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Francia-Russia: sfida di interessi in Africa

Le recenti esternazioni del Presidente francese François Hollande contro i bombardamenti russo-governtativi su Aleppo est sono l’ultima prova delle fredde relazioni che ormai intercorrono tra l’Eliseo e il Cremlino. A Parigi, inoltre, cresce l’ansia per il ruolo sempre più da protagonista a cui la Russia aspira sia in Africa che in Medio Oriente 

ALEPPO E LE ACCUSE DI HOLLANDE – L’11 ottobre il Presidente russo Vladimir Putin ha annullato il suo viaggio a Parigi dopo che il suo omologo francese, François Hollande, aveva manifestato dei dubbi di natura morale sul loro incontro se non si fosse proseguito il dialogo su Aleppo e sulla crisi siriana. Le esternazioni del numero uno dell’Eliseo arrivano dopo una serie di moniti e di accuse rivolte dall’UE, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti che hanno definito inumana e criminale la campagna aerea che la Russia e i governativi siriani stanno scatenando su Aleppo est. In particolare, Hollande si è mostrato molto risentito per il recente veto russo sull’ultima risoluzione ONUMade in France – che mirava ad un cessate il fuoco che avrebbe consentito l’evacuazione dei civili e l’afflusso di aiuti umanitari nella città.

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Fig. 1 – Incontro a Mosca tra Putin e Hollande nel novembre 2015, pochi giorni dopo gli attentati di Parigi

Il j’accuse di Parigi però non va solo inquadrato nell’ottica delle nuove nubi da “guerra fredda” che minacciano l’Europa e il resto del mondo, ma è solo l’ultimo di una lunga serie di attriti che ha visto coinvolti direttamente il Cremlino e l’Eliseo: gli accordi di Minsk, l’affaire delle navi da guerra classe Mistral, la guerra in Libia e il regime di sanzioni imposte alla Russia dall’UE. Sono sopratutto questi gli scenari in cui, negli ultimi anni, si è venuto a creare il gelo tra i due Paesi. Inoltre la nuova campagna russa che mira a restituire al Paese la sua dimensione di global player, e che l’ha portata quindi alla ricerca di nuovi partner in giro per il mondo, ha donato a Mosca un nuovo attivismo in Africa. Questo dalle parti di Parigi non deve essere stato visto di buon occhio. Non solo perché, come affermava Fraçois Mitterand,  “è grazie all’Africa che la Francia ha un posto nella storia del ventunesimo secolo”, ma anche perché negli ultimi anni abbiamo potuto assistere ad una vera e propria rinascita della Françafrique

LA NUOVA FRANÇAFRIQUE – Negli ultimi dieci anni abbiamo potuto assistere ad un rinnovato attivismo militare francese in Africa dove al momento si trovano stanziati circa 10000 soldati dell’Esercito, corrispondenti a circa tre quarti del personale militare transalpino impiegato all’estero. Al momento l’operazione Barkhane è quella che vede più personale francese coinvolto in tutto il continente. Essa prevede il dislocamento di circa 3000 soldati tra Mali, Mauritania, Niger, Burkina Faso e Ciad, i Paesi che formano il cosiddetto  G5-Sahel. Ideata come seguito dell’operazione Serval, che aveva come obiettivo riportare l’ordine nel Mali infiammato dalla guerra, Barkhane ha come obbiettivo l’eliminazione – o quantomeno un efficace contenimento – del jihadismo che ormai è stabilmente presente nell’ Africa subsahariana e che mette a repentaglio l’integralità territoriale degli Stati che la compongono. Questo dispiegamento di forze rende la Francia il Paese europeo più impegnato nella lotta frontale al terrorismo di matrice islamica nel continente africano.

