In 3 sorsi – Dopo alcuni giorni di negoziati, il 1 gennaio il Turkmenistan ha sospeso l’esportazione di gas verso l’Iran. Mentre Teheran si dichiara pronta a ricorrere all’arbitrato internazionale, Aşhgabat volge lo sguardo ai partner dell’Asia meridionale e si affida ancora una volta all’industria energetica per ampliare il proprio mercato
1. IL BARICENTRO DEL GAS CENTRO-ASIATICO – Ai primi posti tra i vicini dell’Asia Centrale e sesto al mondo per riserve di gas naturale, superiori a 13 trilioni di metri cubi, il Turkmenistan appare formalmente come un Paese dal reddito medio-alto, la cui crescita economica è però imbrigliata dalla dipendenza dal settore degli idrocarburi ed in particolare dagli scambi con la Cina. Questa la fotografia realizzata nell’ultimo rapporto della Banca Mondiale, che – nel sollecitare una seconda stagione di riforme indirizzate alla riduzione del ruolo pubblico nell’economia ed alla liberalizzazione del mercato – descrive il percorso ad ostacoli dell’ex repubblica sovietica, combattuta tra rispetto della tradizione e desiderio di affrancarsi da un passato antiliberale e protezionista.
L’elezione nel 2007 dell’attuale Presidente Gurbanguly Berdimuhamedow, succeduto alla figura autocratica di Niyazov, era stata interpretata come una premessa credibile verso la rottamazione del potere totalitario. Effettivamente, il profilo geopolitico del Paese ha progressivamente acquisito un nuovo smalto alla luce della prudente apertura agli investimenti stranieri, dell’instaurazione di nuove relazioni internazionali e dell’affermazione di Aşhgabat quale capitale del gas centro-asiatico.
Eppure oggi il gas naturale si trova al centro di una controversia che potrebbe alterare gli equilibri che corrono lungo la sponda sud-orientale del Mar Caspio, opponendo il Turkmenistan al suo vicino meridionale: la Repubblica Islamica dell’Iran. Un episodio sintomatico non tanto della debolezza diplomatica di Aşhgabat, ma soprattutto della fragilità e dell’incertezza di un Paese ancora distante dall’emancipazione dal gas, che pure a rilento cerca di affermare la sua presenza sulla scena internazionale.
Fig. 1 – Il Presidente del Turkmenistan G. Berdimuhamedow durante una visita ufficiale in Georgia nel 2015
2. DIPLOMAZIA PERDUTA, DISPUTE ENERGETICHE, ARBITRATO – La rinnovata linea della politica estera turkmena e l’attenzione rivolta da Aşhgabat alle potenzialità dell’industria iraniana hanno accompagnato i primi passi dell’evoluzione economica, che in pochi anni ha reso l’ex repubblica sovietica il terzo partner commerciale dell’Iran, dopo Cina e Turchia.
Lo scorso giugno fonti del Governo di Teheran annunciavano che la Repubblica Islamica si sarebbe impegnata a importare gas dal Turkmenistan secondo uno schema di contratto decennale stimato in circa 30 miliardi di dollari, in cambio di beni industriali e servizi per lo stesso valore. Si trattava dunque di una cooperazione bilaterale di lungo periodo per lo sviluppo del settore energetico e infrastrutturale che faceva da contraltare ai numerosi memorandum di intesa già siglati sui versanti della collaborazione politica, economica, scientifica e culturale.
Tuttavia, il 1 gennaio il colosso statale Türkmengaz ha chiuso i rubinetti del carburante destinato al consumo iraniano, a seguito di una questione irrisolta circa presunti pagamenti dovuti da Teheran, la quale si è dichiarata comunque in grado di rispondere alla domanda nazionale e pronta ad incrementare l’esportazione di gas iraniano verso Turchia e probabilmente Iraq.
