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Donald Trump: un insediamento silenzioso

Dopo oltre due mesi dalla sua elezione, Donald Trump si insedia alla Casa Bianca come 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. Le prime immagini arrivate dalla diretta, efficacemente coperta dalla tv nazionale, riportano alla mente quel 20 gennaio 2009 in cui Barack Obama portò gli States e la sua voglia di cambiamento al 1600 di Pennsylvania Avenue. Ma questa volta i giardini presidenziali non sembrano animati da quell’atmosfera di festa che invece li caratterizzò otto e quattro anni fa

L’ATMOSFERA DELL’INSEDIAMENTO – È possibile fare diverse considerazioni in merito all’atmosfera che l’insediamento di Donald Trump sta portando nelle città statunitensi. Non solo, appena iniziata la diretta sono cominciate a diffondersi le immagini della cerimonia alla Casa Bianca che paragonavano la situazione odierna con quella del 2009 e del 2013, anni in cui Barack Obama veniva accolto con un tripudio di emozioni da parte dei presenti. Se è chiaro che in qualsiasi elezione c’è sempre un vincitore e uno sconfitto, meno intuitivo era immaginare una tale levata di protesta da parte dei supporter democratici. La memoria storica ci permette di ricordare che anche per l’elezione di Obama un importante numero di supporter repubblicani si opposero, ma questo avvenne attraverso articoli e varie iniziative. Niente si presentò sotto forma di protesta generale, di marce, di sit-in alla newyorkese. La marcia di protesta tutta al femminile per le strade di Washington D.C., o il Golden Gate Bridge a San Francisco gremito di persone che, mano nella mano, protestano pacificamente in nome dell’unità di un popolo che non intende cambiare la sua natura multiculturale fatta di libertà, ne sono solo alcuni esempi. Sembra quasi che chi non fosse alla cerimonia di insediamento, fosse nelle università, nelle sedi delle organizzazioni e dei movimenti, intento a preparare quello che sarà un sabato che passerà alla storia. E ve lo racconteremo, perché la storia viene scritta dalle persone stesse.

NEW YORK CITY – Si sente spesso dire che New York City non sono gli Stati Uniti come gli Stati Uniti non sono New York City, e questo perché la natura stessa della Grande Mela la rendono una città unica al mondo, dove la diversità fa da padrona e dove ogni aspetto della vita quotidiana, da quella privata a quella lavorativa, assume una connotazione differente. Della specifica natura di New York ne è portavoce instancabile il suo Sindaco, Bill de Blasio che, poche ore prima dall’insediamento del presidente eletto Donald Trump, ha organizzato un sit-in a Columbus Circle, nel cuore di Manhattan, a pochi passi da Central Park nonche’ della Trump Tower e dal Trump International Hotel, situato proprio sulla piazza dove il rally anti-Trump si è tenuto. Non solo centinaia di persone hanno preso parte alla protesta, ma anche attori del calibro di Robert De Niro sono saliti al fianco del Mayor per urlare a gran voce che i diritti dei cittadini e residenti della città che non dorme mai saranno prontamente protetti da qualsiasi iniziativa intrapresa dalla nuova amministrazione presidenziale che possa rappresentare una minaccia alla città.In un post su Facebook infatti, il sindaco Bill de Blasio scriveva If the Trump administration wants to do real work, they’ll find an open hand from me. But my job is to fight any policy that hurts NYC (Se l’amministrazione Trump intende portare avanti un lavoro concreto, troveranno apertura da parte mia. Ma il mio lavoro è difendere qualsiasi politica che minacci NYC).

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Figura 1 – Manifestazioni a New York contro Donald Trump

UN TEXAS SORPRENDENTE – Lo stato del Texas, noto per essere roccaforte repubblicana, non e’ mancato nell’alzare una incredibile voce di protesta già nella giornata di venerdì. Da Houston ad Austin, diversi movimenti giovanili e femminili hanno organizzato sit-in di protesta, come anche una serie di trasporti affinché il maggior numero possibile di persone, da diverse città dello stato, potessero giungere e partecipare alla marcia di Austin, prevista per la giornata di sabato, gemella di quella di Washington D.C. Benchè il Texas sia stato decisivo per l’elezione di Trump, città come Dallas, San Antonio, Houston e Austin, stanno dimostrando una sempre maggiore propensione al voto e al supporto democratico, volgendo a diventare cosiddette città purple. Non solo, contee come quella di Harris hanno già schierato il loro voto a favore del partito democratico a partire dalle elezioni del 2008, confermandolo nel 2012 e nel 2016. Certamente, l’impatto che i movimenti e la marcia di Austin avranno sull’opinione pubblica non saranno di poco conto, e forniranno un messaggio importante allo stesso partito repubblicano che, “in casa propria” sta vedendo nascere diversi movimenti a supporto non solo delle donne, ma anche di giovani e categorie vulnerabili.