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Fig. 2 – Soldati francesi e maliani pattugliano le strade di Timbuctù durante l’operazione Barkhane, giugno 2015 

Ma questo massiccio dislocamento di uomini e mezzi è dovuto anche al fatto che la Francia è la nazione che ha più interessi, politici ed economici nel continente. Lotta frontale al terrorismo – AQIM, Boko Haram, Al Mourabiton ecc – si, ma anche strenua difesa della prima fonte di approvvigionamento francese di materie prime. Basti pensare, per esempio, che la quasi totalità dell’uranio che la Francia importa per alimentare le sue centrali nucleari – che provvedono a circa il 75% del suo fabbisogno energetico – provengono dal Niger. Inoltre poco più del 30% di petrolio greggio che la Francia importa proviene dall’Africa. Infine deve far riflettere il fatto che le importazioni di petrolio francesi dalla Libia, a seguito della rivoluzione che ha portato alla caduta di Mu’ammar Gheddafi, sono più che raddoppiate. Questo giustificherebbe, almeno in parte, la disinvoltura con la quale la Francia decise di appoggiare la ribellione che destituì il Raìs.

LA RUSSIA E IL GREAT GAME AFRICANO  Negli ultimi anni abbiamo potuto assistere ad un ritorno della Russia nelle vicende, sia economiche che militari, che riguardano il continente africano. I vertici del Cremlino si sono ricordati dell’importante “eredità” che l’ex Unione Sovietica aveva lasciato in Africa e il regime di sanzioni imposto ultimamente alla Russia ha accelerato la ripresa dei lavori. Mosca ha rinunciato a quasi il 90% del credito di cui godeva nei confronti dei Paesi africani, resettando così la maggior parte delle relazioni bilaterali che intratteneva con essi. Sono lontani ormai i tempi in cui il Cremlino forniva mezzi finanziari e militari a fondo perduto in ottica della guerra anti-imperialistica contro gli USA. Il nuovo corso economico russo nel continente si basa principalmente su tre linee guida. Il controllo sulle fonti energetiche, al fine di evitare che la sola Africa diventi il maggior distributore di energia per l’Europa. Mantenere il primato nel settore minerario e metallurgico, dove la Russia soffre per la mancanza di alcuni minerali di critica importanza per la propria industria come manganese, cromo, mercurio e titanio. La vendita e la valorizzazione delle sue tecnologie militari.  

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Fig. 3 – Stretta di mano tra Al Sisi e Putin durante la visita del Presidente russo al Cairo nel febbraio 2014 

Da un punto di vista prettamente geostrategico, è invece da notare come la Russia si stia impegnando nel tentativo di costruire una sorta di rete di alleanze che colleghi la Crimea con l’Africa al fine di dare continuità agli sbocchi sul mare di cui può godere la Federazione. È sotto questa luce che vanno inquadrati i recenti sforzi diplomatici, economici e militari lanciati da Mosca verso Egitto, Etiopia e Somalia. In particolare con i primi due, poiché Putin condivide con Al Sisi il progetto di portare stabilità nel Medio Oriente e nel Nord Africa, e perché Mosca sembra aver puntato su Addis Abeba come maggiore e più affidabile referente per la stabilizzazione del Corno d’Africa. Da sottolineare l’importanza dell’esercitazione militare – finita nei giorni scorsi – che Egitto e Russia hanno effettuato nella regione di El Alamein. Truppe russe sono presenti in questa regione e nel Sinai al fine di simulare la reazione delle truppe egiziane in caso di un attacco terroristico proveniente della Libia. Inoltre, ironia della sorte, le navi da guerra classe Mistral, appena comprate dal Cairo e che erano state costruite per essere vendute a Mosca, sono state equipaggiate da elicotteri di fabbricazione russa Kamov Ka-52k. A testimoniare che l’alleanza tra il Faraone e lo Zar cresce sempre di più.

