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Un Caffè con Lorenzo Mariani, Leonardo-Finmeccanica

Miscela Strategica – Al salone Euronaval di Parigi abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare l’ing. Lorenzo Mariani,  managing director della divisione Elettronica per la Difesa Terrestre e Navale di Leonardo – Finmeccanica. Abbiamo discusso insieme le novità del salone e i temi a noi cari quali competitività, innovazione e difesa europea.

Ing. Mariani, cominciamo con una domanda generale: perché Euronaval è importante per Leonardo, quali sono le novità e qual è il trend generale, soprattutto dopo le recenti commesse in Medio Oriente?

Euronaval riveste per posizione geografica e natura dell’evento una grande importanza. La Francia è un Paese con il quale l’Italia ha un rapporto consolidato da tempo, non solo nel settore difesa. Euronaval permette di mostrare i propri prodotti in un evento al quale partecipano praticamente tutti i clienti e quindi di ritrovarsi in un’unica kermesse. Nel 2016 ha anche importanza particolare per via dei recenti contratti ottenuti da Leonardo, partendo da quelli effetto della Legge Navale italiana del 2015 ma anche a seguito della rapida e positiva evoluzione dei contratti in corso come le FREMM. A settembre abbiamo consegnato l’Alpino, la quinta nave della classe, senza ricevere alcun “remark” da parte della Marina, un evento quasi storico per quanto raro e che certifica il livello di eccellenza raggiunto dalla produzione. A seguito di questi due grandi filoni, quest’anno abbiamo la possibilità di mostrare prodotti assolutamente innovativi in tutta la gamma del sistema di combattimento di una nave, dai radar ai sensori infrarossi, dalle comunicazioni all’armamento. Quest’anno, complice questa maggiore forza contrattuale e programmatica, abbiamo potuto realizzare uno stand decisamente accattivante che la rappresentasse, e quindi sottolineando anche l’importanza del salone.

Fig.1 - L'Ing. Mariani posa con l'autore presso lo stand
Fig.1 – L’Ing. Mariani posa con l’autore presso lo stand

Passiamo ai temi a noi cari, la difesa europea per cominciare. Sia la Commissione europea che alcune parti politiche premono per un’aggregazione delle diverse industrie europee, che spesso sono competitor. Chiaramente la cantieristica obbedisce alle sue logiche, diverse da quanto avviene in ambito terrestre, ma… quanto è possibile integrare davvero? Quali sono le leggi che regolano la cantieristica in Europa, cosa si può fare davvero e cosa no?

Sul primo punto, una maggiore integrazione è obbligatoria per due ragioni.
La prima è che i singoli Governi non hanno più la possibilità di sostenere in piena autonomia un intero comparto industriale nazionale. Programmi come la Legge Navale non sono frequenti e arrivano appunto perché per anni non ci sono stati programmi maggiori e poi ci si è trovati con gran parte della flotta da sostituire.
La seconda è che tramite opportune alleanze, con modelli diversi, si aumenta moltissimo l’efficacia sul mercato estero, dove la competizione con i player extra-europei è già forte, ma meno di quanto lo sarà in futuro.
Per quanto riguarda il mio settore specifico, l’Elettronica per la Difesa Terrestre e Navale , Leonardo ha già fatto molto perché raggruppando le aziende sotto una singola società e reimpostandole come divisioni si è già pronti ad agire come insieme sugli stessi mercati e ad attingere molto spesso agli stessi bacini tecnologici e finanziari. Si può e si deve fare di più, ma chiaramente la nuova impostazione è richiesta proprio dalla necessità di interfacciarsi poi con altre industrie – partner o competitor – in maniera più efficace.
Dal punto di vista della cantieristica si può fare molto sia a livello nazionale che a livello europeo. Per quanto ci riguarda la serie di contratti con il Qatar ha dimostrato che la capacità di far sistema a livello nazionale  con Fincantieri, che rappresenta il cantierista di eccellenza in Italia, ha pagato parecchio, e il potenziale che si potrebbe avere ragionando in questo modo su scala ancora più grande è notevole. Però questo dipende dalle Istituzioni e dalla loro capacità di concepire piani ambiziosi e condizioni favorevoli perché ciò avvenga. Per ora, in mercati come quello mediorientale, britannici o francesi sono decisamente competitor.

Il mock-up della torre da 127/62 mm in configurazione stealth e dotata del kit di guida Vulcano
Fig.2 – Il mock-up della torre da 76/62 mm Sovraponte in configurazione stealth e dotata del kit di guida Vulcano

Cosa succede quando sono competitor? Non si riesce a trovare un accordo per collaborare invece che affrontarsi?

