Vivono in un’area compresa tra la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Iraq, con una popolazione totale che si aggira sui 35 milioni. Senza pace da ormai un secolo, da quando il Trattato di Londra del 1913 mise momentaneamente fine alle guerre balcaniche e ridimensionò la nazione del Kurdistan, le istanze di questa popolazione sono state variegatamente rappresentate, fino a giungere alla nascita, e poi alla messa al bando, del PKK da parte di Stati Uniti ed Europa, dichiarato partito terrorista e pericoloso. E’ di pochi giorni fa il nuovo rapporto dello Human Right Watch, il quale, tra le analisi effettuate su 90 paesi, ha denunciato come le leggi anti – terroriste turche siano servite al governo di Ankara ad imprigionare manifestanti curdi spesso innocenti.
UNA PACE DURATURA? – Dal 1984, anno in cui i terroristi imbracciarono le armi per destabilizzare il governo turco ed ottenere l’indipendenza, ben 40mila persone, e tra loro soprattutto curdi, hanno perso la vita. L’esplosione del conflitto siriano ha notevolmente peggiorato la situazione: gli incidenti al confine tra Turchia e Siria, in particolare nella provincia di Hatay, così come la dichiarazione in base alla quale i vertici del PKK garantirebbero l’appoggio alla Siria in caso di conflitto conclamato contro Ankara, hanno trasformato una calma apparente in una continua “strategia della tensione”. Il numero di profughi che si ammassano al confine è allo stesso tempo un tassello preoccupante per il contenimento di un conflitto che rischia di estendersi al resto della regione. Il governo turco, che ha ora intrapreso un dialogo costante con l’ex leader del partito curdo Ocalan, spinge per una road map di stampo diplomatico, programmando il ritiro delle forze militari curde già da questa primavera, e per un processo di pace che includerebbe una riforma costituzionale, un maggiore riconoscimento, e più diritti politico – culturali per i curdi. Solo il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) sembra invece essere contrario ad un allentamento delle tensioni. Eppure una soluzione win – win sembrerebbe essere la migliore per entrambe le parti coinvolte: dal canto suo Ankara dovrebbe proseguire con le trattative per liberare i prigionieri incarcerati negli ultimi 20 anni, piuttosto che continuare a compiere attacchi come quello dell’11 dicembre scorso, durante i quali 24 curdi furono uccisi al confine con l’Iraq durante un attacco aereo.
LE DONNE CURDE – Il 9 gennaio scorso tre donne curde sono state assassinate a Parigi, in un ufficio del Kurdish Information Center, vicino alla Gare du Nord. Una di loro, Sakine Cansiz, era stata tra i membri fondatori del PKK. Un episodio senza colpevoli, che ha di fatto rallentato il processo di pace tra curdi e turchi: uccise con colpi di arma da fuoco, i loro corpi sono stati ritrovati forse un giorno dopo il loro assassinio. Le donne curde combattono per sfuggire dalla povertà , in una società patriarcale che non le rispetta: il cruento episodio di Parigi è stato accolto dalle donne curde come una dura sferzata all’emancipazione e al femminismo che da anni caratterizza alcune fette della loro popolazione. Le violenze contro le donne sono infatti molto diffuse in particolare nel sudest della Turchia, ed alcune di loro sono punite anche solo per aver parlato con “uno straniero” o per aver ascoltato la radio. Per loro il PKK rappresenta un modo per uscire fuori da un empasse feudale, ma anche la possibilità di un riscatto.