Ci si aspettava una prima gaffe di Donald Trump in politica estera, ed è arrivata: su Cina e Taiwan. Una breve analisi della questione
Non si conosce ancora il nome del Segretario di Stato dell’amministrazione Trump, ma giĂ pare chiaro che di nodi da sciogliere ne avrĂ veramente tanti, a cominciare da quello cinese: il 3 dicembre si è ampiamente diffusa la notizia di una telefonata tra il neo eletto Presidente statunitense e la Presidente della ROC, Tsai Ing-wen, leader del Partito progressista democratico di Taiwan. L’isola, indipendente, dove si era rifugiato nel 1949 l’esercito del Guomindang, viene considerata da Pechino una “provincia ribelle”, comunque parte integrante del proprio territorio, per il concetto di appartenenza alla medesima civiltĂ cinese.
Gli Stati Uniti, nonostante l’interruzione delle relazioni diplomatiche con Formosa e l’apertura di quelle con la RPC, hanno implementato stretti legami economici e politici con l’isola, per mantenere il controllo geopolitico di tutto il Pacifico.
L’ombrello statunitense, finalizzato a proteggere un Paese democratico, è però ancorato anche al business degli armamenti militari e purtroppo Trump solo il secondo ha citato per giustificare la pronta risposta alla telefonata, di cui “non vede il problema”… ma questo esiste ed è delicatissimo, perchè tocca le corde più sensibili non solo dei leader ma di tutto il popolo cinese: sulla politica dell’unica Cina non c’è possibilità di negoziare e qualcuno lo deve pur spiegare al neo eletto Presidente, mentre Ned Price, portavoce della Sicurezza Nazionale di #Obama, tenta di tranquillizzare le diplomazie inquiete. Intanto anche il Ministro degli Esteri cinese esprime la propria fiducia su un futuro senza interferenze o rotture, come troppe volte avvenuto nel passato, insanguinato dai conflitti nelle linee di frattura.
Elisabetta Esposito Martino