-sciita. Ancor piĂą oscuro è il rapporto che lega AQAP con ISIS, che, nell’ottobre 2015, ha condotto una serie di attentati ad Aden, uccidendo 15 soldati affiliati al Governo Hadi. L’intenzione di Al Baghdadi era probabilmente quella di annettere allo Stato Islamico della Siria e del Levante anche lo Yemen, ma il leader qaedista Al Nadhari stroncò sul nascere l’obiettivo del Califfo dichiarandolo illeggittimo e riconfermando la propria fedeltĂ  all’organizzazione di Ayman Al Zawahiri. Quindi attualmente in Yemen si ripropone lo stesso scontro fra jihadisti che si presenta in Siria fra Al Nusra e ISIS. Infatti ISIS aspira a un califfato universale sottoposto all’autoritĂ  di Al Baghdadi, mentre Al Qaeda, relegando il giuramento al Califfo a livello formale, garantisce ai vari gruppi locali una maggiore autonomia. Queste diverse visioni comportano un’inconciliabilitĂ  fra i due gruppi, che, di conseguenza, si scambiano accuse di infedeltĂ  e di spargere “sangue sacro” (sunnita).

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Fig. 2 – Miliziani Houthi e personale medico prestano soccorso ai superstiti di un raid aereo saudita su Sana’a, ottobre 2016

IL RUOLO DEGLI USA – Il 13 ottobre, in risposta al lancio di missili contro il cacciatorpediniere USS Mason, il Pentagono ha distrutto tre siti radar controllati dagli Houthi. Nonostante questi abbiano negato ogni coinvolgimento, la propaganda anti-occidentale e, in particolare, anti-americana è una caratteristica celebre del loro movimento; infatti nel loro manifesto politico-religioso il primo verso recita: “Dio è sommo, morte all’America”. La distruzione dei siti radar è stata definita da Barack Obama un’azione “limitata e proporzionata” eseguita per fini puramente di autodifesa. D’altro canto rappresenta anche la prima azione militare degli Stati Uniti in Yemen contro gli Houthi e non contro Al Qaeda nella Penisola Araba. Il lancio di missili può rappresentare l’inizio di un coivolgimento diretto degli Usa in Yemen con l’obiettivo di limitare i raid della coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita. Infatti, a seguito del brutale raid aereo su Sana’a dell’8 ottobre scorso in cui sono morte oltre 140 persone, per lo piĂą civili, il portavoce della Casa Bianca Ned Prince ha dichiarato che la “cooperazione per la sicurezza degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita non è un assegno in bianco” e che le aurtoritĂ  americane sono pronte a regolare il proprio “sostegno” ai sauditi in modo da allinearlo meglio “con i principi, i valori e gli interessi statunitensi”. Gli Stati Uniti sono, insieme alla Gran Bretagna e ad altri Paesi dell’Europa occidentale come l’Italia, la nazione che ha fornito il maggiore supporto alla campagna militare saudita in Yemen tramite la vendita di armi e la fornitura di traninig militare; da questo punto di vista, l’annuncio dell’apertura di un’inchiesta saudita sull’attacco aereo dell’8 ottobre potrebbe compromettere giuridicamente la posizione americana in Yemen.

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Fig. 3 – Barack Obama insieme al Presidente yemenita Abdrabbuh Mansur Hadi, agosto 2013

Francesco Pennetta

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

La soluzione diplomatica proposta dagli Emirati Arabi Uniti riprende senza volerlo il celebre articolo di Robin Wright, uscito nel 2013 sul New York Times, nel quale viene ipotizzata un’inedita ripartizione dei territori mediorientali. In questo articolo, Wright suppone, oltre alla divisione dello Yemen fra sciiti Houthi e sunniti, anche l’annessione del Sud dello Yemen all’Arabia Saudita, che garantirebbe l’accesso saudita al Mare Arabico, diminuendo conseguenzialmente l’importanza strategica del Golfo Arabo.[/box]

Foto di copertina di Julien Harneis Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License

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Francesco Pennetta
Francesco Pennetta

Nato a Salerno nel 1997. Studente di Scienze politiche, sociali e internazionali all’Alma Mater di Bologna. Appassionato di storia e geopolitica, specialmente riguardo il Medio Oriente e il Caucaso. Esperto scroccone di sigarette e cene a casa di amici, perchè ama la buona compagnia ma non sa cucinare.

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