Finché non c’è un impulso politico forte in questo senso, non possiamo fare a meno di vivere come società che stanno in un mercato, e quindi non si può fare a meno di essere competitor. Una parte rilevante dei nostri introiti arriva dalle vendite all’estero, quindi finché un progetto così grande non diventa concreto – non basta nemmeno averlo sul tavolo – noi siamo costretti ad agire quotidianamente con un senso di concretezza cui non si può rinunciare. Sul perché non si riesca ad impostare un progetto del genere, credo ci voglia la volontà politica reale di fare le cose da parte di tutti i Paesi ed uno studio attento del mercato e dell’industria. Ci sono molti modelli e molte proposte, ma le condizioni di base affinché siano buone è che ciascuno ne tragga beneficio e, al tempo stesso, ciascuno faccia qualche sacrificio, in maniera paritetica. Se questo non si verifica per tutti i Paesi parte del progetto di integrazione non è possibile pensare di passare ad un processo che trasformi i competitor in partner in maniera naturale.

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Fig.3 – L’Ing. Mariani al press briefing di Leonardo presso il salone Euronaval 2016. Alla sua sinistra i dirigenti Giovanni Soccodato (Strategie, Sviluppo dei Mercati e del Business) e Gianpiero Lorandi (Sistemi di Difesa)

Però mentre si temporeggia i cantieri russi vengono rilanciati, quelli statunitensi sono molto competitivi, i giapponesi sembra vogliano aprire all’export ed hanno grandi capacità nel settore, i cinesi continuano a crescere ed i coreani cercano già la loro fetta di mercato. Non si rischia di rimanere troppo piccoli? Come si risolve il problema competitività?

Il primo sistema per venirne a capo riguarda il singolo gruppo industriale ed è basato sulla selezione attenta degli investimenti e con puntate che aprano delle opportunità reali, senza l’eccessiva ambizione di coprire tutto. Gli stanziamenti a pioggia per lo sviluppo industriale non funzionano, tantomeno nei settori ad alta tecnologia. Poi è necessario anche un focus sui mercati giusti che possano ripagare questi investimenti e azioni di concentrazione industriale, come è successo per Leonardo. Per esempio, quando due siti di produzione non hanno separatamente i fattori per le economie di scala, riportiamo il primo sul secondo o viceversa, con vantaggi sui costi e quindi sul prezzo finale del prodotto.  Questo è possibile quando si hanno rapporti privilegiati come quello tra Leonardo e Fincantieri. Tuttavia Leonardo ha accordi con molti altri cantieri a livello internazionale e quindi bisogna ragionare anche in altri termini. Per esempio, un processo di integrazione può essere anche parziale o legato al singolo prodotto e non una partnership fissa. Questo consente di ragionare secondo economie di scala, ma al tempo stesso a ripartire correttamente competenze e carichi di lavoro sul caso particolare e non a prescindere. Ciò rende il processo di produzione migliore e non peggiore. La cosa più importante sono i rapporti chiari tra le parti e integrazione maggiore nella pianificazione dei prodotti e dei mercati.
Detto questo, il secondo sistema, più strategico e strutturale, coinvolge più attori e vedrebbe un’integrazione dei diversi settori, per quanto ci riguarda in questo caso elettronica e cantieristica. Quello che noi possiamo osservare è che la partnership con la Francia è particolarmente fruttuosa e quindi ci incoraggia ad andare nella direzione di un maggior dialogo con gli altri gruppi europei. Ciononostante, non si può essere sprovveduti, perché la Francia ha una lunga tradizione industriale cui non intende certo rinunciare e che protegge accuratamente. Prima di parlare di integrazione europea Parigi si è preoccupata di consolidare il proprio comparto cosicché poi potesse giocare da protagonista, e questo anche a scapito degli altri attori cui poi si chiede di integrarsi. Oggi DCNS ha tra gli azionisti maggiori Thales, che è il produttore dei sistemi di combattimento delle navi ed al tempo stesso azionista del cantiere, quindi è in grado di rappresentare gli interessi di tutta la filiera, differentemente da quanto accade in molti altri casi. Sebbene la piattaforma (lo scafo in questo caso) sia una parte di rilievo, il sistema di combattimento è la parte più pregiata e quindi anche quella di maggiore interesse strategico per il Paese. D’altronde è naturale che il governante si preoccupi in primo luogo di salvaguardare i settori a più alta tecnologia (radar, comunicazioni, guerra elettronica, ecc.) e solo dopo i cantieri. In altre parole, oggi, se Fincantieri facesse un accordo con DCNS, quest’ultima avrebbe già il sistemista all’interno, Fincantieri no. L’Italia quindi avrebbe un accordo sbilanciato in favore della controparte francese, pur a parità di dimensioni, caratteristiche e quant’altro. Pertanto, finché noi non sviluppiamo lo stesso legame tra l’elettronica e la cantieristica le condizioni per integrarci sarebbero impari. Come ho già detto, i trend che spingono verso l’integrazione sono inesorabili, ma chiaramente sarebbe preferibile farlo a condizioni eque e a carte scoperte.

