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La prima mossa di Trump: l’addio al TPP

L’amministrazione Trump è appena cominciata e già abbiamo visto sconvolgimenti nella politica interna, estera ed economica Usa. Tra questi, la firma dell’uscita dalla Trans-Pacific Partnership, una mossa che avrà conseguenze sui mercati, ma sopratutto sulla geopolitica mondiale.

LA FIRMA – Una delle prime cose che Trump ha fatto dopo l’insediamento alla Casa Bianca è stata la firma dei documenti per il ritiro ufficiale degli Usa dal trattato di libero scambio TPP (Trans-Pacific Partnership). Questo agreement economico era stato negoziato da Obama insieme ad altri 11 Paesi che si affacciano sul Pacifico: Giappone, Canada, Messico, Brunei, Cile, Nuova Zelanda, Singapore, Australia, Perù, Vietnam e Malesia. Una mossa, quella del Presidente, che non possiamo classificare come inaspettata, data la sua risaputa inclinazione all’isolazionismo e protezionismo. Ciononostante, è stata una sorpresa il lasso di tempo così breve che è passato tra il primo discorso di Trump da neo Capo di Stato alla firma del ritiro dal trattato di libero scambio. È cominciato ufficialmente, quindi, lo sforzo di Trump di fare a pezzi l’eredità di Obama e di confermare ai suoi elettori la sua buona fede, che ciò che ha promesso durante la campagna presidenziale verrà subito messo in pratica. La firma dell’uscita dal TPP è avvenuta nonostante questo non fosse ancora entrato in vigore: il Congresso, a maggioranza repubblicana anche durante la presidenza Obama, non lo aveva infatti mai ratificato. La decisione di Trump ha scatenato inevitabilmente qualche ira. John McCain è stato uno dei primi oppositori della decisione del presidente, descrivendola come un errore molto serio che avrà delle conseguenze nel lungo periodo, andando a togliere l’opportunità agli Usa di usufruire dell’abbattimento delle barriere commerciali, promuovere l’export statunitense, aprire nuovi mercati e proteggere l’innovazione di Washington. In molti, però, avevano criticato il TPP, tra cui anche i democratici Clinton e Sanders. Il senatore socialista ha quindi accolto la decisione di Trump come un’occasione unica per rivedere i trattati internazionali e raggiungere l’obiettivo di creare lavoro e di rimettere in gioco le famiglie statunitensi danneggiate dalla globalizzazione.

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Fig.1 – Manifestazioni davanti alla Casa Bianca contro il TPP

LE CONSEGUENZE ECONOMICHE – Riguardo l’economia domestica statunitense, la fiducia dei cittadini nei confronti di Trump raggiunge livelli positivi. Sarebbe infatti un controsenso se uno dei più famosi businessman americani prendesse decisioni sfavorevoli per gli Usa in ambito economico, specie dopo essere riuscito a dissuadere la Ford dal delocalizzare la sua produzione in Messico. Nonostante questo, però, non possiamo non considerare i vantaggi di cui gli Stati Uniti avrebbero goduto una volta entrato in vigore il TPP. Primo fra tutti, l’abbassamento dei prezzi dei beni che sarebbero stati importati da Washington. A seguire, l’aumento dello stipendio dei lavoratori statunitensi (gli economisti stimavano una crescita dello 0.4% annuale fino al 2025) e il miglioramento delle condizioni di lavoro nei paesi meno sviluppati aderenti al TPP, come conseguenza di un maggiore e più facile export.

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Fig. 2 – L’ex presidente Obama durante un round di negoziazioni per il TPP

LA PERDITA DEL PIVOT ASIATICO – Meno fiducia, invece, si può accordare per il momento a Trump per quanto riguarda le sue strategie geopolitiche. Obama, durante la negoziazione del TPP, aveva tenuto in conto un elemento molto importante per la politica estera Usa: nel momento in cui Washington avesse avuto un ruolo economico importante all’interno dell’Asia-Pacifico, la Cina sarebbe rimasta esclusa da una parte di transazioni internazionali che si sarebbero rivolte sempre di più verso l’Occidente. L’obiettivo dell’amministrazione democratica era sempre stato quello di aumentare il soft power statunitense a scapito del loro più grande nemico economico. La scelta di Trump della strategia american first potrebbe quindi, in ambito geopolitico, creare i presupposti per un sempre minore ruolo Usa nella comunità internazionale. Ora gli Stati membri del trattato guarderanno verso la Cina per il loro export e import, portando una crescita del ruolo cinese nel Pacifico, un sempre maggiore disequilibrio est/ovest e una rivisitazione degli equilibri internazionali. La Cina avrebbe quindi il potere di riscrivere l’economia globale e, paradossalmente, verrebbe in maniera indiretta aiutata da Trump a mettere ulteriormente in difficoltà i lavoratori statunitensi.

Giulia Mizzon

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Molti Paesi membri del Trans-Pacific Partnership sono in fase di negoziazione del Regional Comprehensive Economic Partnership, promosso dalla Cina, un ulteriore elemento che porterà alla crescita di influenza cinese in Asia. [/box]

Foto di copertina di Michael Vadon rilasciata con licenza Attribution License

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Giulia Mizzon
Giulia Mizzon

Nata a Imperia nel 1992, laurea magistrale in Politiche Europee e Internazionali all’Università Cattolica di Milano. Affascinata dalle dinamiche della politica internazionale, frequento un Master in International Relations all’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali. Confesso di essere un’amante degli States, sempre presenti nei miei programmi futuri, e una lettrice accanita di qualsiasi cosa mi capiti sottomano.

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