Da parte sua, la National Iranian Gas Company (NIGC) ha puntualizzato che la controversia è stata alimentata dalla parte residua di un debito (in origine pari a circa 4,5 miliardi di dollari) contratto nel periodo in cui Teheran non avrebbe potuto effettuare pagamenti diretti, a causa delle sanzioni economiche internazionali cui era soggetta. Nondimeno, nel rispetto di precise clausole contrattuali, l’Iran avrebbe onorato i propri impegni mediante l’export di merci e servizi destinati al mercato turkmeno. Per queste ragioni, la sospensione degli approvvigionamenti operata da Türkmengaz avrebbe comportato una “palese violazione dei termini contrattuali”, che probabilmente indurrà la NIGC a riferire la questione alla Corte Internazionale di Arbitrato.
Fig. 2 – Un ragazzino turkmeno durante l’inaugurazione di una sezione del gasdotto East-West nel 2010
3. VERSO L’ELABORAZIONE DI NUOVE RISPOSTE? – Se la stampa russa non ha perso occasione per fare dell’ironia pesante, paragonando il Turkmenistan ad un nuovo Venezuela, da Teheran si levano voci che già prospettano un’imminente crisi economica, non dissimile da quella che si era abbattuta sul Paese all’indomani dell’indipendenza dall’URSS.
Da un lato, i dissidi con Mosca e la brusca battuta d’arresto imposta alle relazioni economico-commerciali tra i due Paesi dal 2015 hanno reso sempre più concreto il problema della diversificazione geografica delle esportazioni del Turkmenistan, frenato da una timida esposizione internazionale. D’altra parte, l’apertura di una faglia diplomatica con Teheran ha gettato dei dubbi sull’efficacia reale della tanto acclamata “neutralità” del Turkmenistan.
A questo proposito, si osserva però che il principio di neutralità, oggi costituzionalmente garantito e riconosciuto dalla comunità internazionale, è funzionale alla salvaguardia della stabilità del Paese rispetto a situazioni conflittuali che interessano Paesi terzi, mentre non potrebbe evitare l’insorgere di inimicizie tra il Turkmenistan ed altri Stati. Oltretutto, il graduale superamento della politica isolazionista, che aveva caratterizzato il Paese per oltre vent’anni dalla caduta dell’URSS, è un processo tuttora in divenire, ostacolato dal costante divario tra la centralizzazione della politica interna e le ultime dinamiche della politica estera. Infine, come già anticipato, l’estrema dipendenza dagli idrocarburi rende l’economia altamente vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi internazionali.
Tuttavia, anche in un simile contesto, è ragionevole ipotizzare che proprio la geografia del gas costituisca il terreno dal quale partire per ampliare l’influenza economica (non solo energetica) di Aşhgabat verso Sud-Est. Difatti, fermi restando i solidi rapporti finora intessuti con Islamabad per la realizzazione del TAPI – un gasdotto di oltre 1800 km che porterà il gas turkmeno alle porte del Punjab indiano, attraverso Afghanistan e Pakistan – solo il 13 gennaio le autorità dei due Paesi hanno concluso ben otto protocolli d’intesa, nei settori di affari esteri, economia e finanza, cultura.
Fig. 3 – Parata militare ad Ashgabat in occasione del 23° anniversario dell’indipendenza dall’URSS
Luttine Ilenia Buioni
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il 12 dicembre 1995, mediante l’approvazione della Risoluzione A/RES/50/80 Sulla neutralità permanente del Turkmenistan, per la prima volta nella storia, il voto unanime dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconosceva lo status di neutralità permanente del Paese centro-asiatico ed esortava gli Stati membri delle Nazioni Unite a rispettarne l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale. Dotato di dignità costituzionale in quanto codificato all’Art. 6 della Carta fondamentale del Turkmenistan, il concetto di neutralità permanente si concreta nel rifiuto dell’uso della forza, nell’estraneità a blocchi o alleanze militari e nella promozione di relazioni amichevoli e pacifiche tra gli Stati della regione e della comunità internazionale.[/box]
Foto di copertina di D-Stanley rilasciata con licenza Attribution License