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Da canfei a canjiren: essere disabili in Cina

Nella frenetica società cinese, in cui ogni giorno sono eretti grattacieli e si laureano sempre più manager, i  disabili trovano poco spazio. La disabilità è ancora relegata ai margini della società, nelle città così come nelle campagne, e tenta affannosamente di rincorrere quella realtà del boom economico e socio-culturale che la Cina sta vivendo nell’ultimo ventennio

UNA QUESTIONE CULTURALE – Come ogni verità un po’ scomoda che la Cina non vuol far conoscere all’esterno, analizzare la situazione dei disabili cinesi non è semplice a causa dell’esigua quantità di dati disponibili. Secondo le ultime stime ufficiali, in Cina i disabili sono circa ottantacinque milioni, di cui il 65% è in età lavorativa ma non lavora e il 90% è addirittura analfabeta. Inoltre il 61% di tali disabili sono donne mentre il restante 29% sono uomini. Come è facile intuire, il disabile vive in condizioni di assoluta precarietà e discriminazione, con opportunità di inclusione e di accettazione della sua condizione pressoché inesistenti. Il loro rifiuto non è a livello legislativo, ma socio-culturale. Avere un parente disabile è motivo di vergogna, è considerato una punizione divina per qualche colpa commessa ed è vissuto come un fardello, poiché è ancora faticosamente accettato che un disabile possa studiare e lavorare per quel che le sue facoltà gli consentono. Di conseguenza nel migliore dei casi sono tenuti chiusi in casa, a volte anche in catene per timore che scappino, oppure abbandonati, portati in strutture “apposite” o addirittura uccisi. Inoltre, l’ormai abolita politica del figlio unico rendeva ancora più inaccettabile la nascita di un figlio disabile, perché questo avrebbe voluto dire che sarebbe stato l’unico figlio, che non avrebbe mai lavorato e non avrebbe mai potuto badare ai suoi genitori, così come prevede la dottrina confuciana. Nelle campagne la situazione è ancora più critica perché bisogna fare i conti con alti livelli di povertà e con credenze popolari ancora più radicate.

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Fig. 1 – Un uomo affetto da disabilità mentale viene tenuto chiuso in gabbia dalla sua famiglia in un villaggio della provincia dello Jiangxi

IL NOME – Quanto la disabilità sia percepita in maniera negativa si evince anche dalla parola utilizzata per definire il disabile, cioè canfei 残废, termine dispregiativo che designa la condizione di inutilità denotata dal carattere fei 废 che significa “inutile, senza valore”. Canfei 残废, utilizzato fin dall’epoca maoista, è oggi usato solo nel linguaggio comune. Nel 1980, infatti, il carattere fei 废 è stato sostituito da ji 疾 che sta per “indisposizione, ferita”, diventando così canjiren 残疾人 nel senso più consono di “disabile, malato”. Nei documenti ufficiali, quindi, il termine utilizzato è canjiren 残疾人, ma tra la popolazione rimane largamente diffuso canfei 残废; questo dimostra che il riconoscimento della disabilità in quanto malattia e del disabile in quanto essere umano con pari dignità e diritti deve avvenire prima e soprattutto all’interno della società. A livello normativo, infatti, il concetto di disabilità è stabilito dall’art. 2 della Legge della Repubblica Popolare Cinese sulla protezione dei disabili, dove “per persona disabile s’intende quella persona che soffre di anormalità o perdita di alcune funzioni e organi mentali, fisiologici o nella struttura corporea, o che ha perso completamente o in parte l’abilità di svolgere attività in modo normale. […]”.