Fig.4 - Il sonar ATAS era tra le vedette di Leonardo al salone
Fig.4 – Il sonar ATAS era tra le vedette di Leonardo al salone

Quali sono gli scenari futuri che prevede nei prossimi dieci anni? Come risponderanno i vostri prodotti?

Tutti gli scenari che ci hanno prospettato gli analisti hanno finora fallito nel loro sforzo previsionale, in parte perché l’imprevedibilità è purtroppo la caratteristica principale di molti teatri operativi. Quindi preferisco tenermi a considerazioni generali. In primo luogo, il Mediterraneo rappresenterà ancora a lungo un teatro strategico, che vede la contrapposizione su sponde opposte di un arco di grande stabilità (i Paesi europei) e di uno di grande instabilità (Africa settentrionale e Medio Oriente). Questo porta l’Italia a sviluppare un focus chiaro sulle tematiche della regione sud e quindi la richiesta al nostro settore di prodotti adeguati ai possibili scenari marittimi che si sviluppano nel Mediterraneo e lungo le nostre principali rotte commerciali.
In secondo luogo, il trend globale oggi vede il denaro e la crescita economica localizzati in alcuni punti specifici della Terra, in particolare in estremo oriente e Medio Oriente – nonostante la crisi petrolifera riduca i budget – e questo non può non influenzare la nostra politica industriale. Ribadendo che una parte dei nostri introiti viene dall’export, non si può pensare i nostri prodotti senza la possibilità di incontrare le esigenze dei clienti (odierni e potenziali) che avranno disponibilità economiche maggiori nei prossimi anni.
In Europa, invece, ci sono due temi che  non sono prettamente industriali ma che avrebbero un impatto notevole sulla nostra strategia aziendale.
Il primo è un tema operativo: l’esercito europeo, la formazione del quale avrebbe piani di procurement a corredo che ci forzerebbero a rivedere l’agenda. Ma questo non dipende da noi e non abbiamo modo di prevederne gli sviluppi perché è un tema esclusivamente politico. Nondimeno dobbiamo essere pronti ad interfacciarci con gli altri player in Europa per poter prendere parte alle attività legate alla base industriale europea.
Il secondo tema riguarda la gestione di progetti e programmi a livello europeo, in pratica il ruolo dell’OCCAR. Esiste già un’autorità che può facilitare il rapporto tra Paesi e anche tra aziende. Servono normative uniche e una struttura contrattuale che spesso non è possibile a livello di singolo Paese. Tramite OCCAR si può dare una struttura comune, ma bisogna spingere a livello europeo per questo. L’esperienza delle FREMM è stata positiva in tal senso, ma non è ancora lo standard in molti casi.

Anche il PPA è tra i progetti OCCAR eppure è un progetto tutto italiano… 

La normativa di OCCAR prevede che durante la prosecuzione del programma un Paese possa esprimere un interesse o un requisito. E siccome il PPA è una nave che ha già dei requisiti comuni ad altre marine europee, è giusto che si lasci aperta la porta per le possibili collaborazioni future. Purtroppo non lo fanno tutti.

La nostra intervista si conclude qui. Rivolgiamo un caloroso ringraziamento all’Ing. Lorenzo Mariani per la disponibilità!

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Per quanto riguarda il settore navale, negli ultimi 50 anni oltre 40 Marine in tutto il mondo hanno scelto i sistemi Leonardo  per equipaggiare più di 100 unità navali.  Oggi, oltre alla “Legge Navale” per il rinnovamento della flotta italiana, altri progetti significativi sono i programmi di collaborazione italo-francese Orizzonte e FREMM, il piano di ammodernamento della Marina militare del Qatar e la partnership con gli Emirati Arabi Uniti in campo navale. Questi programmi consentono a Leonardo di affermarsi come player di riferimento a livello internazionale nell’integrazione di sistemi di combattimento e nella fornitura di equipaggiamenti avanzati in linea con i più moderni requisiti navali

Al Salone francese Leonardo-Finmeccanica ha proposto sistemi navali di nuova generazione attraverso un viaggio virtuale sul ponte di comando di una nave multiruolo, il “cockpit navale” per la gestione integrata della nave e l’ATAS (Active Towed Array Sonar), il più piccolo e potente sonar trainato oggi disponibile sul mercato. Proprio nel corso di Euronaval 2016 il radar a scansione elettronica Osprey (AESA – Active Electronically Scanned Array) di Leonardo-Finmeccanica è stato scelto dalla Marina degli Stati Uniti per il programma di aggiornamento dell’elicottero a pilotaggio remoto MQ-8C Fire Scout.

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Marco Giulio Barone
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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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