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Fig. 3 – “We The People” di Scephard Fairey, l’artista che creò l’iconica immagine di Barack Obama e che oggi presenta il suo nuovo lavoro richiamando le prime tre parole della Costituzione degli Stati Uniti d’America

LE MARCE ROSA DI WASHINGTON D.C. E SAN FRANCISCO – Washington D.C. rappresenta in questo sabato di mobilitazione l’emblema degli Stati Uniti d’America che protestano. Al grido di Our Bodies, Our Minds, Our Power (i nostri corpi, le nostre menti, il nostro potere), le donne e gli uomini non solo della capitale, ma del paese intero, sono scesi in piazza per protestare verso lo schieramento di idee della nuova amministrazione presidenziale. La mission della Women’s March on Washington (marcia delle donne su Washington) recita “The rhetoric of the past election cycle has insulted, demonized, and threatened many of us – immigrants of all statuses, Muslims and those of diverse religious faiths, people who identify as LGBTQIA, Native people, Black and Brown people, people with disabilities, survivors of sexual assault – and our communities are hurting and scared. We are confronted with the question of how to move forward in the face of national and international concern and fear” (la retorica del ciclo elettorale passato, ha insultato, demonizzato, e ha minacciato molti di noi – gli immigrati sotto qualsiasi status, musulmani e coloro appartenenti a diverse fedi religiose, le persone che si identificano come LGBTQIA, i nativi americani, le persone black e brown, i disabili, i sopravvissuti alle violenze sessuali – e le nostre comunità sono urtate e spaventate da questo). Ci troviamo di fronte al problema di come andare avanti di fronte ad una preoccupazione ed una paura nazionale e internazionale. Sin dalle prime luci dell’alba, Washington D.C. ha cominciato a popolarsi di migliaia di persone, molte di loro provenienti dai diversi stati americani, vestiti chi in rosa, chi in rosso – secondo quanto disposto dai comitati locali che hanno organizzato la marcia in davvero poco tempo. Gente comune, personaggi noti dello spettacolo – tutti attivisti in questo 21 gennaio 2017 che sembra passerà alla storia come il giorno in cui gli Stati Uniti d’America hanno rimarcato, con ancora più convinzione, che la loro grandezza, e se vogliamo unicità, è tale perché l’accettazione per cui questo paese ha lottato, e lotta ancora, non sarà mai posta in secondo piano. La diretta della protesta è stata trasmessa e seguita da milioni di persone da tutto il mondo. A New York stessa, la sera del 20 gennaio, molte persone hanno definito la marcia come “A historical moment” (Un momento storico), “Tomorrow we will write our history, again!” (Domani, scriveremo ancora una volta la nostra storia!), “The protest? For me is not a protest, it is the reflection of what United States are – a great Nation” (La protesta? Per me non è una protesta, è il riflesso di quello che sono gli Stati Uniti – una grande Nazione). A seguire con tre ore di distacco, anche San Francisco scenderà in strada per difendere quell’unicità che gli statunitensi hanno a cuore. Essendo stata anche la California uno Stato chiave nell’elezione di Trump, la sua presenza così forte nell’ambito dei movimenti di protesta, non può passare inosservata. Già nella serata del 20 gennaio, infatti, diversi attivisti sono scesi per le strade della città, protestando alla United Nations Plaza.

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Fig. 4 – Il logo della Women’s March on Washington che raffigura chiaramente tre donne

I PROSSIMI QUATTRO ANNI INTRAVISTI IN POCHE ORE – A poche ore dall’insediamento ufficiale del Presidente eletto Donald Trump, alcuni avvenimenti non hanno fatto che preoccupare i cittadini statunitensi. Provando ad accedere al sito web del governo sul cambiamento climatico, molti hanno notato l’impossibilità nel farlo, denunciando che la pagina fosse stata rimossa e che il sito rimandasse ad un “404 Page Not Found”. Inoltre, il Presidente eletto ha firmato già nella giornata di ieri un Executive Order relativamente alla revisione dell’Obamacare, fortemente voluta dall’amministrazione presidenziale precedente, sostenuta a gran voce dalla maggior parte dei low-income citizens (cittadini aventi basso reddito) e dalla candidata Hillary Clinton che, durante la sua campagna elettorale aveva promesso una revisione – in positivo – dell’Obamacare, ovviamente non la sua cancellazione o cosiddetto “rolling-back“. Ciò che accadrà nei prossimi quattro anni è ad oggi difficile prevederlo. Possiamo certamente tenere in conto quanto sostenuto in campagna elettorale, quanto avvenuto nelle prime ore postume all’insediamento, e ovviamente osservare quanto e come la popolazione statunitense abbia levato la propria voce in difesa di quei diritti che, evidentemente fino a l’altro ieri, non sentiva come in pericolo. I prossimi mesi saranno cruciali per comprendere quale impronta reale l’amministrazione Trump vorrà dare, certamente rimarremo sintonizzati sulla questione, fornendo aggiornamenti ed analisi puntuali in merito.

Sara Belligoni

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

È stata stimata la partecipazione alla Women’s March di 4.9 milioni di donne in tutto il mondo. [/box]

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Sara Belligoni
Sara Belligoni

Sara Belligoni is a Ph. D. Candidate in Security Studies at the School of Politics, Security, and International Affairs at the University of Central Florida. She investigates how vulnerable communities can better prepare for, respond to, and recover from crises and disasters. Sara adopts a multi-discipline approach that combines political science, public policy, and security studies. Prior to joining UCF, she received a Certificate in Global Affairs (2015) from the New York University, a Master’s Degree cum laude in International Relations (2015) and a Bachelor’s Degree in Political Science for Cooperation and Development (2012) both from Universita’ degli Studi Roma Tre.

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