IL FIGLIO DISABILE – Il passaggio da canfei 残废 a canjiren 残疾人 nel 1980 non è stato casuale. Gli anni Ottanta sono stati il periodo del cambiamento, della svolta promossa da Deng Xiaoping che ha portato la Cina ad essere oggi una potenza mondiale. In quegli stessi anni ci fu la medesima svolta per i disabili, anch’essa promossa da un Deng, Deng Pufang, il figlio del piccolo timoniere Deng Xiaoping. Deng Pufang divenne paralizzato buttandosi giù da una finestra, in un tentativo di suicidio a seguito delle torture subite durante la Rivoluzione Culturale. Rinchiuso in un rifugio della periferia di Pechino a lavorare insieme ad altri disabili, riuscì ad uscirne solo quando suo padre salì alla guida del Paese e lo portò in Canada per delle cure. In quegli anni la disabilità stava acquisendo uno status internazionale, perché nel 1975 l’ONU approvò la Dichiarazione sui diritti delle persone disabili e nel 1981 fu istituito l’Anno Internazionale delle persone disabili. Fu in quel periodo che Deng Pufang maturò la consapevolezza di come la disabilità era vissuta nel suo Paese e decise di dedicare la sua vita alla difesa dei diritti delle persone con disabilità, fornendo loro cure, riabilitazione e ogni tipo di assistenza necessaria. Tornato in patria, nel 1984 istituì un Fondo per disabili e nel 1988 fondò la China Disabled Persons’ Federation. Quest’ultima ha il compito di promuovere ricerche, report, analisi sulla questione della disabilità in Cina e disegnare progetti e proposte politiche. Nel corso degli anni il tema della disabilità diventa sempre di più parte integrante dei piani politici, con leggi e sezioni appositamente dedicate nei piani quinquennali, seppure la situazione reale stenti a migliorare, soprattutto nelle aree rurali. Il 2008, anno in cui sono state ospitate le Olimpiadi e le Paralimpiadi, è stato uno spartiacque per la Cina perché il Paese ha firmato in tale occasione la Convenzione per i diritti delle persone con disabilità dell’ONU, promulgata nel 2006. L’apertura al mondo si stava realizzando anche per i disabili cinesi.

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Fig. 2 – Deng Pufang, figlio di Deng Xiaoping e fondatore della China Disabled Persons’ Federation

LA LEGISLAZIONE – A livello normativo, il primo strumento legale per la difesa e la protezione dei disabili è la Legge della Repubblica Popolare Cinese per la protezione dei disabili approvata nel 1990. Tale legge è stata modificata nel 2008, aggiungendo alla precedente formulazione delle novità, quali: il diritto al lavoro; il diritto di godere della riabilitazione; il diritto all’istruzione sia obbligatoria che non; il diritto alla protezione sociale in caso di condizione di povertà o indigenza; il diritto a un’equa partecipazione alla vita culturale del Paese. È interessante notare che la nuova legge quadro nazionale del 2008 è stata il frutto di un progetto di cooperazione tra il Ministero degli Affari Esteri italiano, il Ministero cinese per il Commercio Estero e la Federazione Cinese delle persone disabili. Inoltre, per quanto riguarda l’istruzione e il lavoro, si deve fare riferimento a due ulteriori regolamenti, quello sull’istruzione dei disabili del 1994 e quello sull’impiego dei disabili del 2007. Ultimo in ordine di tempo è stato il dodicesimo Five Year National Programme on Disability (2011-2015). Stando ai dati della Federazione Cinese delle persone disabili, grazie a queste leggi e relative politiche, alla fine del 2014 2.3 milioni di disabili in condizioni di povertà hanno ottenuto un sussidio economico; 7.5 milioni hanno ricevuto un servizio di riabilitazione; 2.8 milioni sono stati coperti dall’assistenza sanitaria e da altre sovvenzioni statali. A livello internazionale, invece, la Cina ha firmato nel 2008 la Convenzione Onu e ha ospitato le celebrazioni per il decennale della Convezione lo scorso 7 luglio, durante le quali il capo della Federazione Cinese dei disabili, Zhang Haidi, ha proposto di creare un’organizzazione mondiale per i disabili.

