Dopo aver ridotto il ramo locale dell’ISIS all’osso, in Libia si è tornati al tutti contro tutti. Non solo Tripoli contro Tobruk, ma si riaffacciano attori considerati fuori dalla partita, con il sostegno di milizie sempre più inclini a cambiare schieramento a seconda del momento
Come era stato ampiamente previsto, esauritosi lo sforzo contro il ramo locale dell’ISIS, il Libia si è tornati al tutti contro tutti. Espressione non usata a caso, perché oltre ai due Governi – quello di Serraj a Tripoli riconosciuto dall’ONU e quello di al-Thani a Tobruk – sembra volerne ricomparire un terzo: quello dell’ex Premier di Tripoli, Khalifa Gwell. Le sue milizie hanno occupato edifici ministeriali in città, approfittando dell’assenza di Serraj, impegnato in colloqui a Il Cairo con il Presidente Al Sissi, noto sostenitore di Tobruk e del suo “braccio armato” Khalifa Haftar. Il Governo di Tripoli pare aver ripreso il controllo della situazione. Al di là del contrasto tra Governi più o meno forti e/o riconosciuti, la vicenda ha rimesso in luce l’importanza delle milizie nel teatro libico, spesso protagoniste di alleanze volatili e repentini cambiamenti di schieramento. Il tutto dopo pochi giorni dalla visita del nostro Ministro dell’Interno Marco Minniti che ha ribadito la posizione italiana al fianco di Serraj (ricordiamo la presenza di un nostro ospedale da campo con relativa force protection nei pressi di Misurata) oltre a cercare di rivitalizzare l’accordo per il controllo delle coste e del flusso di migranti. Dal canto suo, Tobruk, oltre a condannare pesantemente la riapertura dell’Ambasciata italiana a Tripoli, sembra puntare al nuovo protagonista delle vicende internazionali: Putin. La visita di Haftar sulla portaeromobili Kuznetsov è un segnale chiaro. Lo scenario si fa sempre più fluido, complice anche l’uscita di scena di Obama (sostenitore di Serraj) e l’entrata di Trump, per il quale la Libia è un dossier quantomeno secondario.
Emiliano Battisti
Foto di copertina di mshamma rilasciata con licenza Attribution License