LO STRANO CASO DELLA LIBIA  Il caso libico merita una menzione a parte alla luce delle alterne vicende che indirettamente hanno coinvolto Russia e Francia. All’inizio della rivolta anti-Gheddafi Mosca e Parigi sedevano una di fronte all’altra. Parigi, allineata con Londra e Washington, appoggiava la rivolta araba prestando la sua aeronautica nei bombardamenti che fornirono copertura all’insurrezione. Mosca invece, come avrebbe voluto anche l’ex Premier italiano Berlusconi, denunciava a più riprese le violazioni che avevano portato alla destituzione di Gheddafi. Con la guerra civile che si è protratta nel Paese, però, il Cremlino e l’Eliseo ora si trovando seduti dalla stessa parte del tavolo e sponsorizzano, chi più chi meno alla luce del sole, il generale Khalifa Haftar e il Governo di Tobruk. In particolare la Russia, tramite sofisticate triangolazioni commerciali – e con la collaborazione dell’Egitto – riesce a rifornire di armi l’esercito di Haftar che prosegue la sua guerra sia contro gli islamisti e le truppe di Misurata sia contro il Governo di unità nazionale di Fayz al Farraj, riconosciuto dall’ONU. La Francia invece si è limitata al supporto logistico e alla fornitura delle sue competenze militari nella regione, poiché formalmente appoggia il Governo di unità nazionale di al Farraj. Nonostante ciò sembra che nell’estate appena trascorsa, nella campagna condotta dal generale Haftar per riprendere il pieno controllo della regione di Bengasi, siano state impiegate unità delle Forze speciali francesi stazionate nella base di Benina. Il loro compito sembra sia stato quello di coordinare le operazioni sul campo in stretta collaborazione con il colonnello Salim al Abdali fedele al Governo di Tobruk.

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Fig. 4 – Il generale Khalifa Haftar, referente sia di Mosca che di Parigi nella Libia post-Gheddafi 

Non c’è da meravigliarsi però di questa curiosa sincronia tra Francia e Russia. Tra i vari sponsor di cui Haftar può godere troviamo anche Paesi come Arabia Saudita e Emirati Arabi. Un vero controsenso, apparentemente, se si pensa che la fazione opposta al generale sia quella in cui affluiscono attori che teoricamente troverebbero più affinità con i Saud e con i regnanti emiratini. Evidentemente i Paesi che appoggiano il Governo di Tobruk devono pensare che questo sia l’unico in grado di portare la pace e la stabilità nel Paese. Ma c’è anche l’eventualità che questi Paesi si siano premuniti di un alleato nel caso in cui in Libia si attui un processo di balcanizzazione che veda la nascita di entità statali autonome (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). In questo caso Russia e Francia avrebbero salvaguardato la regione della Libia dove si trovano i loro principali interessi finanziari e economici, ovvero la Cirenaica sotto controllo del generale Haftar. 

Valerio Mazzoni

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più 

Sempre perseguendo il “mantra” dello sbocco sul mare, autentico cruccio secolare della Russia, è da ricordare che l’anno scorso la Federazione Russa ha concluso un accordo con la Guinea Equatoriale che permetterà alla flotta russa di sfruttare il porto di Malabo. Inoltre sembra che questo accordo sia un preludio per la costruzione di una base navale russa permanente utilizzabile anche come base area per i bombardieri intercontinentali. [/box]

Foto di copertina di quapan Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Valerio Mazzoni
Valerio Mazzoni

Nato, cresciuto e residente a Roma classe 1989, laureando in Scienze politiche per le Relazioni Internazionali presso l’Università Roma Tre. Formato accademicamente da nottate passate a giocare ad Age of Empire e Risiko, nutre da sempre una smodata passione per la storia e per le relazioni internazionali, con particolare interesse per il fondamentalismo islamico, i servizi segreti e la loro controversa storia. Per il Caffè Geopolitico si occupa della Russia e delle ex Repubbliche Sovietiche. I viaggi e la Lazio sono le sue passioni più grandi, anche se non disdegna rapide incursioni nel mondo NBA.

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