In 3 sorsi – La seduta plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo di giovedì 24 novembre si è conclusa con una risoluzione sulla “sospensione temporanea dei negoziati di adesione in corso con la Turchia”. Ferita nell’orgoglio, la Turchia è stanca di aspettare sull’uscio dell’Europa e guarda verso Oriente
1. DOUBLE STANDARD? – In cambio dell’aiuto ricevuto da Ankara per la gestione della crisi migratoria, il Piano d’Azione Turchia-UE del 20 marzo 2016 ha riportato sul tavolo delle trattative l’agognato e interminabile processo di adesione della Turchia all’Unione, accompagnato dalla promessa di una progressiva liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che intendono recarsi in Europa. Fin dagli albori, questa promessa di rilancio delle relazioni tra i due Paesi ha destato parecchio scetticismo sull’effettiva riuscita di una tanto decantata “mutual cooperation”. Il negoziato per l’adesione fra Turchia e UE va avanti dal 2005, ed è stato uno dei più lunghi e controversi. Per ottenere l’ammissione all’UE è necessario soddisfare i cosiddetti Criteri di Copenaghen: 35 capitoli negoziali che impongono il rispetto di alcuni criteri politici (tra cui democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo), economici (un’economia di mercato affidabile e forte) e di capacità di assorbimento dell’acquis communautaire. Meno servile di altri Paesi canditati, rifuggendo l’approccio paternalistico dell’Unione, la Turchia ha effettivamente avviato tra il 2000 e il 2005 un inteso processo di riforme, ma alle proprie condizioni e molto cauto sul fronte politico e sociale. Dal canto suo l’Europa è sempre stata molto severa nei confronti del partner anatolico, sottoposto ad un processo di screening molto scrupoloso rispetto ad altri candidati. L’atteggiamento di molti leader europei è stato spesso apertamente ostile, motivato da questioni di ordine economico, politico, geo-strategico, ma anche culturale essendo la Turchia il primo Paese di religione islamica ad essere candidato. Ad aggravare le già esistenti preoccupazioni per la destabilizzazione degli equilibri economici e politici europei con l’ingresso di un Paese così influente, si sono aggiunti una sfiancante crisi economica, la svolta neo-ottomana nella geopolitica di Davutoğlu e il mutamento in senso autoritario del regime di Erdoğan (con l’inasprimento del conflitto con la minoranza Curda e una repressione delle libertà interne), contribuendo in tal modo a rallentare il processo Turchia-UE.
2. L’OFFERTA DEL PIANO TURCHIA-UE- Nonostante le battute d’arresto, le frequenti diatribe riguardanti i diritti umani, Cipro, la questione curda e il cambio di regime dell’APK tra il 2011 e il 2012, il negoziato con l’Unione europea non si è mai arrestato fino ad ora. È pur vero che lo scontro di interessi e la differenza di vedute su molte questioni hanno ostacolato il processo portando ad un vero e proprio blocco intenzionale da parte dell’UE di oltre la metà dei 35 capitoli di negoziato. Tuttavia, il processo di screening della Commissione per l’apertura di ulteriori capitoli è proseguito senza interruzioni. Ed è proprio quando le discussioni fra “Turcofili” e “Turcofobi” avevano perso il fascino della novità e non erano più sotto i riflettori, che l’emergenza migratoria e l’allarme securitario hanno ravvivato l’interesse europeo per quel partner strategico alle porte d’oriente e portato alla conclusione del Piano congiunto del 20 marzo. I negoziati su 14 dei 35 capitoli sono stati ripresi con vigore:
- Cap IV: Libera circolazione di Capitali
- Cap VI: Diritto Societario
- Cap VII: Diritto alla proprietà intellettuale
- Cap XII: Sicurezza alimentare
- Cap XVI: Tassazione
- Cap XVII: Economia/politica monetaria
- Cap XVIII: Statistiche
- Cap XX: Imprese/Politica industriale
- Cap XXI: Reti Trans-Europee
- Cap XXII: Politica Regionale
- Cap XXVII: Ambiente
- Cap XXVIII: Consumatori/Tutela salute
- Cap XXXII: Controlli finanziari
- Cap XXXIII: Disposizioni finanziarie e di bilancio
Questi capitoli contemplano una serie di questioni critiche, tra cui diritti fondamentali come la libertà di parola, il sistema giudiziario, la politica anti-corruzione, la migrazione e l’asilo, le norme sui visti, la gestione delle frontiere, ed è interessante notare come tra i capitoli bloccati ci sono alcune aree chiave dell’azione congiunta UE-Turchia: relazioni esterne; energia; politica estera, di sicurezza e di difesa. Fin dal principio, è stato evidente quanto fosse difficile mettere al guinzaglio un Presidente autoritario come Recep Tayyip Erdoğan, consapevole della potenza del proprio stato e ormai disilluso sulle reali possibilità di accesso all’Unione, e soprattutto dopo il colpo di Stato a luglio 2016 le critiche dai Palazzi di Bruxelles sono arrivate a valanghe inasprendo i rapporti tra i due Paesi. “Le purghe” adottate da Erdoğan sotto l’etichetta di “stato di emergenza” hanno risollevato i vecchi problemi legati al deficit democratico e di protezione dei diritti umani e libertà fondamentali in Turchia, soprattutto considerando che il Presidente turco e una serie di membri del Governo hanno rilasciato ripetute dichiarazioni sulla possibilità di reintroduzione della pena di morte (l’opposizione inequivocabile alla pena di morte è un elemento essenziale dell’acquis dell’Unione).
3. IL CONGELAMENTO – La seduta plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo di giovedì 24 novembre, ha segnato una svolta senza precedenti nelle relazioni UE-Turchia. Il Parlamento ha infatti approvato una risoluzione che «condanna con fermezza le sproporzionate misure repressive attuate in Turchia dopo il tentativo fallito di colpo di Stato militare del luglio 2016; conferma l’impegno a mantenere la Turchia ancorata all’Unione europea; invita, tuttavia, la Commissione e gli Stati membri a procedere a una sospensione temporanea dei negoziati di adesione in corso con la Turchia». Per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti il PE ha dichiarato che al momento «la Turchia non soddisfa sette dei 72 requisiti definiti nella tabella di marcia […] alcuni dei quali rivestono particolare importanza». Il documento ha ottenuto la maggioranza con 479 voti a favore, 37 contrari e 107 astensioni. Già dal giorno precedente il Presidente Erdoğan aveva dichiarato che non avrebbe considerato il voto come valido, e le reazioni indignate di Ankara alla risoluzione non hanno tardato ad arrivare. Nel mese di novembre il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu aveva dichiarato di essere stanco dei “double standard” europei per la Turchia rispetto ad altri candidati e il 20/11 l’Hurryet Dayly news ha riportato una dichiarazione del Presidente Turco in cui affermava come per la Turchia l’Europa non fosse l’unica alternativa strategica e rivelava l’intenzione di unirsi al Gruppo di Shangai (Shangai Five), l’organizzazione per la cooperazione tra Russia Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.
Valentina Revelli
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il 15 dicembre, in una conferenza stampa congiunta ad Ankara con il Presidente sloveno Borut Pahor, Erdogan ha dichiarato che «allontanare la Turchia mette a rischio la pace e la stabilità nella regione. Un’Europa sicura senza la Turchia è molto improbabile». Nel frattempo si rafforza il dialogo tra Ankara e Mosca per trovare un accordo sui negoziati di pace in Siria [/box]
Foto di copertina di UE en Perú Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License