LA REALTÀ DEI FATTI – Dal punto di vista normativo e politico in Cina ci sono stati grandi miglioramenti. Il problema, però, rimane l’attuazione di tali politiche, nonché la loro implementazione e la mancanza di informazioni. La scuola e il lavoro sono tra i settori in cui la discriminazione e la mancanza di inclusione dei disabili sono particolarmente evidenti, dimostrando quanto la legge sia poco messa in atto e rispettata. Nelle scuole e nelle università, infatti, c’è ancora la prassi di presentare un certificato medico attestante la buona salute, in caso contrario difficilmente un disabile è accolto in classe. Questo atteggiamento è giustificato sulla base delle difficoltà che la classe incontrerebbe nell’accettare il compagno disabile e sulla presenza delle barriere architettoniche che renderebbero difficile l’accesso alle strutture scolastiche, nell’ottica per cui deve essere il disabile ad adattarsi e non viceversa. Di conseguenza, i genitori sono costretti a rimanere a scuola con i propri figli, oppure a portarli in istituti appositi, che non pullulano affatto sul territorio nazionale: alla fine del 2014 ve ne erano infatti solo 1547. Eppure di piani a favore dell’equo diritto all’istruzione per i disabili ce ne sono parecchi; nel 2013, per esempio, è stato approvato il “Regolamento per l’accesso a scuola per i disabili” e per il 2016-2020 è stato approvato un nuovo piano; ma se si guarda alla realtà dei fatti il 34.74% dei bambini con disabilità compresi tra i 6 e i 17 anni abbandonano la scuola, mentre solo nel 2015 ad alcuni ragazzi è stata concessa l’opportunità di sostenere il gaokao (l’esame per accedere all’università). Non va meglio neanche per quel che riguarda il lavoro. Già nel lontano 1988 la Cina ratificò la Convenzione OIL n.159 sul “Vocational Rehabilitation and Employment  for disabled people”; mentre la legge del 2007 sull’impiego dei disabili prevede un sistema a quote, cioè nelle aziende l’1.5% delle opportunità di lavoro deve essere riservata ai disabili ed è prevista una multa se tale disposizione non viene rispettata. A conti fatti, però, anche sul luogo di lavoro come per le scuole è richiesto un certificato di salute; inoltre, i datori di lavoro preferiscono pagare la multa pur di non avere un lavoratore disabile perché temono di spaventare i clienti e di perderli, dal momento che in Cina la mianzi 面子, in altre parole “la faccia”, “l’apparenza”, ha un peso notevole nella riuscita di buoni affari. La situazione, sia per il lavoro sia per la scuola, peggiora se dalla città ci si sposta verso la campagna dove la povertà, le credenze popolari e la mancanza di informazioni regnano sovrane sulla testa dei disabili e delle loro famiglie. L’accettazione deve partire prima di tutto dalle famiglie, superando le antiche convinzioni, per poi arrivare nella società e infine raggiungere l’implementazione della legge. In un Paese come la Cina dove tutti contribuiscono alla sua grandezza, anche coloro con qualche difficoltà fisica o psichica devono avere la possibilità di farlo, perché diventare una potenza mondiale non richiede solo la crescita economica, ma anche un’evoluzione sociale.

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Fig. 3 – La cerimonia di accensione della fiamma olimpica durante le Paralimpiadi di Pechino del 2008

Roberta Maddalena

 [box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Come succede in ogni Paese, anche in Cina un contributo fondamentale alla situazione dei disabili è fornito dalla società civile, vale a dire dalle associazioni non profit e dalle ONG. Sebbene lo status di queste ultime in Cina sia ancora incerto, ci sono molte ONG devote alla causa della disabilità che cercano, nelle loro limitate possibilità, di contribuire a una maggiore integrazione nella società dei disabili e delle relative famiglie, fornendo loro servizi di assistenza sanitaria, ricreativa, riabilitativa, sanitaria e anche semplicemente informazioni.[/box]

 

Foto di copertina di U.S. Embassy The Hague Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-NoDerivs License

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Roberta Maddalena
Roberta Maddalena

Sono nata nella provincia di Benevento nel 1992. Mi sono laureata In Mediazione Linguistica e culturale presso l’Università per stranieri di Siena e attualmente sono iscritta al corso di laurea magistrale in Scienze Internazionali dell’Università di Torino. Ho svolto un Erasmus alla Durham University (Inghilterra), un tirocinio presso un’ONG a Pechino e al momento mi trovo a Budapest per un Erasmus Traineeship. Durante i miei viaggi all’estero ho scoperto la mia passione per le relazioni internazionali e in particolare per i diritti umani, nel cui ambito mi piacerebbe lavorare. In attesa di concludere gli studi e trovare un lavoro, darò voce a questa mia passione con qualche articolo.

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